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Stati Uniti d'Oriente: I Miraggi di Richard Brautigan
Creato il 31 maggio 2012 da Alessandro Manzetti @amanzettiRileggo dopo qualche anno Richard Brautigan (1935 - 1984) , autore del romanzo Pesca alla trota in America (Trout Fishing in America,1967) che a suo tempo mi conquistò, convincendomi a approfondire le opere e l'originale percorso atistico dell'autore, dalla prosa alla poesia. In questo articolo non vi parlerò di questo romanzo che mi ha consentito di incontrare Richard Brautigan, ma di 102 Racconti Zen (1999), una raccolta di brevi racconti edita da Einaudi. Questa raccolta, una selezione di racconti tratti dalle raccolte The Revenge of the Lawn (1971) e The Tokio – Montana Express (1980) ispira il titolo di questo articolo, Stati Uniti d'Oriente, e offre una interessante prospettiva di questo affascinante autore.
Non sto qui a parlarvi di Richard Brautigan, per chi non conosce l'autore spero di suscitare qualche curiosità e una occasione di nuove letture, preferisco dunque entrare direttamente nel tema centrale dell'articolo, raccontarvi le mie impressioni su 102 Racconti Zen, e consentirvi di leggere uno dei racconti della raccolta, Gli uccelli selvatici del cielo, che trovate pubblicato integralmente alla fine di questo articolo. E' interessante approfondire questa selezione di racconti, nella quale lo stile e il linguaggio innovatico di Richard Brautigan incontrano la cultura giapponese. Ecco svelata l'origine del titolo che ho scelto per l'articolo, Stati Uniti d'Oriente.
Lo stile di Brautigan, nelle brevi storie incorporate in 102 Racconti Zen, può essere definito certamente minimalista, accompagnato da un linguaggio che risulta dirompente, pur nell'apparente semplicità degli schemi narrativi e dell'esposizione. Molti hanno definito lo stile di Brautigan surrealista. Su questo posso concordare, se si parla di surrealismo di linguaggio e non di contenuto. Le parole di Brautigan che come una ragnatela avvolgono le sue storie, sono simili alle stampe giapponesi dai vertiginosi contrasti di colore che hanno profondamente influenzato la pittura moderna. Il linguaggio di Brautigan è come il giallo materico di Van Gogh che emerge dal buio, dalla formazione scolastica, per stupire e cambiare le prospettive, la visione delle cose. Qualcosa di così semplice, in fondo, che sembra incredibile possa trasportare componenti rivoluzionarie. Brautigan sperimenta continuamente, questo è evidente, e le storie di 102 Racconti Zen ci offrono tutta la sua tensione e inquietudine, quella spasmodica ricerca che sembra arrivare sempre a un punto morto, per poi ripartire con energia, con coraggio. Tra le tante storie eterogenee di questa raccolta, il collante è la vivisezione della cultura americana, delle sue ossessioni e dei suoi riti, le lame di Brautigan sono affilate da una grande creatività, e affondano profondamente, uccidono senza lasciar uscire una sola goccia di sangue. Leggendo i racconti si comprende facilmente il contenitore socio-culturale nei quali l'azione di Brautigan si innesca, la controcultura americana degli anni 60, che l'autore rappresenta in modo originale attraverso il suo infinito immaginario popolare.
