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Stefano, Espatriato in Cina, Si Racconta (con Umorismo Fiorentino): Qui Ho Capito che Diverso Non Vuol Dire Sbagliato

Creato il 13 luglio 2014 da Sunday @EliSundayAnne

Vivere e lavorare in Cina JiangmenPhoto credit

Poco tempo fa un signore mi lasciò un paio di commenti a un mio post su un viaggio a Bangkok, e le sue parole mi colpirono: “Sono nato in Cina ma con passaporto italiano e umorismo fiorentino. Sai la Cina al primo impatto è dura…un po’ perché è diversa da come l’abbiamo pensata e forse un po’ sognata. Io ho avuto la fortuna di vedere il film più che la foto, intendo dire che vengo in Cina dall’aprile 1979 e ho visto come vivevano per cui capisco perché…”. E’ stato più forte di me: ho dovuto chiedergli se avesse voglia di raccontarci – con umorismo fiorentino – la sua esperienza cinese.

Non ho cambiato nulla, per non rovinare la spontaneità dei suoi pensieri. Perchè un paese anch’io amo raccontarlo così: nudo e crudo, così come l’ho vissuto.

Fin da ragazzino ho avuto la curiosità per gli altri e l’altro.

A 14 anni, nel ’68, ero zaino in spalla con un amico a Berna, le mie colonne d’Ercole di allora. Però sentivo, viaggiando, un po’ di vuoto: avevo come la sensazione di perdere o di non arrivare mai a qualcosa. Il vedere, visitare posti, alcuni bellissimi come l’Acropoli di Atene o Mont-Saint-Michel mi dava sì piacere, ma avrei voluto vivere realtà diverse. Io volevo vivere un posto dal di dentro, dal basso: che poi è la cosa più bella.

Mio padre era venuto per la prima volta in Cina nell’aprile 1974, alla fiera di Canton; non immaginava che la sua futura nuora, la madre di quello che sarebbe stato il suo unico nipotino maschio, fosse lì vicino, a 80-100 chilometri, e avesse due mesi di vita. Mia moglie è nata nel febbraio 1974. E sono poi dovuti passare 35 anni prima che nostro figlio Matteo nascesse.

Sono venuto per la prima volta in Cina nell’aprile 1979: non pensavo neanche lontanamente che un giorno ci avrei (serenamente) vissuto.

Sono arrivato nel novembre 2007 con un contratto di lavoro (molto volante) con una onlus, la quale onlus – nella migliore tradizione – non mi ha mai pagato.

Ero arrivato con un biglietto aperto di un anno a Canton, e mi sono trovato abbastanza male: dire che tutti più o meno rubavano è il meno. C’era un disinteresse diffuso per il lavoro. L’obbiettivo generale era passare moltissime ore sul posto di lavoro, ma per lavorare il meno possibile, mangiare e dormire.

Dopo 6-7 mesi inconcludenti non ero ancora riuscito a fare una riunione con le cinque persone coinvolte nel progetto. Parlar loro di lavoro non era difficile: era solo completamente inutile.

Quando mi si presentò la possibilità di andare a vivere nella città di Jiangmen – provincia di Guangdong, nella Cina meridionale – con la mia futura moglie, me ne sono andato senza alcun rimpianto.

A Jiangmen, nella migliore tradizione, ho cominciato a insegnare inglese.

Dice Woody Allen: chi non sa fare nulla insegna, e chi non sa nemmeno insegnare, insegna inglese.

Nonostante il mio impegno e i miei sforzi, i miei studenti qualcosa imparano: certo che a chiedere a un cinese (per la mia esperienza, almeno) di fare un programma di lavoro è come chiedere a un rabbino la ricetta della porchetta: minimo ti rivolgono uno sguardo vuoto, al più ti chiedono cosa ti sei fumato. Certo è tutto money money money.

E’ fondamentale però capire da che esperienza arriva il popolo cinese. Con sodisfazione, vedo che le nuove generazioni danno importanza ai sentimenti, si vedono coppiette giovani mano nella mano, il 14 febbraio sempre più persone festeggiano San Valentino, sempre più padri passano più tempo con i figli.

Vivere in Cina è per me anche l’occasione di fare un viaggio dentro di me. Da lì nasce l’opportunità di uscire dal “me” per andare incontro all’altro.

Ho capito, e in senso molto profondo, cose che prima solo sapevo.

Diverso, per esempio, non vuole dire sbagliato.

A Hong Kong guidano a sinistra, ma non guidano nel senso sbagliato. Da Mc Donald’s fanno il caffè lungo, ma non fanno il caffè in modo sbagliato: lo fanno solamente in un altro modo.

Per me che vengo da Firenze, città di persone convintissime di essere il centro del mondo nonchè i censori e unici giudici – per diritto acquisito con Dante e Michelangelo, che poi saggiamente tirarono il calzino all’estero – dicevo, per me è stata una conferma e una scoperta insieme. E per alcune cose la mia visione della vita è più vicina a quella cinese che a quella italiana.

Argomenti importantisssimi quali la vita, la morte, il lavoro, i soldi e il sesso qui in Cina sono vissuti in modo più semplice e naturale. Noi, come civiltà europea, abbiamo fatto tanto, ma in alcuni casi abbiamo complicato cose semplici. Una cosa interessante che ho capito è che in Cina danno un senso diverso alle parole, non si può tradurre famiglia con jioting, figlio con erzi o lavoro con gonzou.

Le differenze, se sono vissute con rispetto, sono creative e arricchiscono.

Mia moglie: poche parole sulla compagna della mia vita. Per lei – attenzione a non generalizzare – l’obbiettivo era il matrimonio, non il marito. E’ “diversamente pulita”, il suo motto è: “Chi urla la vince”. Sei anni con lei equivalgono a circa 30 anni di guerra in Iraq.

Mio figlio Matteo: 4 anni e mezzo e già rompe quanto la mamma. Un po’ confuso fra due modelli culturali diversi. In questo periodo sta vivendo il mamma-time. Però per il mangiare e il divertimento è più per il babbo. Gli ho insegnato a bere birra e vino e a mangiare formaggio. E’ un esercizio quotidiano di praticità. Vorrei che da grande si sentisse cinese E italiano, per fare poi le sue scelte autonomamente. La madre ha già cominciato a dirgli di non sposare una donna cinese (come ha fatto quello scemo del babbo): il pericolo deve essere grande se comincia a metterlo in guardia già da piccolo.

La vita è tutta un bel viaggio, sia un viaggio “fuori da noi”, sia un viaggio “dentro”: la Cina è un grande paese dove le cose si fanno, dove la realtà cambia in continuazione e velocemente – anche grazie a internet – dove la gente lavora, soffre, si diverte ma sempre, sempre, con un grande realismo.

Vivere e  lavorare in Cina

Il mio muso

Vivere e  lavorare in Cina

Il mio erede okimandorlato

 

I loro ritratti  li ho voluti mettere alla fine: sono così interessanti che, visti alla fine, ti rimangono dentro insieme al racconto.

Che impressione vi ha fatto la storia di Stefano? Quale sensazione vi ha lasciato addosso? Condividete i vostri pensieri nei commenti, che sono molto curiosa…


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