Stefano Guglielmin - Le volpi gridano in giardino, nota di Rita Pacilio

Da Ellisse

Stefano Guglielmin - Le volpi gridano in giardino - CFR 2013

Spesso leggere o scrivere poesia significa compiere percorsi non lineari, significa entrare in un labirinto di opposizioni/relazioni, di concetti/spazio-temporali con numerosi nessi che si vengono a stabilire tra le parole e i significati a esse correlati. Evidentemente non bastano, però, i significati o i sintagmi nominali! Il poeta ricerca, con urgenza e improvvisi cambi di prospettive - con tecniche di replica storica e molteplicità interpretativa, con virtuosismi stilistici - i modelli della realtà e le multiformi labirintiche sfumature delle condizioni socio-umane remote, le forme intime e segnate dal passaggio dell’identità dell’essere umano. Cerca e ricerca, con prepotente immagine simbolica, la sua memoria, comunque sopravvissuta al chiassoso realistico mondo in cui continuamente pur si ricrea, si rinnova. Ne Le volpi gridano in giardino, opera poetica di Stefano Guglielmin (CFR, 2013), accade questa resistenza; avviene, infatti, il rapporto comunicativo e continuo con il mondo e le cose che non è allusivo o allucinato: si avverte l’influenza estetica baudelairiana, il suo elegante simbolismo, mai paralisi dolorosa dell’impersonale, ma continua composizione e deframmentazione del reale e della storicità. Guglielmin condivide e coglie i percorsi della storia da un punto di vista oggettivo e allargato, cioè da spettatore, da osservatore/ascoltatore dell’essenziale: ogni tradizione classica educa alla precisione e alla trasparenza dell’esperienza capillare lasciando al lettore la capacità interpretativa delle pluralità dei sensi metaforici. Stefano Guglielmin è un poeta, scrittore, ma è anche un ‘critico’ e, quindi, un conoscitore della ‘verità (per critica letteraria si intende un genere letterario! Berardinelli). Sono veramente pochi i critici/poeti/scrittori capaci di trovare e inventare il confronto ‘drammatico’ tra l’opera e ciò che c’è (in senso allargato) nella cronaca del mondo; e Guglielmin sa mostrare la sua dote preziosissima di appropriarsi di un sentire autentico riconoscendosi nell’uomo/volpe che si espone e descrive con la potenza specialistica del cantore. Il volume racchiude tematiche che occupano sfere personali, aree sociali e storico/culturali che offrono un originale e sorprendente confine/accostamento tra il dissolversi di elementi che si combinano e ricombinano in presenze/paesaggi antitetici, ma allo stesso tempo, in presenze dalle tonalità che hanno connessioni che svelano interpretazioni filosofiche (futuristiche aperture). L’opera, emblematicamente sezionata, così come la parola poetica, incarna la sacralità della Natura e della Vita, nel dettaglio, la coscienza razionale del pareggiamento di ciò che è norma o devianza, di ciò che rispecchia la scia rivelatrice della nostra origine simbiotica e dell’incompatibile fiducia/sordità madre/figlio (C’è bufera dentro la madre). L’autore entra in dialogo con le contraddizioni del suo tempo storico in una condizione privilegiata, da conoscitore esperto di terminologie e di immagini antitetiche che spesso negano oggettivamente e che affermano interagendo linguisticamente, con elegante tono lirico, con le voci del passato ( Canti partigiani): la sua poesia diventa pane, madre, moglie, voce, bocca, (Canti dell’Amore Coniugale) cioè un complesso visionario che ha un ritmo biologico e psicofisico attraverso cui fluisce e defluisce il corso del mistero remoto dell’acqua/cosmo/esistenza. L’acqua, qui, è assolutamente/profondamente vissuta come una divinità terrena in cui si afferma la complessa legge della libertà. (rita pacilio)


da:

Poesie londinesi

Triste è il suo viso come il viso di un poeta,

un poeta senza canto

Virginia Woolf

°

Le volpi gridano in giardino

mentre il barbarico sfibra la tovaglia;

raccoglie Mrs Dalloway la voce e dice:

"Non sembra incredibile la vita?"

°°

Non c'è canto, lo so. Però il corpo

talvolta, parla da solo, ama il fango

più della luce e cancellare tracce

darsi malato...

°°°

Poesia significa, qui, stare fermo

sulla giostra, darsi pace naufragando.

°°°°

Chiede se mi piace ridere

se morire giovani sia peggio.

Ripete due volte le frasi

così che ridere e morire

non siano che verbi da imparare.

°°°°°

Dice tante cose in inglese;

mostrando la lingua, la districa:

il suo sesso non farebbe di meglio.

°°°°°°

Impone qualcosa che suona

come il soffio di un cuore malato;

sembra felice di avere seguaci

in questa impresa.

da:

C'è bufera dentro la madre

C’è, nell’attesa,
un rumore di lillà che si rompe.
E c’è, quando arriva il giorno,
una partizione del sole in piccoli soli neri.
Alejandra Pizarnik

1.

piegato il guinzaglio, versa monete nel vaso, e profumo.

come a febbraio la pioggia nel lago, pensa. poi tocca il ramo, tuttavia

per dire: ecco il mio sesso nel delirio della specie. così si spiega

l'impazienza nella fila e il fatto che, se accende un mutuo,

la luce cambia.

