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Stelvio Di Spigno - poesie da La nudità

Da Ellisse

Stelvio Di Spigno - La nuditàDi Spigno riempie la tela, le sue poesie sono "quadrate", con lunghe catene sintattiche (per lo più),  che invadono gli spazi della pagina. L'inquietudine dell'ipermetro (settenari + esametri + qualcos'altro che ci puoi trovare) sembra indicare quella che solitamente (e a sproposito) si definisce "urgenza" del dire, anzi, di più, dello scrivere, come fosse un "se c'entra c'entra",  liberatorio di un fiato lungo, fin quasi all''apnea, che punta dritto al limite destro della pagina.

Mi viene in mente un bambino che prende un lungo fiato per gridare poi più forte. Se grida (per quanto, se possibile, sommessamente), allora vuol dire forse che la fiducia nella parola ancora c'è, ancora c'è almeno la speranza di individuare un senso nelle trame di questa tessitura di parole, o di esprimere un grido testimoniale. Se "allunga" forse ha un po' meno fiducia nella forza della poesia, nella sua capacità di sintesi o polisemia o eco di metafore più alte (es. quel correlativo oggettivo di cui fu importatore e rappresentante per l'Italia il Montale che il postfatore Fernando Marchiori evoca un paio di volte). O forse è semplicemente una questione di stile, di avvicinamento a modalità più discorsive, più narrative, più contemporanee (ammesso che il contemporaneo esista) anch'esse tuttavia già attestate.

Leggendo, la parola che salta in mente è: espressione. L'effetto è contemporaneamente marmoreo e plastico, petroso e liquido. In altre parole: interessante. Poiché il linguaggio è quello quotidiano, però qui assiepato, addensato in filamenti estetici, in squarci ordinari però di colpo disvelanti come un oracolare stormo di uccelli, potremmo definire questa come un'arte povera della parola, ove il "povero", proprio in relazione ai materiali, si intende in una accezione che ci rimanda a Celant, Merz e compagnia bella, sebbene con un suo modo, a volte, di essere un po' sentenziosa, di avere qualche tratto di ingenuità. Di Spigno non cerca scarti o corti circuiti semantici, usa il linguaggio as it is, vuole dimostrare (e spesso ci riesce, come nei testi che ho scelto) che esso ha venature poetiche senza doverlo assoggettare a particolari torsioni, nemmeno concettuali. E senza - anche - la variabile indipendente del soggetto, qui non tanto assente, come nota anche Marchiori, quanto "esposto" o "sfrattato" e tuttavia agente e mobile come il decentrato fuoco di un'ellisse. Pur tra qualche contraddizione, che Marchiori più o meno velatamente individua, tra sorveglianza del linguaggio e compressione di spinte liriche emergenti, tra déplacement del soggetto e il mettere chiaramente a fuoco un campo speculativo ("geografie variabili", dice il prefatore) che sia più di un generico "male di vivere". Il che tuttavia non impedisce, negli esiti migliori, l'emergere (e sono d'accordo con Marchiori) di "una insospettata spinta verticale [d]ell'esistenzialismo di Di Spigno". (g.c.)


