Illustra le sofferenze inflitte ai bambini e alle donne di tutto il mondo. E riesce a farlo solo perché è riuscita a liberarsi delle sue.
Stefania Spanò, nata quarantasette anni fa a Napoli, fa la disegnatrice. “Disegno da quando ero piccola – racconta – ma da alcuni anni le mie sono illustrazioni di denuncia. Racconto di abusi, diritti negati, brutture umane! Poi ci sono le vignette di ANARKIKKA. Lei è molto ironica. Ho scelto questi temi, perché rispetto e mi sento molto vicina a chi soffre. Chi viene abusato non deve essere lasciato solo. I miei disegni cercano di dare voce e anima a situazioni spesso ignorate. E poi raffigurare il dolore degli altri un po’mi aiuta”.
I suoi disegni hanno fatto parte del progetto Unchildren. Ci dice qualcosa di più?
Il progetto Unchildren è una mia creazione. Ne sono l’autrice. Ho cominciato da lì, dalle mostruosità che riserviamo ai bambini, in tutte le parti del mondo. E’ iniziato tutto quasi per caso. Leggendo, studiando, scoprivo cose terribili, mai immaginate. Non ho potuto fare a meno di raccontare. Unichildren è stato realizzato in collaborazione con Francesca de Lena, che ne ha scritto i testi. Sono 17 tavole, molto grandi. Ho cercato qualcuno interessato a portarlo in mostra ed ho avuto il patrocinio di Terre des hommes. La mostra è durata un anno e mezzo. Le tappe principali sono state: Milano Palazzo Marino 19/23 novembre 2009, Roma Sala Santa Rita 8/30 giugno 2010, Genova Palazzo Ducale 13/21 novembre 2010, Bruxelles Sala Conferenze della CE 7/8 dicembre 2010.
Le illustrazioni che le stavano molto a cuore cosa ritraevano?
La prima è quella dalla quale tutto è cominciato. Ha un posto speciale nel mio cuore. Ritrae le donne velate dell’Iran. Tra di loro due bambini. L’unica macchia di colore. Quando ho iniziato questo disegno, la mia intenzione era parlare delle donne. Poi, ho visto quei bambini e i loro sguardi. E sono venuti tutti gli altri. Ovunque ci giriamo, c’è un bambino che soffre. E le nostre responsabilità sono immense. I bambini sono tutti figli nostri. Un’altra illustrazione, che ho molto a cuore, è quella con la quale ho raccontato il dramma delle spose bambine. A volte piccolissime, date “in pasto” ad uomini molto più vecchi di loro. Bambine senza alcuna tutela. Per loro il dramma di essere donne comincia molto presto. E poi ci sono le bambine alle quali le madri “cancellano” il seno. Una tortura per “proteggerle” dalle violenze. Madri che, per nascondere la femminilità delle loro figlie, sono costrette a torturarle, procurando danni a volte irreparabili. Una violenza per evitarne altre.
Per fare quei disegni ha viaggiato molto?
No, ho studiato molto, ho parlato tanto con chi poteva raccontare quelle tragedie. Per realizzare Unchildren c’è voluto un anno.
Quella mostra si ripeterà e a cosa ha portato?
Non so se si ripeterà, mi piacerebbe, ma non ci sono più soldi a disposizione. A cosa a portato? Beh, non riesco più a smettere di disegnare per raccontare. Quell’iniziativa ha cambiato la mia vita.
Non le procura dolore disegnare bambini e donne violati?
E’ molto doloroso. Unchildren è stato a tratti lacerante. A volte ho bisogno di lunghe pause. Non ripaga e non soddisfa. Mi gratificherebbe di più sapere che nel mondo non ci sono più sofferenze per orrori e violenze, né fame, né ingiustizie.
Su cosa sta lavorando ora?
Sono impegnata in progetti per contrastare la violenza sulle donne.
Si sente tosta?
So che sono resistente. La vita non è stata facile, ma ho imparato a concentrarmi sugli aspetti positivi.
Per chi le piacerebbe lavorare?
Mi piacerebbe lavorare con chi abbia voglia di approfittare della mia arte per raccontare con me. Mi piacerebbe che mi commissionassero una campagna contro la violenza, che mi dessero uno spazio per fare graphic journalism, che portassero in mostra i miei lavori nelle scuole, che si trovasse un editore per Unchildren. Al libro hanno partecipato alcuni importanti scrittori italiani con 17 racconti. Ne cito alcuni: Eraldo Affinati, Ivan Cotroneo, Fabio Geda, Lia Levi, Paolo Cognetti. Ma non si riesce a pubblicarlo. Non è abbastanza commerciale. Speriamo nel futuro.
Cinzia Ficco