In quanto membro dello staff di Scritty, qualche mese fa ho avuto il piacere – e l’onere – di leggere tutti i racconti che partecipavano al concorso Steampunk vs. Dieselpunk. Non era un concorso che prevedeva un vincitore, ma solo una selezione de “il meglio di” da racchiudere poi in un’antologia, quindi non mi è stato chiesto di scegliere un racconto da premiare rispetto agli altri, ma di indicarne alcuni come idonei alla pubblicazione in raccolta.
Dei racconti pervenuti ne ho promossi solo quattro, una percentuale irrisoria rispetto al totale – sono stato il più “tirato” degli staffer, tanto per cambiare. Un racconto è per me accettabile quando è ineccepibile sia dal punto di vista della storia, sia da quello dello stile. Di solito la storia è l’aspetto che giudico più importante, ma anche per quanto riguarda il modo in cui la storia stessa è scritta ho i miei standard. Ad esempio ho letto un racconto stupendo, con un’ambientazione a dir poco ingegnosa, ma scritto in maniera agghiacciante – rimbalzato senza passare dal via.
Ho trovato la qualità dei racconti in generale mediocre tendente al basso, e molti dei partecipanti hanno mostrato di non conoscer affatto, o di conoscere a tratti il genere di cui scrivevano. Non è un’impressione solo mia: una delle critiche mosse più di frequente ai racconti è stata “sì, è bello, ma non è steampunk/dieselpunk”. Pochi, ad esempio, hanno tenuto conto che lo spirito dello steampunk è assimilabile a quello postilluminista della rivoluzione industriale, idealista e positivo, perché come genere nasce in contrapposizione al cinismo che permeava il cyberpunk. Insomma, molti dei partecipanti sono incappati nello stesso errore di Francesco Dimitri: non basta aggiungere il prefisso steam- per scrivere steampunk. Lo steampunk è molto più di un insieme di ingranaggi.
Il secondo grosso problema che ho riscontrato è lo stile. Non se ne abbiano a male i partecipanti, ma per i miei gusti una buona maggioranza scrive male. E con scrive male intendo che mancano proprio le basi della sintassi – oppure la voglia di prendere un racconto, finirlo, metterlo da parte per un mese/una settimana, rileggerlo e correggerlo come se non fosse scritto da noi ma da quel compagno di classe stronzo che, in un modo o nell’altro, riusciva sempre a prendere più di noi nei temi d’italiano senza che se ne capisse il motivo. Non bisogna aver paura di massacrare il proprio testo, tagliarlo, spostarne pezzi, eliminare passaggi. Mi è capitato, tra le altre cose, di imbattermi in infodump a profusione, personaggi aventi lo spessore della carta da forno, passaggi dal lei al voi nei discorsi, aggettivazione eccessiva, avverbi che escono dalle fottute pareti, ripetizioni, dialoghi innaturali e racconti che “alla fine era tutto un sogno”. Abbiate pietà.
Ma, nonostante le avversità incontrate, ho letto anche quattro bei racconti, che voglio celebrare pubblicamente in questo articolo. Scopriteli dopo il salto.
4) L’avventura della macchina che bombardò Londra di Simone Faré
È una sorta di rielaborazione steampunk delle classiche storie di Sherlock Holmes con tutti i personaggi “storici” ed elementi steam molto azzeccati che ovviamente qui non anticipo. Lo stile è un po’ incerto e in alcuni punti sono presenti delle leggerezze – tra cui qualche ripetizione di troppo e Watson che chiama Holmes col nome di battesimo anziché col cognome – ma rispetto alla storia che è offerta si può soprassedere. Un’avventura divertente e in sintonia con le atmosfere che ricercavamo nei racconti per l’antologia.
3) Lo strano caso della chiesa prussiana di Roberto Guarnieri
Questo, di tutti i racconti che ho letto, a mio avviso è quello che integra meglio l’ambientazione steampunk con la storia, e solo per questo si è meritato un posto in antologia. Anche qui ci troviamo alle prese con una storia d’avventura nella cornice delle difficili relazioni diplomatiche anglo-prussiane. Da notare le svariate citazioni di personaggi storici e contemporanei, alcune azzeccate, altre un po’ surreali.
2) Piombo contro acciaio a Eldeberry Fields di Andrea Viscusi
Questo è il genere di racconto che mi piace, scritto con lo stile che mi piace. L’ambientazione mi ha ricordato le atmosfere di La sfera del buio, e tutto ciò che mi ricorda Stephen King è cosa buona e giusta. Tra tutte, è la storia che più ha fatto suo l’altro elemento del concorso, ovvero il conflitto (che in altri racconti o era marginale o latitava del tutto). Ho poco altro da aggiungere se non che è davvero un buon racconto e che, di tutti quelli che ho avuto l’opportunità di leggere, si tratta senza dubbio di quello scritto meglio. Tanto di cappello.
1) Veloce come la Folgore di Polissena Cerolini
Il racconto che ho messo in cima a questa miniclassifica forse non è scritto bene come quello che si trova alla posizione precedente e non presenta, a differenza degli altri tre, una storia che si snoda nel classico formato inizio-parte centrale-fine. Qui si tratta quasi di un episodio all’interno di una cornice più grande (cornice dieselpunk, a essere precisi, una delle poche) che viene più che altro lasciata intuire. E allora perché sta così in alto? Senza spoilerare troppo, perché la storia parla del profondo legame tra un uomo e il suo cavallo in un mondo pesantemente meccanico e distopico. Lo stile è buono, ma è stata la presenza di ciò che ci ho letto dietro (e che magari sta solo nella mia testa) ad aver conferito al racconto quel non-so-che in più per spingerlo al vertice della mia classifica.






