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"Juno" è un prodotto discreto, capace di coniugare il mondo indipendente con l'esigenza commerciale. E' il perfetto film indie statunitense, in quanto non si identificava come prodotto di nicchia ma aspira ad un pubblico generalizzato. Qual è la differenza tra un cinema mainstream e un cinema indie? L'unica vera differenza sta nell'originalità, veritiera o presunta, dello script. Un film indie ha una certa durata temporale mai eccedente, di norma, i 90 minuti, ma soprattutto ha il merito, da sempre, di trattare tabù e argomenti più "sensibili" al mondo reale, se confrontato con una pellicola standard. E' così la gravidanza adolescenziale diventa tematica della corrente indie, con il politically correct evitabile, qualche raffica di battute a go-go e una recitazione naturale. "Juno" di Reitman fa un pò il punto della situazione e crea un raccordo tra il mondo originale dell'indie, che ha qui un suo sviluppo stilistico, oltre che di scelta tematica, e il mondo del blockbuster, qui evidente nella precisa volontà di ottenere il consenso di un preciso target di mercato, nella scaltra politica distributiva, e soprattutto nella assoluta asciutezza ideologica con conseguente pragmatismo di chi scrive. "Juno", infatti, non si propone di affrontare il problema della gravidanza indesiderata durante l'adolescenza con fare realistico, ma si limita a segnare due strade, senza mostrare un minimo di vero coinvolgimento autoriale. Per questo la pellicola è stata strumentalizzata da ogni istanza, definita pro o contro-aborto nelle società occidentale maggiormente condizionate dal potere religioso (discorsi del genere sono fioccati negli stati Uniti e in Italia, per intenderci). Proprio la massima evangelica del "lavarsi le mani" e scegliere di comodo è la grande pecca del film che perde credibilità non quando cerca il consenso economico (ogni film indie è votato in tal senso, nella cinematografia americana, ed è motore del blockbuster, esatto opposto che nel nostro mercato), ma quando arriva a svuotarsi di ogni significato e a diventare un "finto-tabù", "finto-evento", "finto-cult", forse meno banale di una commedia zuccherosa, ma con lo stesso criterio di leggerezza bipartisan che sfocia nel "politicamente corretto". E un film che aspira ad essere un cult, non può essere affetto da una tale forma di piaggeria. Reitman ci sa fare, soprattutto senza la Coby davanti ai piedi (l'Oscar assegnato alla donna è una buffonata). Peccato che nel suo prossimo film, ci sarà ancora la fuirma della sceneggiatrice. Bravi gli attori, in particolare una grande Ellen Paige e variegata la soundtrack, anch'essa un successo e un classico.
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