Edda è un grandissimo figlio di puttana! E non è un’offesa, sia chiaro! È solo il miglior complimento che posso fargli. In tre dischi, i bellissimi Semper Biot del 2010 e Odio i vivi del 2012, l’ex frontman dei mai dimenticati Ritmo Tribale ha preso a pugni il sistema musicale italiano.
Ha sollevato l’asticella di un mondo alternativo che non rinuncia alle mutande firmate del centro commerciale, troppo impegnato a vendere forzature e originalità obbligate o banalità da provincia: sia chiaro anche questo, con diverse eccezioni di classe elevata.
Stefano parla di se in un modo devastante, nudo, crudo, dolcemente volgare e lancia scosse improvvise, forti, decise, alle quali dopo qualche ascolto non puoi rinunciare.
Odio Edda perché ti rende impotente, talmente perfetto, talmente vero, importante da farti credere di non poter mai arrivare a certi livelli, ma lo amo pure perché in fine mi fa capire che chiunque può scrivere delle bellissime cose essendo se stesso, senza costruire, con una semplicità disarmante.
Oltre a Pater, la traccia che presenta e apre “Stavolta come mi ammazerai?”, che parla in modo critico di un padre, qualsiasi padre, che reprime istinti che si sfogano nella voglia di uccidere e nel desiderio di elevarsi ad essere supremo, almeno una volta “ e un giorno voglio anche essere Dio, vi inculo tutti”.
Sicuramente spiccano le adrenaliniche Stellina, che ha un tiro pazzesco, con il suo punk deviato e malato, con il suo testo spiazzante, bellissimo “Mi aspetto che tu mi esca dalle ossa, tu mi dia un po’ di scossa, sciocca me” , Madamoiselle dal bell’incedere, e la quasi hardcore Ragazza Meridionale.
Il disco è intenso e rock dall’inizio alla fine, un disco a diversi strati, dove inizi a godere del singolo, poi ti fai conquistare dai pezzi più tirati e ti innamori della canzone che non cagavi, i testi che prendono forma e interpretazione, le musiche e le atmosfere che pian piano si impossessano della tua anima: questo è un capolavoro, un disco di stacco, un disco classico, già da ora.
È un lavoro complesso, ma volendo anche fruibile da chi non ascolta prettamente queste bellezze. Si tira fuori dal coro HIV, straziante, in modo quasi tecnico, sofferta, ma se non fosse per queste parole quasi una canzone giocosa.
Malata, come la persona di cui parla, una delle tante donne, o la stessa donna di cui Stefano parla e si immedesima, forse la mamma, forse il padre, sicuramente lui stesso, “perché io adesso c’ho la malattia che ho preso da te, infettati con me”.
Written by Daniele Mei