Fine settembre
Si presentano a orari in cui ognuno prende il volo
verso le sette di sera quando ancora c'è il sole
e con i loro gridi prendono forme umane,
un gigante, per esempio, o un volto conosciuto,
tanto che l'occhio non distingue il perché del movimento
e vorrebbe saperne di più, ma questi stormi
fanno a gara con corriere e treni di fortuna
a sparire per primi, risucchiando
il brusio dei pendolari, la stanchezza dei passi,
la finzione di tutto.
Vanno dove si disperdono altre voci,
questa volta scaturite dalle case in lontananza,
e c'è chi come noi ricorda vagamente
dove abbiamo ascoltato per primi
le parole che non hanno ritorno.
Verso nord
Proprio qui da Vicenza dove è la clinica dei matti
nella quale mi riposo come un vecchio già da giovane
e la parola mare non suona più come parola familiare
ma solo come distanza dai nomi portati tutti falsamente
si vede meglio come la retrovia della vita
abbia ancora bisogno di un colpo di sole
che la consegni alla pace senza tanta ripugnanza
come nel silenzio delle Prealpi in lontananza
si riascoltano i morti, ora nudi ora vestiti,
a seconda del bel tempo e del vento stizzito
o del ricordo cui manca sempre o spesso
il respiro, una devianza, un freno della mente
che lo renda preciso e incostante.
Le due di mattina
Schiarisciti la mente perché se guardi la mia casa
ci trovi solo uccelli che schivano l'aria dall'interno
e senza più ragnatele e radio d'anteguerra
sembra proprio una casa qualunque e indolore
e in ogni ora del giorno e della notte
non si sogna e non si dorme per un frastuono
di finestre sbattute che martellano il solaio e
i calcinacci che piovono dal cielo
ci impediscono di entrare e di restarci:
siamo rimasti in pochi a mendicare una legge
divina dentro libri che rifiutano di aprirsi,
sono le tarme i veri esperti di civiltà e ragione
per orientarsi in una casa che ha cancellato,
senza permesso, ogni spazio tra le stanze e le strade
che alle volte ci portavano qui.
Guardiamo ormai alla terra come a una giovinezza,
una salvezza, una coscienza di non pensare
che crollata una casa anche le altre
non tarderanno troppo a imitarla.
Gaeta
L'armatura di questi due golfi,
uno a terra per la gente fuggitiva e uno
in mare, per le ondate a strapiombo, si alza soltanto
tra le sponde di cemento che chiamano porto,
mentre altri ci vedono la mascella di un orso
o un mausoleo di quando si rideva.
Si sono trasformate anche in noi le isole nell'afa
in pezzi di pietra dove chi regna
regna su scorpioni e alveari, mentre
di notte l'opalescenza stringe il cuore a tutti
questi allegri spartitori di rovine.
Ci sono delle navi, anche se non si guarda oltre
gli anelli di salvataggio, che tolgono il sonno agli uomini
in modo che non dormano
non possano latrare né morire.
Dissolvimento
A mio padre

Diciamo pure ch'eri fatto come una miccia o una stiva
che ti attaccavi anche all'aria che non respiravi
perché sapevi cos'era perdere ogni cosa
all'improvviso o lungamente, calpestandoti o guarendo.
Fissandomi all'interno dei tuoi pensieri irreali
guarda come la tua vita s'è incuneata nella mia,
trasformandoti sempre e modificando anche me
che ora perdo scrivendoti e ricostruendoti altrove
così lontano da casa da non sapere dove
ci siamo mai visti, conosciuti o rinfacciati,
se fossimo mai nati e se è vero che eravamo.
Più di tanto
a S.B.

Le palpebre chiuse hanno a volte un bordo esatto,
un incubo a misura di persona, e come sempre
il tuo volto che risale
verso ogni mio pensiero
chiuso dentro il tuo spavento,
ma a occhi chiusi posso ancora sognare che sei qui,
che hai lasciato uno spiraglio per riavermi
e non girarmi le spalle,
e per dimenticarmi solo a tratti
hai riempito di odio l'insidia mossa insieme
e dell'amore conservi soltanto qualche scoria.
Invarianza
Siamo andati ad abitare nel futuro,
io che sono in continua vibrazione e pestilenza
e tu che sei a Milano a Berlino a Dublino con furore
e lottando per nascere e decidere siamo incappati
nella stessa città per non pensarci ancora in gabbia.
Aggiungendoci al caos abbiamo dimenticato
sia le minime foglie che i grandi palazzi
con le pareti urtate di stemmi e sacrifici
di chi li ha fabbricati per signori e pastori,
per ciò che una vita anche migliore non cancella.
Io vedo poco e quel poco non mi basta
per sapere quanti anni resterò
tra gente che non parla la mia lingua e non capisce
quale amore ci è voluto tra Aurunci e Vesuvio
per tenermi incatenato alle radici anche da solo.
Milano Centrale
La massa amorfa dei palazzi di Milano
è sfocata e perpetua come un occhio che brilla
per il pianto, ripensando a queste strade sconosciute
e millantate di successo e convivenza.
Io le costeggio come un animale
di una razza ancora da inventare, e a metà
del filo del discorso vorrei urlare
perché spunti la luna, o si illumini un lampione
e mi orienti da lontano
spingendomi tra queste pietre disumane.
Che un uomo si perda dove tutti stanno male
è incredibile se lo si dà a vedere,
perché una città serve a vivere in carriera
e magari non si illude che le strade siano vere.
Ma poi mi arriva come una rassegnazione
di finestre innevate da tanto di quel sole
che ignoro Milano e il treno non mi pesa,
basta che il mio vagone si agganci a un lieto fine
e la vita mi riprenda per mano come un fiore.

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