Ma 102 Racconti Zen unisce due raccolte molto diverse di Brautigan, e ci facilita la conoscenza delle diverse anime dell'autore, la prima legata agli anni 60 e i primi anni 70, con il suo impegno nel raccontare la società americana, dalla quale alla fine si allontanerà per rifugiarsi tra i boschi del Montana,tra le sue visioni e le sue amate bottiglie, e lo scenario successivo che caratterizzarà la vita dell'autore, la partenza nel 1976 per il Giappone, che rappresenterà per Brautigan una seconda giovinezza, sia come uomo che come scrittore. Queste due anime si fondono in 102 Racconti Zen, danno senso al termine Stati Uniti d'Oriente che ho immaginato per sintetizzare questa particolare selezione delle opere brevi dell'autore. I racconti sono ambientati sia negli Stati Uniti che in Giappone, dentro ogni storia si trova il logaritmo di brautigan, la sua storia e i suoi miraggi, presentati in infiniti deserti con i quali siamo, purtroppo, tutti in confidenza. Stupisce, oltre l'uso del linguaggio, l'immaginazione dell'autore, che contrasta con lo scarno dispositivo narrativo in una fusione molto convincente. Gran parte delle storie sono piene di solitudine e di strani fantasmi, che appaiono e scompaiono dalle vicende, di personaggi racchiusi in poche righe, di città interne e esterne che cozzano l'una contro l'altra. Ho scelto un racconto, Gli uccelli selvatici del cielo, che sotto trovate pubblicato integralmente, come sintesi dell'opera di questo inquieto e solitario americano che si è installato occhi giapponesi. Una storia, che immagino troverete anche molto attuale, dove l'onirico e il surreale si confrontano e danzano con uno spietato realismo. Questo è Brautigan.
Richard Brautigan Gli uccelli selvatici del cielo (da 102 Racconti Zen - Einaudi)
Farei meglio a starmene in qualche buio vicolo dove il sole rifiuta di splendere dove gli uccelli selvatici del cielo non mi sentiranno piangere (canzone popolare)
Proprio così. Erano settimane che i bambini si lamentavano del televisore. Il quadro stava svanendo e quella morte di cui John Donne aveva parlato tanto accoratamente si stava avvicinando in fretta minacciando tutti i programmi della serata, e c'erano anche le linee di statica che apparivano di tanto in tanto barcollando come cimiteri ubriachi. Il signor Henly era un brav'uomo, ma i suoi figli stavano tirando troppo la corda. Lui lavorava per una compagnia di assiocurazioni, con l'incarico di tenere i morti separati dai vivi. Erano tutti schedati. Tutti in ufficio dicevano che lo attendeva un brillante futuro. Un giorno tornò a casa dal lavoro e i bambini lo stavano aspettando. Parlarono senza peli sulla lingua: o lui comprava un televisore nuovo, oppure loro si sarebbero dati alla delinquenza minorile. Gli mostrarono una fotografia di cinque criminali minorenni che stupravano una donna anziana. Uno dei criminali minorenni la stava colpendo alla testa con una catena di bicicletta. Il signor Henly acconsentì immediatamente alle richieste dei ragazzi. Qualunque cosa, purchè mettessero via quella orribile fotografia. Poi arrivò sua moglie e gli disse le parole più dolci che gli avesse detto dalla nascita dei figli: - Prendi un nuovo televisore per i ragazzi. Che razza di mostro saresti?
Il giorno seguente il signor Henly si ritrovò davanti ai grandi magazzini Frederick Crow, sulla cui vetrina si leggeva un enorme cartello. Il cartello diceva, in tono di elevata poesia: TELEVISORI IN OFFERTA. Entrò nel negozio e si imbattè subito in uno schermo da 42 pollici con cavi ombelicali già fissati al suo interno. Arrivò un commesso e gli vendette il televisore dicendo: - Eccolo qui, bell'e pronto. - Lo prendo, - disse il signor Henly. - Contanti o carta di credito? - Credito - Ha con sè la carta di credito? - chiede il commesso abbassando lo sguardo verso i piedi del signor Henly. - No , non ce l'ha, - disse. - Mi dia il suo nome e l'indirizzo e troverà il televisore a aspettarla quando arriverà a casa. - E per il pagamento? - Non c'è problema, - disse il commesso. - Passi dal nostro ufficio vendite. La aspettano - Oh, - fece il signor Henly. Il commesso indicò alle sue spalle l'ufficio vendite. - La aspettano. Il commesso aveva ragione. C'era una bella ragazza seduta dietro a una scrivania. Era davvero incantevole. Sembrava un compendio di tutte le belle ragazze che si vedono nelle pubblicità delle sigarette e in televisione. Uau! Il signor Henly estrasse il pacchetto e se ne accese una. Dopo tutto non era stupido. La ragazza gli sorrise e chiese: - Posso aiutarla? - Sì, vorrei acquistare un televisore a rate, e vorrei che il vostro negozio mi aprisse un fondo di credito. Ho un lavoro fisso, tre figli, e sto comprando una casa e una macchina. Ho un buon accesso al credito, - disse. - Ho già contratto debiti per 25.000 dollari. Il signor Henly si aspettava che la ragazza facesse una telefonata per controllare la sua situazione bancaria o se avesse mentito sui 25.000 dollari. Non fece niente del genere. - Non deve preoccuparsi di nulla, - disse lei. Aveva una gran bella voce. - Il televisore è suo. Deve solo accomodarsi di là.
