A questa edizione dell’Olimpiade, nonostante la Nazionale possa giovarsi della presenza di tre giocatori militanti nel campionato NBA (Andrea Bargnani a Toronto, Danilo Gallinari a Denver e Marco Belinelli, che ha lasciato New Orleans e ora si è accasato ai Chicago Bulls), la Nazionale italiana non parteciperà, a causa degli scarsi risultati raccolti in questi ultimi anni (l’ultimo successo risale all’argento olimpico nel 2004, ad Atene) e di un profondo rinnovamento a livello societario che sta interessando diverse squadre della nostra serie A.
Perché gli Stati Uniti vinceranno l’oro?
Perché, nonostante numerose assenze di livello (causate da infortuni più o meno veritieri, come nel caso del centro degli Orlando Magic, “Superman” Dwight Howard, della guardia Dwyane Wade, fresco di titolo NBA coi Miami Heat e la defezione di Blake Griffin, l’uomo volante dei Los Angeles Clippers, più volte presente negli highlights delle azioni più belle della scorsa stagione, già in ritiro ma rispedito a casa; oppure per scelta dello staff tecnico, come il playmaker dei Boston Celtics, Rajon Rondo), rimangono comunque una squadra dal talento spaventoso: ne fanno parte, infatti, i due più forti giocatori attualmente attivi, ovvero la stella dei Los Angeles Lakers, cinque volte campione NBA con la franchigia californiana, Kobe Bryant, e il campione più giovane, ma già affermato grazie al titolo coi Miami Heat, nonché vincitore del premio come Most Valuable Player della stagione appena trascorsa, LeBron James, e il trio di “giovani leoni” degli Oklahoma City Thunder finalisti, composto da Kevin Durant, Russell Westbrook e James Harden. Perché, se anche qualche stella dovesse prendersi una partita di riposo, hanno troppi campioni in squadra per farsi cogliere impreparati. Perché possiedono i mezzi atletici per creare contro chiunque punti facili in contropiede. Perché il livello medio di alcune squadre presenti ai Giochi, specie nelle partite del girone eliminatorio, lascia alquanto a desiderare.
Perché la storia sportiva ci insegna che non sempre mettere insieme tanti campioni aiuta a vincere, poiché questo va a inficiare la chimica di squadra. Perché, probabilmente, se dovessero presentarsi momenti di difficoltà in attacco, qualche giocatore (abituato ad essere la “prima donna” nel proprio club di appartenenza) tenderà a giocare da solo, estraniando dal gioco i compagni. Perché nelle convocazioni, “coack K” Mike Krzyzewski (che sarà affiancato da Mike D’Antoni, vecchia conoscenza di Milano e Treviso), ha privilegiato gli “esterni”, o guardie, a scapito dei “lunghi”, o centri, che in caso di problemi di falli non avranno abbastanza ricambio dalla panchina. Perché si giocherà con le regole FIBA, con le quali, in passate edizioni, hanno avuto problemi (a LeBron James verrà fischiata l’infrazione di passi, spesso “perdonata” dagli arbitri aldilà dell’oceano; dovranno attaccare la difesa a zona, alla quale non sono abituati; la distanza del tiro da tre punti è diversa; in situazioni difficili, non è possibile fermare il gioco chiamando un time-out). Perché il livello medio degli avversari è alto e dispongono di giocatori provenienti dal campionato NBA (la Spagna dei fratelli Gasol, Pau a Los Angeles e Marc a Memphis; l’Argentina di Manu Ginobili e la Francia di Tony Parker, entrambi in forza ai San Antonio Spurs; la Russia di Andrei Kirilenko, finalista della scorsa Eurolega con il CSKA Mosca e già visto agli Utah Jazz).
Stati Uniti contro tutti, si diceva all’inizio. Staremo a vedere. Non resta che sintonizzarsi sulle partite, in programma da domenica 29 luglio, per scoprire chi chi aggiudicherà questa appassionante “corsa all’oro” (diretta tv su SKY Sport, diretta streaming su london2012.com).
Marco Bichicchi