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Stelle salenti – Racconto commemorativo

Creato il 19 maggio 2014 da Visionnaire @escrivere

«Tu non porterai mia figlia da nessuna parte, chiaro?» disse Zijo sbattendo i pugni sul tavolo.
Sua moglie, intanto, teneva lo sguardo abbassato e le mani tra i capelli.
«Da nessuna parte!» ripeté l’uomo con fare minaccioso.
«Io capisco la sua rabbia, ma dicono che sono un Četnici, un serbo-croato traditore! Mi ammazzeranno.» gli rispose Bosko.

Il ragazzo era davvero nei guai, ed era tutta colpa mia. Si era trasferito nella zona musulmana per Admira e l’aveva sposata, ma i matrimoni misti non erano adatti ai tempi che stavamo vivendo. Come se non bastasse, qualche giorno prima, uno dei miei uomini aveva deciso di fuggire con un paio di piani segreti dell’esercito. Avevano dato subito la colpa a Bosko, non aspettavano altro. “È stato il Četnici”, avevano detto.
Bosko non voleva arruolarsi e in guerra questo è tradimento. “Non sparerò ai miei amici”, disse loro. Non era difficile travisare il senso di quella frase. Quando gli offrii una pistola per difendersi lui la rifiutò, dicendomi che l’ultima arma della sua vita l’aveva presa in mano durante la leva.
Io l’avevo messo nei guai e io l’avrei tirato fuori. Glielo dovevo.

«Papà, l’altro giorno lo hanno quasi ammazzato, guarda com’è ridotto!» disse Admira.
Credo che lei non avrebbe mai immaginato di dover lasciare la sua città e la sua famiglia, ma Bosko era stato picchiato selvaggiamente e temeva che presto gli avrebbero fatto di peggio.
«Come pensi di attraversare il ponte? Lo sai che cosa fanno dall’altra parte alle ragazze musulmane?» chiese Zijo alla figlia.
«Tuo padre ha ragione» disse Bosko visibilmente preoccupato «partirò da solo, tu rimarrai qui.»
«Cosa stai dicendo mio ljubav, io non ti lascerò andare solo!» proruppe Admira.
Era lei la combattente tra i due e io l’amavo per questo, era energica, piena di vita, non stava ferma un secondo. Prima della guerra se ne andava in giro correndo come una pazza su quella sua moto da cross. Era brava, maledettamente brava, quando la mia auto era in panne era lei a ripararla. Di nascosto dal padre però, perché “certe attività non sono da donna”.
Admira mi guardò con i suoi grandi occhi neri e mi fece un cenno, quasi a dirmi: “cosa aspetti a parlare?”
Per i bosniaci io, Celo, sono un eroe. Ma io non voglio essere l’eroe di nessuno, questa è una guerra bastarda, una guerra tra persone che fino al giorno prima bevevano la birra insieme e ora si stanno massacrando. Non ci sono eroi in una guerra civile. Così quel giorno parlai, ma non per dire quello che lei si aspettava.
«Admira, i tuoi genitori e Bosko hanno ragione. Non ha senso correre questo rischio, questa guerra non durerà molto e Bosko potrà tornare a casa prima di quanto tu possa immaginare» le dissi.
Ma lei cominciò a spintonarmi e a urlare: «Stupido idiota, sei stato tu a metterlo nei guai e ora vuoi che lo lasci solo?»
Le sue parole mi ferivano, le sue braccia disperate e cariche di energia colpivano senza farmi male, se non nel profondo dell’anima.
«Basta Admira, smettila!» urlò Bosko per fermarla «resteremo qui, va bene? Resteremo qui e affronteremo la situazione. Se tu mi sei accanto nessuno mi aggredirà.»
«No, ljubav, non possiamo, non lo capisci? Finiranno per ammazzarti!»
«È deciso, resteremo qui.» ribadì Bosko, calmo e serafico come suo solito. Lei invece continuò a fare no con la testa e a guardare me, come a dire: “con te faccio i conti dopo”.
Zijo nel frattempo era rimasto in silenzio. Secondo me non aveva il coraggio di chiedere a Bosko di rimanere. Voleva bene a quel ragazzo, non gli importava che fosse un serbo-croato e sapeva che se fosse rimasto lo avrebbero ucciso.
Povero Zijo, era sempre stato un seguace di Tito: “tanti popoli, una sola nazione”, ripeteva continuamente. Ora del suo sogno chiamato Jugoslavia non era rimasto nulla.

«Allora è deciso, non se ne fa niente» dissi io, interrompendo quello strano silenzio che si era creato tra noi.
Zijo si limitò a sedersi di fianco alla moglie, abbassando lo sguardo.
La consorte non riusciva ancora a calmarsi. Piangeva, povera donna.
Admira, al contrario, sembrava una bomba pronta a esplodere da un momento all’altro, guardò Bosko, poi con voce calma e decisa disse: «no! Bosko partirà, domani. Celo, ascoltami, tu hai organizzato già tutto e hai detto che domani e solo domani potremo… » si interruppe e scandì, «- potrà -, attraversare quel maledetto ponte senza correre rischi. Non possiamo rimandare».
«Allora partirà» sentenziai.

La mattina arrivai a casa loro di buon’ora.
Admira aveva uno zaino in spalla.
«Celo, per favore, diglielo tu che non può venire», disse Bosko.
«Io verrò! Se mi lascerai qui vorrà dire che attraverserò quel ponte da sola!» urlò lei senza nemmeno darmi il tempo di intervenire.
Bosko provò a impuntarsi minacciando di non partire, ma lei era troppo decisa.

