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È dagli albori del tempo che l’uomo pensa alla morte, una questione vessata quanto quella della vita, della sua origine. Soprattuto pensa alla propria, di morte: al quando, al come, al perché, al dopo soprattutto. Ha riflettuto a lungo, l’uomo, spaventato dalle sue stesse potenzialità, all’atto sovrano più forte e terrifico, quello della morte auto-inflitta.
Il tema del suicidio intrise la cultura classica, la letteratura contemporanea ne ha attinto a piene mani, Cesare Pavese lo cantò, lo evocò quasi, più e più volte, prima di ingerire una quindicina di scatole di barbiturici in una stanza d’albergo di Torino.
O gli eroi in millenni di guerre, sprezzanti, impavidi, con negli occhi delle vittorie mille volte più importanti della loro stessa esistenza, che andavano sorridenti “a cercar la bella morte”.
Un suicidio, insomma, a suo modo degno, ispirato da un profondo dolore, o dalla “lontananza dal mondo”, o dal prevalere impetuoso dello spirito, o comunque una rinunzia alla vita in nome di valori più alti, più forti, sovraumani.
Ma oggi non è così. Oggi il suicidio è per insolvenza, per debiti, per mancanza di futuro. Per quella che ancora dicono essere una “crisi”. Questa domenica, una notizia è venuta a rompere la calma del tedio pomeridiano. Una notizia dal gruppo di controinformazione “Lo Sai?”. Una delle tante, tantissime lettere che ricevono per posta elettronica da disperati senza lavoro, senza denaro, senza prospettive pensionistiche, che manifestano la volontà di uccidersi.
Già, uccidersi. Non è difficilissimo farlo, a ben vedere. La disperazione, il dolore, per i più pavidi una bottiglia di superalcolico o qualche pastiglia possono essere più forti della paura di fare il nodo a una corda, di fare un salto al di là della ringhiera del balcone.
Ma questa persona aveva problemi più grandi: le sue figlie, le sue bambine, cui non poteva garantire alcun futuro. Già, si chiedeva, come troverò il coraggio per uccidere anche loro?
La lettera, che il gruppo di “Lo Sai?” non ha potuto che girare, con spirito compassionevole, ai carabinieri e – con poche speranze – alle forze politiche, a quella “politica” che dovrebbe operare per il bene del popolo, cui hanno ribadito la necessità impellente di mettere in atto quanto meno una moratoria delle pratiche usuraie di esazione che stanno strozzando sempre più larghe fasce di popolazione.
Già, la politica, i partiti.
Quelli che ti strozzano con le tasse e con la “flessibilità” del lavoro per pagare il dazio all’eurocrazia di Bruxelles.
Chissà a cosa pensano quando cantano le lodi di nani e ballerine che in televisione leggono la Costituzione, quella costituzione che prescrive che al lavoratore debba essere in ogni caso garantita una retribuzione sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa.
Chissà a cosa pensano quando sociologi ed economisti dicono chiaramente che non è la povertà ad indurre al suicidio, ma l’assenza di tutela da parte dello Stato, l’assenza dello Stato tout court, la solitudine, la mancanza di uno spirito organico di comunità?
Cosa pensino, non ci è dato saperlo. Sappiamo però noi, di loro, cosa pensare.
Dovremo combatterli fino all’ultimo respiro anche perché ci sono uomini, in un pomeriggio come un altro, che pensano a come trovare il coraggio, a come fare per uccidere i loro figli, per mettere una pietra tombale sul nostro futuro.
Un popolo che vuole vivere non può più tollerarlo.
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