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Stefano CardarelliPoesie

Da Ennioabate

fellini aAutomat

da un dipinto di Edward Hopper

la mano nuda per aggrapparsi a un fatto…
in un momento di riposo lo sguardo ti ha tradita…
sfonda la patina dell’abito e ricade
dall’ombra del cappello oltre la soglia
del pazzo che ha tracciato le misure…
niente collima fra due deserti attigui
- vuoto di forme l’uno
stipato di carenze l’altro -
niente dimenticherai niente ricorderai
il caldo del termosifone la frutta dietro il tavolo
inerte e guantata come l’altra mano
hai salutato un uomo
e un uomo ti sta aspettando

per il momento attingi
a quella verità che solitaria
diventa una bugia

L’inclinazione dell’impero

come quando vedemmo il sole togliersi
dalle secche di un ramo
lieve come un brigantino…

grande era l’Inghilterra
prodighi i suoi abitanti
presi dal mare in morbide cambuse
e sotto i tetti le balle di cotone…

colpa del viaggio
dell’isola raggiunta
degli scialle di lana e di una buona vista

poi cianfrusaglie
per l’afa dei dintorni
taccuini aggrumati sull’odio della pietra
cani per una slitta
sepolta nell’averno

Difficile navigazione

c’è un manichino che non può cadere
lungo la rotta che ci hanno dato
e a mezzogiorno ci piace
che la sua smorfia sia l’unica
maniera di salvarci

ma più spesso vorremmo deragliare
e parlarci dal buio
evadere la cantilena che trasporta
anche stoffe di sangue ma che non guarda
dove l’urlo è più umano

così senza cadute
il nostro nome inciampa
per discese di ghiaccio
e l’abito si dispone
a un’ulteriore anschluss

Fellini

poco prima di nominarlo e dopo averlo visto
- il baratro della mezzanotte l’asma delle mattonelle -
l’ho coperto col viale di un sogno trasandato
o lui mi ci portava straccio lunare
dentro quel caos come un prezioso cavaliere
a invalidare la presa dell’affanno
a un più compiuto dire…

tutto il brusio del mondo nello stridere
di una trombetta domata sulle punte
della ballerina dai seni
pesanti come il cuore
di un cielo zoppicante

tutto il brusio del mondo
si concentra e cade
mina brillata all’ordine
di una bacchetta gioiosa e guaritrice

in pista fate sghembe e luce che ferisce
la ghiandola del rimorso trovano parole più efficaci
a loro ho affidato un compito più grande
di un qualsiasi monito
vette tonali che il dramma non raggiunge
il sogno della realtà per differenti proporzioni
la libertà del grottesco che uccide la bugia
la noia delle parallele

Prologo per un altro viaggio

alla memoria del viaggio squinternato…
con i raggi di un’altra ruota
confitti come costole
nella mia vecchia carne avendo smesso
di pensare
al ciliegio di quell’autunno terribile
di Dallas e Longarone
strane incursioni
di stalattiti fiorite
su dense primavere

Pioggia futura per un chiarimento
sulle rovine di Romano

come se dovesse giungere da un cielo di catrame
l’altro commento sul borgo seppellito
in una pianura da sonno messicano
senza più sindaco né campanile
con una fabbrica dismessa sul confine
graziato della ferrovia
con ringhiere di ruggine
dove una volta squillava la gerarchia dei gerani
come se da lì dovesse diramarsi
un’altra decisione lo sbroglio riassuntivo
il lampo sul demente
e sul suo censore

Penelope

su un’opera di Elisabetta Bossi

…in questo cerchio mi dovrai aspettare
navigatore distratto
impigliato alla tua stirpe
e alle rotte velate…
ma è strano come sia minuto
questo mio cuore madornale
trasparente fra i rettilinei della mia razza
e pauroso il discrimine tra la notte e il giorno
che mi costringe a disfare ciò che mi appartiene…
che sproporzione dentro il mio silenzio
che voli esorbitanti votati all’ineffabile
mentre il tuo mucchio di croci e cartapesta
sa ritagliarsi perfetta la sua scena…
ma in questo cerchio mi dovrai aspettare

Finale di partita

ben oltre la più flebile
soglia della speranza
con il culo
sul bianco del deserto
con i denti
scuri dentro la sua radice
finalmente mi posso riposare
dare del tu a mio padre e giochicchiare
con il mio cane di stoffa
scambiandomi di ruolo con il signor Clov
sputare le medicine
chiudendo le finestre
davanti a me solo il nero
finalmente
ho finito di scorgere
quel seme all’orizzonte
che doveva crescere
ho raggiunto la pace scalzando le lenzuola
non ho più sassi nelle scarpe
né scarpe da indossare
ho attinto fra queste mura indomabili
il miracolo della salvezza

La voce di Hamm, protagonista della celebre pièce di Samuel Beckett

Garda

stoffe di strenuo azzurro
girate a tutto campo dalla mente
in un bagliore del ’71
sui contorni del lago
vivace come un mare presso l’arca
del padre e dell’eterna
casa di Catullo alle cui stanze rosa
si affollano i parenti
che sono sentinelle contro la polvere
ammiragli sull’anima
turrita dei dintorni

ci sono pianure che dalla glaciazione
non possono più scendere
rocchetti svuotati che continuano
ruotando a irrobustire
in cigolii d’argento
il filo del percorso

Artide – Atlantide

sono rimasto io
e la sedia dei colori
e una garitta d’amianto
sul lago delle nevi

* Stefano Cardarelli

Sono nato a Milano nel 1958.
Ho pubblicato una raccolta, Il collo della ghigliottina ed altre assenze,nel 1987 all’interno di un volume collettivo, con prefazione di Roberto Sanesi, oltre a singole poesie su riviste.
I dieci testi che vi ho inviato sono stati scritti in un arco di tempo relativamente ampio e di conseguenza possono riflettere oscillazioni di stile, oltre che differenti stati psicologici.
Se proprio dovessi definire le mie coordinate espressive collocherei la mia poesia su un versante decisamente visionario, ma non astratto. Una poesia visionaria, dunque, ma che non annulla il codice della realtà, una forma espressionista nella quale è fondamentale la proiezione del sentimento dell’autore sulle cose attraverso un processo di trasfigurazione e di sovvertimento che però, ribadisco, non faccia terra bruciata della realtà, ma anzi ne rispetti l’essenza.


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