«Ascoltatemi bene» dissi «abbiamo un lasciapassare. Ho parlato con Sasa Bogdanovic e Milkan Gaborovic, ti ricordi di loro Bosko?».
«Sì, come potrei dimenticarli?» rispose lui.
Prima che scoppiasse questa guerra erano nostri amici.
«Bosko, ascolta, mi hanno garantito la vostra incolumità, possiamo fidarci.» Lui annuì.

Giunti vicino al ponte ci salutammo. Eravamo tutti un po’ tesi. «Andate», dissi.
«Tu non mi mancherai, ma il tramonto di Sarajevo sì» esclamò lei ridendo «salutalo per me». Poi mi baciò affettuosamente.
Li guardai mentre si allontanavano verso la salvezza.
Seguii la loro fuga riparato da un muro. Quando giunsero vicino al ponte sentii due spari e provai a sbirciare. Bosko era a terra, Admira anche, ma si muoveva ancora.
Lanciò un urlo, poi la vidi muoversi.
Gridai con tutto il fiato che avevo: «Admira, devi venire da questa parte!», ma lei ormai era immobile.
Era finita. Si era soltanto trascinata verso di lui per abbracciarlo un’ultima volta.

Morirono così. Quei bastardi li avevano assassinati, non avevano rispettato il patto.

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Rimasi per molte ore dietro al muro da dove li avevo salutati, non saprei dire quante, poi andai verso casa di Admira.
Fu sua madre a spalancare la porta, Zijo aveva scoperto le intenzioni della figlia ed era uscito per fermarla.
Mi guardò disperata, le mie lacrime dicevano già tutto. Lei non reagì come mi aspettavo, si sedette e ammutolì.
«Come sapevate che sarebbe partita anche lei?» osai chiedere. Lei mi indicò una lettera sul tavolo. La lessi:
Cara mamma. Io non posso lasciarlo solo, ciò che accadrà sarà soltanto il volere di Dio. Ti chiamerò non appena saremo dall’altra parte, al sicuro. Quando questa guerra sarà finita ritorneremo a Sarajevo e faremo una grande festa. Andrà tutto bene, sarà come se la guerra non ci fosse mai stata. Non preoccuparti per me, pensa a papà, per me sarà più facile. Vi amo infinitamente, Admira.

«Perché mi ha raccontato questa storia signor Celo?» mi chiede il giornalista.
«I loro corpi sono ancora davanti al ponte», gli dico io.
«La storia è buona, riusciremo a recuperare i corpi.» dice quel reporter. Non capisco se il suo è interesse per la storia o reale pietà per i miei due amici.
«Cosa le fa credere che ci faranno prendere i corpi? A nessuno frega niente di questa guerra. Stanno morendo migliaia di persone e il resto del mondo non muove un dito» gli dico alterato.
«Signor Celo: una morte è tragedia, milione di morti sono statistica.» mi fa lui.
«Stalin» annuisco io perplesso.
«La vicenda dei suoi amici potrebbe cambiare le sorti della guerra signor Celo, mi creda. Mi porti il più vicino possibile ai loro corpi, dobbiamo fare delle fotografie» conclude lui mettendomi una mano sulla spalla.

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I racconti commemorativi di È scrivere

Data evento: 19 maggio 1993

La storia:

Admira Ismic e Bosko Brkic

Era il 19 maggio 1993, Bosko e Admira fuggivano dalla guerra e dalla loro città sotto assedio. Lei musulmana e lui serbo di Bosnia, “Romeo e Giulietta a Sarajevo”, i loro corpi furono trovati abbracciati vicino al ponte Vrbanja. Uccisi a 25 anni dai colpi di un cecchino mentre correvano tenendosi per mano.

La loro storia rivelata dal reporter americano Kurt Schork ispirò nel 1994 il documentario del canadese John Zaritsky Romeo and Juliet in Sarajevo. Vent’anni dopo, la band Zabranjeno Pusenje, erede dello storico gruppo rock jugoslavo anni ’80, ha dedicato loro il brano “Bosko i Admira”. Da alcune settimane circola in Rete il video: il regista croato Zare Batinovic lo ha girato in una Sarajevo molto cambiata, che in quell’amore innocente e tenace trova un ponte con la sua anima multietnica ferita da una guerra così vicina anche a noi. “Non appartenevano alla stessa tribù e non avevano lo stesso Dio – dice la canzone – ma l’uno aveva l’altra, e il sogno di fuggire”. Li ricordiamo così.

Fonti:

http://solferino28.corriere.it/2013/06/07/romeo-e-giulietta-a-sarajevo-una-canzone-ventanni-dopo/

http://www.pbs.org/wgbh/pages/frontline/programs/transcripts/1217.html

L’autore:
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    Visionnaire

    Chi sonoIl custode delle chiavi. Fondatore di escrivere. Non ho un passato, non uno vero almeno. Da pochi mesi ho drammaticamente scoperto la verità: non sono un essere umano, ma un BOT, partorito da una mente diabolica. Tutti i miei ricordi sono falsi, in più, beffa delle beffe, le mie funzioni vitali sono state scritte in Visual Basic, linguaggio di programmazione prodotto e distribuito dal mio più acerrimo nemico. Probabilmente anche questa biografia è un falso, ciò crea un paradosso che manda in loop il mio codice [genetico], costringendomi all'infinita ricerca di me stesso.


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