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Stay Alive, Rocky Mattioli: l’anniversario di un’impresa

Creato il 04 marzo 2016 da Retrò Online Magazine @retr_online

A complicare le cose su un ring bastano pochi colpi, specialmente ad alti livelli.

Colpi precisi, ben assestati, dati da chi sa come, dove e quando colpire, in un susseguirsi di combinazioni e tattiche di disorientamento.

E’ sufficiente essere colpiti bene una sola volta per avere ripercussioni in tutto il match, il minimo acciacco potrebbe essere fatale.

Ma se non si trattasse di un occhio gonfio, di un ginocchio dolorante o, nel peggiore dei casi, di una perdita di sangue? Cosa succederebbe se, ad esempio, ci si fratturasse una mano durante un incontro?

E’ la storia di un uomo che continuò a combattere e a rimanere in piedi in una situazione in cui chiunque altro, probabilmente, avrebbe mollato.

Sanremo, teatro Ariston, 4 Marzo 1979.

Aveva ventisei anni quando si è trovato un questa situazione, durante una finale per il titolo dei pesi medi junior.

Rocco Mattioli è rimasto sul ring per nove round come fossero vite e lui un gatto per poterselo permettere, combattendo, difendendosi e martellando soltanto con la mano sinistra.

Nato a Ripa Teatina, in Abruzzo, nel 1953, è emigrato all’età di sei anni in Australia con i suoi genitori. Anche Rocky Marciano, emigrato con la sua famiglia negli Stati Uniti e diventato uno dei più grandi pesi massimi della storia del pugilato, è originario della stessa città abruzzese.

Rocco Mattioli è stato inserito nel 2004 nella Australian National Boxing Hall of Fame, dopo aver disputato in carrirera 74 incontri, di cui 65 vinti (52 per KO).

Aveva diciassette anni quando, undici anni dopo il suo arrivo in Australia, disputò il suo primo incontro da professionista. A renderlo celebre non furono le sue caratteristiche fisiche, ma la sua combattività, la sua “fame”, il suo destro inarrestabile. Caratteristiche che gli permisero di vincere tanto. Cominciò quello stesso anno e si abituò farlo, mantenendo per cinque anni consecutivi, fino al ’75, quando si trasferì in Italia, il titolo australiano dei welter.

Poco dopo essere arrivato in Italia, nel ’76, disputa un incontro ormai storico con il grande pugile genovese Bruno Arcari. Fu un incontro corretto, di grande spettacolo tecnico e portato avanti fino alle ultime forze. I due pareggiarono e quello fu l’unico pareggio per Bruno Arcari in dodici anni di vittorie consecutive, dal 1966 al 1978.

Nel 1977 Mattioli conquistava, a Berlino, il titolo mondiale, battendo con un KO al quinto round il pugile di casa Eckhard Dagge.

Vinse il titolo per due anni consecutivi, ma nel 1979 successe qualcosa; Mattioli combattè con una mano fratturata.

Una finale sofferta e al limite, che lo porta ad arrendersi alla nona ripresa, stremato dal dolore e dalla rabbia per non avercela fatta, forse inconsapevole di aver fatto molto di più.

Resistere per nove riprese in una finale e combattere con un solo braccio senza cedere è molto più di un titolo mondiale. E’ una lezione di vita. La dimostrazione che non esiste prova davanti alla quale un uomo non possa sfidare se stesso. Che si tratti di dolore fisico o mentale, Mattioli ha dimostrato che la prima vittoria deve essere sui limiti che ci si autoimpone.

Si arrese alla nona ripresa, tra gli applausi.

L’anno dopo, tuttavia, perse la rivincita con Hope, che si aggiudicò così il titolo per la seconda volta consecutiva.

Decise di ritirarsi nel 1982, alla fine di un tour negli USA, in cui sconfisse chiunque salisse sul ring con lui.

Lo sport in generale, il pugilato e chiunque sia affascinato da chi sfida la forza dell’ ovvietà, può celebrarlo oggi con un ricordo. Lui, forse, farà lo stesso, riportando alla memoria un incontro finito con un gong al nono round, in cui a perdere è stato soltanto il destino. 

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