Riporto una lettera del collettivo Wu Ming che sottoscrivo volentieri sul caso del Bartleby, cioè sulla storia di un gruppo attivo e pensante, uno spazio di cultura e libertà che la Uni Bologna sembra decisa a chiudere senza dialogo, senza spiegazioni. Cosa si vuole dagli universitari e dal futuro? Docilità e spirtito a-critico? Festeggio tra un mesetto il decennale dalla mia laurea e guardo dalla distanza, dalle viscere della città più grande del mondo, con grande preoccupazione il disfacimento di un sistema in questi ultimi anni dell’ex ”bel paese”. Ci riprendiamo? Inutile specificare che mi auguro non si ritenga chiusa la questione Bartleby (e tutte quelle in situazioni simili, vedi per esempio la Casetta Rossa a Garbatella, Roma…) e non sia detta l’ultima parola per cui è meglio diffondere e riaprire il dialogo, no? (F.L.) Vediamo:
Capitano cose strane di questi tempi. Anche stranissime.
A Bologna c’è un collettivo di studenti, ricercatori, giovani lavoratori precari, che si chiama “Bartleby” (da un celebre racconto di Herman Melville) e da due anni organizza iniziative culturali nei locali assegnatigli dall’Università di Bologna, in via San Petronio Vecchio. Da qualche tempo l’assegnazione è scaduta e l’ateneo ha deciso di non rinnovarla, poiché pare che in quegli stessi locali dovranno essere eseguiti lavori strutturali per ampliare gli spazi della Facoltà di Scienze Politiche. L’ateneo non intende offrire alternative al collettivo Bartleby: probabilmente non ritiene interessante né utile l’attività che svolge.
Ecco la prima stranezza.
Per quei due stanzoni di via San Petronio Vecchio (+ cortiletto) in questi mesi sono transitati musicisti, scrittori, artisti, docenti universitari, attivisti politici; quasi senza soluzione di continuità si sono tenute presentazioni di libri, reading di poesie, videoproiezioni, mostre di fumetti, dibattiti sull’attualità e sul mondo. Tutto questo senza finanziamenti, cioè a costo zero per la collettività.
Si tratta di un’esperienza che ha dimostrato una vitalità e una capacità di aggregazione di gran lunga eccedenti i locali messi a disposizione dall’università. Tuttavia pare che l’università preferisca sbarazzarsi di questi giovinastri rompiscatole, della loro creatività, del loro impegno (che evidentemente considera mal speso), dell’attività di promozione culturale che svolgono. Quella che in altre università europee sarebbe una realtà segnalata nelle guide d’ateneo, a Bologna è considerata alla stregua di una scomoda zavorra di cui disfarsi.
Perché? Forse perché si tratta di un soggetto che è anche conflittuale? Perché Bartleby è una delle realtà cittadine impegnate a contestare i tagli alla cultura imposti dal precedente governo – intercettando sia gli studenti sia i lavoratori del settore – nonché le attuali ricette economiche imposte dall’Unione Europea? Forse perché questi studenti criticano le politiche accademiche?
Viene da chiedersi cos’altro dovrebbe fare uno studente oggi . Non a caso, dalla Gran Bretagna al Cile, passando per Harvard (dove vengono boicottate le lezioni dei professori di economia neoliberisti) e giungendo fino in Italia, gli studenti sono mobilitati per rivendicare il libero accesso allo studio e alla cultura come parte integrante del welfare. Davvero qualcuno pensa che possano starsene zitti e piegati sui libri?
La seconda stranezza riguarda l’atteggiamento, non meno incomprensibile, dell’amministrazione comunale, che ha deciso di interrompere qualsiasi trattativa con il collettivo Bartleby.
Il motivo addotto è la partecipazione di Bartleby alla recente occupazione di un cinema dismesso da anni, praticata da diverse realtà di movimento bolognesi devote a “Santa Insolvenza”, e dove sono state indette alcune assemblee cittadine di mobilitazione sulla crisi, a cui hanno partecipato centinaia di persone. Un cinema sotterraneo, dal quale gli occupanti si sono lasciati sgomberare dopo cinque giorni senza colpo ferire.
A detta dell’Assessore alla Cultura l’occupazione avrebbe dimostrato la volontà di non portare avanti la trattativa da parte dei giovani melvilliani. Sarebbe questa l’onta imperdonabile.
Evidentemente l’Assessore non si è reso conto che l’occupazione del cinema non era finalizzata a trovare una nuova sede stabile per le attività di Bartleby, bensì ad aprire uno spazio pubblico temporaneo in cui il movimento e la cittadinanza potessero ritrovarsi a discutere sulle sorti collettive e sul da farsi, in un passaggio cruciale come quello che stiamo vivendo. Fino a quel momento infatti le assemblee cittadine si erano tenute presso la biblioteca comunale Sala Borsa, oltre l’orario di chiusura, con inevitabile disservizio per la struttura pubblica (e lì sono ritornate, dopo lo sgombero del cinema).
Viene da chiedersi se i nostri amministratori di centrosinistra si rendano conto che nel mondo esiste un movimento di cittadini che stanno reagendo alla crisi e contestano le ricette con cui si pretende di uscirne. Se gli occupanti di Zuccotti Park – che dopo lo sgombero da parte della polizia si sono fatti arrestare in duecento (!) sul Ponte di Brooklyn – ricevono la solidarietà dei più noti intellettuali mondiali e vengono indicati come esempi di impegno civico, è possibile che gli attivisti nostrani debbano essere trattati alla stregua di delinquentelli opportunisti? O addirittura dipinti come folli kamikaze che decidono di occupare un posto che sarebbe già stato loro assegnato – l’Assessore ha sostenuto anche questo – solo per il gusto di far saltare la trattativa con il Comune e ritrovarsi in mezzo a una strada?
Crediamo sia il caso di volare un po’ più alto. Il dato di fatto è che Bartleby è una risorsa a costo zero per la città. Non c’è reato di lesa maestà che debba essere scontato attraverso l’esclusione da qualunque dialogo con l’amministrazione. Non c’è motivo per cui una realtà collettiva che, nonostante i piccoli spazi, organizza continuamente eventi culturali insieme a un’infinità di persone, debba essere chiusa, sfrattata, cancellata dalla mappa di Bologna. Sembra incredibile che non ci sia un’istituzione cittadina disposta a risolvere l’emergenza locativa per consentire che quell’attività prosegua. Evidentemente qualcuno ha deciso che Bartleby deve morire. Invitiamo tutti gli intellettuali e gli artisti che hanno attraversato l’esperienza di Bartleby, e tutti coloro che credono si debba dare una chance al proseguimento di un’esperienza come quella, a prendere la parola pubblicamente contro l’ostracismo e in favore di una ripresa del dialogo.
Wu Ming
Bologna, 24 novembre 2011