Stefano Strazzabosco: tra i numeri e l’illusione della Storia

Da Narcyso

Stefano Strazzabosco, 66, Il ponte del sale 2013

A volte, per cercare di capire un libro che sfugge, per individuare qualche crepa o provare a crearla girando intorno al testo come le città assediate finché almeno una parola non si arrenda e non tradisca, si fanno dei giochetti: in questo caso, riflettendo o facendosi influenzare dai sottili ammiccamenti numerici del testo, osservo quanto segue:
66 sono effettivamente le poesie del libro, raggruppate in 7 sezioni: la prima di 14 (che è un multiplo di 7), la seconda di 7, la terza di 7, la quarta di 10, (un blocco di testi già apparso in una pubblicazione a se stante, quindi con una unità tematica e numerica, credo, non frammentabile); la quinta di 7, la sesta di 7 e la settima ancora di 14.

Magari non c’entra niente, però riporto questa poesia:

Dalle parole nascono le cose
dalla partita a carte
viene il mio fine insieme al disamore

dalle parole nascono le cose
e ogni cosa parla con la voce
della partita a carte

ogni mia carta è buona
come l’amore vuole
e nossignore
nessuna cosa è un’arte

parlano le parole
p.43

C’è un rapporto, qui, tra le parole e le carte, (quali sono le sfere d’influenza rispettivamente delle parole, la poesia, e delle carte, il caso, il destino?). Quindi un rapporto con i numeri.
E ancora:

l’uomo
ad esempio che diviso in punti
dalle famose bisettrici ad aghi
passa volando all’alfa per le ics
in altrettanti luoghi di discordo:
intersecato a tratti, fatto fuori
dal tremolio di questo buio accordo
in sol minore algebrico e perpetuo.

Se l’infinito è una nuvola viola
io sono crepa e tazza,
l’aria diffusa sopra l’alto piano
cartesiano.
p. 33

Ancora un rapporto, dunque, tra “essere” in libertà, (la libertà che si gioca nelle parole) e un “essere” dipendente da situazioni destinali inconfutabili e irrisolvibili (i numeri).

Legato a un palo il logaritmo dei secoli
dormicchia nel suo sonno millenario.
È presto per partire e nonostante
il freddo quello insiste
sul suo tasto di sempre. Sogna. Quando
io taglio il pane, lo condisco, lascio
briciole buone per gli uccelli e i morti
che aspettano pazienti di mangiare.
p.69

Dunque: la Storia e l’uomo abitati da una Storia più grande dentro cui l’uomo si perde, non sa più chi è perché si vede riflesso in specchi di specchi, (si veda tutta la sezione “Lo sparo”, in cui i testi hanno questo tono):

Guardi te stesso che ti guarda e un terzo
te che guarda l’uno e l’altro
dentro la stessa faccia che nasconde in parte
il viale con la piazza, la ringhiera e gli alberi
di là dal vetro della tua finestra.
p.51

Chi è, allora, e che cosa fa l’uccello dal collo di serpente della copertina? (cultura Nazca, Perù). È lo stesso serpente bianco descritto qui?

(pelle di pesce testa di serpente)

Pelle di pesce testa di serpente
cova le uova rosse del domani
in questa casa brucia
come cartuccia guasta in canna. Obtorto

collo mi mira di traverso
chiuso quel volto nelle bianche mani
la sua figura bianca nella mente
bianco lo sguardo, luminoso e terso.

Sopra i minuti resti della cena
sulla tovaglia in taffetà ritorto
mentre gli pulsa il sangue nella vena:
crepita al buio, lautamente assorto.
p. 17

Indubbiamente questo serpente cova le uova rosse del domani. Indubbiamente il domani non può essere che la Storia – e ce n’è molta di Storia in questo libro – e “il mondo è l’illusione dei fatti, non delle cose”, (Wittgenstein citato in esergo).
Nei fatti, dunque, Strazzabosco sembra innestare i suoi versi sibillini, a volte estraniati, a volte ironici fino a torcerli consapevolmente su se stessi – se si torcono le parole, allora si ritorcono i fatti e la stessa Storia che le parole creano:

Data la scarsa mia incidenza di tratto
tratto le cose disalbando il fatto
divincolando ciò che è detto in atto;
quello che tratto che ritratto scarto
dalla mia pelle me, mi
sfratto.
p. 92

Sebastiano Aglieco

Colonia, agosto 2013


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