Indicò una stanza che aveva una porta graziosa. anzi, era una porta davvero entusiasmante. Era una porta di legno massiccio con un intarsio favoloso che ricordava l'intrico di crepe che spaccano l'alba nel deserto dopo un terremoto. L'intarsio era pieno di luce. La maniglia era di argento massiccio. Era la porta che il signor Henly aveva sempre sognato di aprire. La sua mano già sognava quella forma mentre il mare invecchiava di milioni di anni. Sulla porta c'era una targa: FABBRO. Aprì la porta e entrò, e nella stanza c'era un uomo ad aspettarlo. - Si tolga le scarpe, per favore, - disse l'uomo. - Devo solo firmare i documenti, - disse il signor Henly. - Ho un lavoro fisso. Rispetterò le scadenze. - Non si preoccupi di quello, - disse l'uomo - Si tolga le scarpe. - Anche i calzini. Eseguì gli ordini e non gli sembrò strano, perchè dopo tutto non aveva i soldi per comprare il televisore. Il pavimento non era freddo. - Mi dice la sua altezza? - chiese l'uomo. - Un metro e ottantuno. L'uomo si diresse verso uno schedario e aprì il cassettino che portava l'etichetta "1,81". Estrasse una busta di plastica dal cassetto e lo richiuse. Al signor Henly venne in mente una bella barzelletta da raccontare ma poi la dimenticò immediatamente. L'uomo aprì la busta e ne estrasse l'ombra di un uccello immenso. La dispiegò come se fosse un paio di pantaloni. - Che cos'è? - E' l'ombra di un uccello, - disse l'uomo, poi tornò dal signor Henly e adagiò quell'ombra davanti ai suoi piedi, a terra. Poi impugnò uno strano martello e tirò via i chiodi dall'ombra del signor Henly, i chiodi con cui l'ombra era fissata al suo corpo. Ripiegò accuratamente l'ombra e la appoggiò su una sedia accanto al signor Henly. Non aveva paura. Era solo un po' curioso. - Le sto mettendo addosso l'ombra, - disse l'uomo, inchiodando l'ombra dell'uccello ai suoi piedi. Almeno, non era doloroso. - Ecco fatto, - disse l'uomo. - Ha 24 mesi di tempo per pagare il televisore. Quando avrà saldato il conto, scambieremo di nuovo le ombre. Le sta molto bene.
Il Signor Henly fissò al suolo l'ombra dell'uccello proiettata dal suo corpo. Non aveva un brutto aspetto, pensò. Quando uscì dalla stanza la bella ragazza seduta alla scrivania disse: - Oh, che cambiamento!. Il Signor Henly era felice che la ragazza gli rivolgesse la parola. Dopo tanti anni di vita coniugale aveva dimenticato che cos'era il sesso. Infilò la mano in tasca per prendere una sigaretta e si accorse di averle finite. Si sentì a disagio. La ragazza lo guardò come se fosse un ragazzino che aveva fatto qualcosa di male.
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