2.

infilando la mano nella tasca, sente il solito ramo

e lo squittio del cuoio. per questo non usa la chiave, entrando.

pare che alla balia annusi le bende, celi il permesso

di soggiorno: la spalancherà, distesa sul bordo del mattino.

giovinezza ha infatti l'oro in bocca e tanti scrocchi da inventare.

[...]

14.

saggia è la bocca nel fare, la sua goccia di vino. e la mano

se fiera mescola il guano. dicono che soldo

sia la forma del saldo, il suo odore. freud lo fa fiorire dal sogno

e porta fortuna, ma solo a chi ne pesta l'impasto o lo posa

con cura sui prati.

15.

io , dice, ma intende quel proprio suo gettato di fuori

l'insieme dei motivi stretti in vita, sui quali regola il canto.

quando d'autunno siede sul limo, il lago dentro si muove

e così i piombi con cui pesca la quiete. d'estate, invece

doma murene e forze piene di spine.

16.

magri dal fondo della buca, gli altri chiedono denari

e una briciola di polka, per la sera. nemmeno alle ceneri

lui invece smette d'ingrassare. appena può, siede sull'orlo

della crepa, con in capo l'elmo a credito e la spocchia

di chi ha i numeri migliori.

17.

la natura gli cammina sulla pancia, si fa largo fra i pronomi

quando dice mio, tuo e degli amici tutti, seduti sul suo pane.

talvolta, mosso dal ramo, sborsa la mancia o adotta da lontano.

meglio se femmina, chiaro: già la vede turista giovinetta

col sedere tondo e fuori, persa nel suo letto.

18.

sui negri non ha nulla da dire, ma per principio

a nessuno volta la schiena. nemmeno al giallo crespo del tatto

quando lei, dolce, lo scuote. vorrebbe il suo cane obbediente

invece la bestia sbava dal labbro, lascia le feci in cucina.

di notte, tutto questo lo sfianca, gli bagna il nervo spinale.

[...]

Se la voce, sola

Se scivola parola al pane, se punge
e amore stacca, se aspra e tenebrosa bianca bocca
spinge e come corta vita brucia o scatta
se solo piove e piove, al ladro rubando tracce
se s’impasta il tempo e pa di padre e ma di madre
spàmpano, non più punta o squadra, non più lago
o tasca o golfo

se amore sgomita per restare, andando verso
tornando, se ogni voce

se ogni voce parla per noi, se ogni voce
alla poesia scalda i piedi, se si fa coro
dentro il legno o si perde
in pace

se io romeo e tu perfetta
in bilico sul canto, su questo
stento

se di nuovo esito tra palude e sorso
e ancora piove e piove e
piove…

Il corpo, talvolta

Pare che il corpo consista
in tante piccole buche, in vuoti vicini,
in imbuti, dove la vita si versa
e scompare. Scroscia invece in quella gora
il volo largo della specie, la spina
che volta in salvia il lutto, e ci fa chiari.

°°

Non c’è canto, lo so. Però il corpo
talvolta, parla da solo, ama il fango
più della luce e cancellare tracce
darsi malato…

Paesaggi con poeta

Ho visto
paesaggi interiori pugnare col grigio deforme
di un umano niente e poeti ratti raccontare l’oggi
per tratti uniformi, li ho visti arrancare in quelle altezze.
Sciupare. E ruine e alme e altre arcaiche moine
rovinare sul testo, rovinarlo. Ma so per converso
di parole per cui si muore. Parole sole, senza paesaggio
nell’intrico dell’erto e del liscio, dove l’eroe s’immola.
E so di banchieri che asciugano risaie, assetano villaggi.

Io per me vorrei uno sfondo che non decori
ma dilati il senso dello stare, un tavolo di frutta
per esempio, e una figura, che sorrida a morti e vivi
senza strafare. Vorrei narrare, ma con spiacere
di mamme vermiglie nel rione degli infetti e di città
imperfette in cui s’annida l’erosione. E di prigione
vorrei dire, esilio dai prati, dai nomi, dove sognare
non l’ora d’aria, sola, ma il guado, e scrivere di te
di quando sfidi rocce e mulattiere
guardando in valle il torbido che cresce
di te, quieta, presso l’acqua dei nevai.

Stefano Guglielmin è nato a Schio (VI) il 6 maggio 1961.

Ha pubblicato le sillogi Fascinose estroversioni (Quaderni del gruppo Fara, 1985), Logoshima (Firenze Libri, 1988),come a beato confine (Book editore, 2003), La distanza immedicata/the immedicate rift (Le Voci della Luna, 2006) Il foglio d’arteIl frutto, forse (L’Arca Felice, 2008), Erosioni, in Dall’Adige all’Isonzo. Poeti a Nord-Est (Fara, 2008), C’è bufera dentro la madre (L’Arcolaio, 2010) e i saggi Scritti nomadi. Spaesamento ed erranza nella letteratura del novecento (Anterem 2001), Senza riparo. Poesia e finitezza (LVF, 2009) e Blanc de ta nuque. Uno sguardo (dalla rete) sulla poesia italiana contemporanea (Le Voci della Luna 2011). Suoi saggi e poesie sono apparsi su numerose riviste italiane ed estere e su siti web. Gestisce il blog ‘Blanc de ta nuque’. Collabora con alcuni editori di poesia italiana contemporanea.



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