di Enrico Zambruno
Il 31 maggio Stefano ha l’appuntamento più importante della carriera. A Rivarolo, in un palasport che si preannuncia come una pentola a pressione, va per la prima volta a caccia del titolo italiano dei pesi mediomassimi contro il detentore della cintura, il romano Emanuele Barletta. Il match della vita, dove il cuore va oltre ostacolo e avversario. Abatangelo ha un bilancio da professionista da urlo: 16 vittorie, 2 sconfitte e 1 pareggio. Non perde dal 22 giugno 2007. Sapete quanti giorni sono trascorsi, al 31 maggio? 2170. Tanti. Tantissimi. «Questo è il match che sogno da sempre – racconta il pugile -. In questi mesi ho ripercorso tutta la mia carriera, fin dall’inizio. La boxe mi ha sempre dato moltissimo. Fin dal primo giorno, quando entrai in punta di piedi in palestra, a 14 anni e per scherzo, accompagnato dal mio amico Giovanni Delisi, che ancora oggi insegna nel Canavese. Avevo deciso di provare perchè volevo dimagrire. Non ne sono più uscito. Tornai a casa e dissi a mio papà: questa è la mia strada».
E poi c’è la famiglia. Il fratello Roberto da tanti anni gioca a pallavolo con ottimi risultati. Appena non è sotto rete, parte e lo segue. Mamma e papà ci sono sempre stati. «Papà mi ha sempre seguito, prima dei match viene negli spogliatoi, sta con me. Mia mamma è tornata di recente a vedermi, prima pativa un po’. Ci può stare, la boxe non è uno sport come gli altri».
Già, non lo è. Dentro il ring vige la regola che l’avversario non è il nemico. Va rispettato, ogni volta. L’agonismo fa la differenza, quella sottile tra la vittoria e la sconfitta. E la vittoria, per Stefano, si definisce in due semplici parole. «Fatica e allenamento».
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