Sono queste le lucide parole dello scrittore russo che, attraverso una profonda crisi spirituale, approda ad un rifiuto di ogni forma di violenza, ad un cristianesimo evangelico e comunitario, espressosi nella fattiva solidarietà con i derelitti ed i bisognosi, siano agricoltori poveri, vittime di carestie o appartenenti a gruppi perseguitati.
Il rigetto della violenza è sic et simpliciter negazione dello Stato e della Chiesa (maiuscolo ironico). Stato e Chiesa, infatti, non incarnano forse la sopraffazione? Ecco allora l’antimilitarismo militante, la denunzia della trasformazione degli uomini in altrettanti automi adatti a stuprare, compiere sevizie, massacrare... con la benedizione dei cappellani.
Parate e funerali di stato: non manca mai il predicozzo del vescovo che, insieme con le impettite autorità, accoglie il feretro dell’eroe caduto in “missione di pace”. Il feretro è avvolto nell'italica bandiera ed il presidente, commosso sino alle lacrime, la mano tremebonda, sfiora il drappo.
Parate reboanti e retoriche: si vis pacem, para bellum... Saettano lassù le “Frecce tricolori”.
Si può costruire, si chiede Tolstòj, una società senza stato? Il modello che egli addita è la comunità cristiana dei primordi, fra utopia e realtà. Erano confraternite in cui era abolita la proprietà privata e dove il giuramento, le leggi umane, la coscrizione non avevano alcuna cittadinanza. Vero è che lo stato è simile ad una mala pianta dalle radici tenaci: essa tende a ricrescere, poco tempo dopo essere stata svelta. Così le primitive confraternite cominciarono ad organizzarsi, persino secondo forme gerarchiche, con i vescovi (episcopoi) preposti a vigilare sulla condotta dei fratelli, e gli anziani (presbyteroi) superiori rispetto agli altri, se non altro per la loro autorevolezza. Allo spirito egualitario, con i suoi pregi ed eccessi, subentrò un po’ alla volta, un embrione di struttura che culminò nelle chiese dirette da vescovi, ormai autorità con precise prerogative. Alcuni gruppi rimasero fedeli al comunitarismo, al vegetarianesimo, all’attesa apocalittica, ma i “Cristiani”, ormai Niceni, poi Ortodossi e Cattolici etc., gettarono alle ortiche le loro origini ed i Vangeli. Se nel III sec. d. C. Tertulliano ancora tuona contro il giuramento, il servizio militare, la cultura pagana condannata in toto, un secolo dopo, un “cristiano” soldato o magistrato o mercante è la norma. Così breve è il passo fra il rispetto della tradizione ed il suo sovvertimento. Non basta: il dorato manto dell’ipocrisia dichiara “eretici” gli osservanti ed ortodossi i bestemmiatori.
L’ipocrisia è la quintessenza della Chiesa e dello Stato a tal punto che non sapresti distinguere tra insincerità e le due colonne del sistema.
Ci domandiamo: è possibile ed auspicabile una società senza stato? Auspicabile, certamente. E’ anche possibile? Proviamo ad immaginare un paese in cui i tribunali sono edifici vuoti, fatiscenti, dove gli eserciti sono ormai sciolti, dove le divise dei “tutori dell’ordine”, sdrucite e consunte, sono raccolte per essere bruciate... E’ un mondo senza vertice e senza base. Non è solo il rifiuto dell’autorità in quanto tale a promuovere i princìpi anti-statali, ma la consapevolezza che le autorità sono malvagie. Che differenza rispetto agli imperi antichi in cui ogni tanto i reggitori erano uomini della caratura etica ed intellettuale di un Giuliano! Oggi i politici, se non sono dei perfetti inetti, sono dei criminali incalliti.
Non so quanto realistico sia il progetto di annientare lo stato che, anche qualora fosse distrutto, tenderebbe a risorgere nelle sembianze di un’amministrazione via via più capillare ed invadente. So, però, che la compagine odierna, essendo molto più dispotica dell’Impero zarista che Tolstoj disconobbe, merita di essere smascherata come costruzione vessatoria e coercitiva. Niente oggi dello stato si salva: né il sistema fiscale né la cosiddetta giustizia né le forze militari né l’assetto “educativo”.
Se un tempo era forse possibile riformare gli organi istituzionali o, per lo meno, provare a smussare gli spigoli del potere, oggi lo stato è invincibile, poiché è simile ad un liquido soporifero e letale che si diffonde nelle vene del consorzio umano, un liquido inafferrabile che, prima di uccidere, addormenta le coscienze. E’ questa la diversità: se gli stati del tempo trascorso suscitavano moti di opposizione nelle coscienze vigili ed intemerate, oggi lo stato, con le sue imposizioni e bugie, è la stessa “coscienza ipnotizzata” dei “cittadini”.
Non occorrono incitamenti a combattere, a morire per la patria, a debellare il “terrorismo islamico” e gli “stati-canaglia”. Non è più necessaria la propaganda bellicista e razzista. Non bisogna convincere che una causa è giusta, poiché si combatte per denaro, tornaconto o abitudine alla violenza.
In un mondo dove la volgare doppiezza di presidenti e papi non scandalizza, dove è usuale dilapidare cifre astronomiche per le armi e benedire feroci mercenari, dove essere “cristiani” significa andare a messa la domenica, lo stato, questo stato osceno e blasfemo, rischiamo di essere noi.
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