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Un libro dal tono alto che concilia la letteratura con la fantascienza, incentratoo sulle riflessioni inquietanti sugli uomini di scienza, la condizione e il destino dell’Uomo, il controllo militare della ricerca scientifica e l’incessante pulsione umana all’autodistruzione. Un testo di certo attuale anche oggi, dopo oltre quarant’anni dalla pubblicazione
Stanislaw Lem, La voce del padrone, Bollati Boringhieri
Pubblicato nel 1968, “La voce del padrone” non cade nelle trappole dello spirito del tempo, anzi risulta ancora più avvincente oggi, a distanza di decenni da quel sentore di guerra fredda che allora rischiava di ipotecarne la lettura. Certo, anche qui tutto è innescato dal mistero di un messaggio venuto dallo spazio, come in un romanzo di genere, ma l’oggetto è l’immane scenario che si allestisce nel tentativo di decifrarlo. Vi hanno parte il potere politico e le gerarchie militari, ingerenti e depistanti, e una ridda di scienziati divisi da rivalità personali, congetture, stili di ricerca, presupposti morali. Niente di più romanzesco del fuoco d’artificio intellettuale e del corpo a corpo che li impegnano per due anni in pieno deserto, raccontati attraverso il diario di uno di loro. Laggiù si consumano i drammi della scienza incarnata, si rifà all’inverso il cammino che l’ha separata dal mito, e soprattutto si commettono sapientissimi errori. Si tratti di una musica delle sfere celesti o della voce neutrinica di un cosmo morente, di una sciarada non destinata agli umani o dei derivati del metabolismo planetario, la “lettera dalle stelle” mette alla prova i protocolli della nostra civiltà, i soli che interessino davvero a Lem e ai suoi lettori. Se tanti hanno scoperto con “Solaris” il potenziale letterario della fantascienza, ne riconosceranno in questo libro gli incanti più sottili e vertiginosi.