Autore: Mirko Tondi
Che Stephen King sia uno scrittore molto prolifico, questo lo sappiamo. Che siano state tratte decine di pellicole dai suoi romanzi e racconti, certo, lo sappiamo perché ci sarà capitato senz'altro di vederne qualcuno. E pure che, tra incidenti e dipendenza da alcol e sostanze, abbia avuto una vita travagliata, bene o male sappiamo anche questo. Leggendo l'autobiografia On writing ci si potrà impressionare per le descrizioni di certe situazioni che lo ritraggono in preda all’ alcolismo e alla tossicodipendenza: scene reali che lo vedono bere una cassa di lattine di birra da mezzo litro ogni sera e persino bottigliette di colluttorio; pagine che gli fanno dire cose del tipo «Siamo tutti uguali quando vomitiamo ai bordi della strada» o che ci restituiscono l'immagine di un genio allo sbando, che nemmeno si ricorda di aver scritto un libro come Cujo da quanto era sbronzo. La sua storia, come quelle nate dalla sua fantasia, sembra fatta apposta per finire nelle sale cinematografiche. Un legame, quello tra King e il cinema, che comincia nel 1976, quando Brian De Palma, regista virtuoso e in netta ascesa, decide di portare sul grande schermo Carrie – Lo sguardo di Satana, personaggio che acquista il volto innocente e lentigginoso di Sissy Spacek (tra gli interpreti anche John Travolta). Carrie White è una ragazzina dotata di poteri telecinetici, che deve sopportare il fanatismo religioso della madre; la furia di Carrie si scatenerà contro i compagni di classe, colpevoli di uno scherzo a dir poco pesante nei suoi confronti (la pellicola può vantare due remake: quello di David Carson del 2002, passato del tutto inosservato, e quello di Kimberly Peirce che uscirà nel 2013, con Julianne Moore tra le attrici). Passano quattro anni ed ecco la volta del capolavoro Shining, di cui saranno ben note la potenza orrorifica resa dalla steadycam di Stanley Kubrick e l'inquietante presenza di un diabolico Jack Nicholson: Jack Torrance, insegnante senza lavoro, alcolizzato e con velleità di scrittore, accetta l'incarico di custode in un albergo sperduto tra le montagne innevate del Colorado, dove si recherà insieme alla suscettibile moglie Wendy e al figlioletto Danny (che ha il potere del titolo, appunto lo “shining”, tradotto in italiano col termine “luccicanza”). Nel 1983, altri due grandi registi, uno canadese e l'altro statunitense, traspongono ancora due romanzi di King: La zona morta (David Cronenberg), in cui Christopher Walken veste i panni di un professore risvegliatosi dal coma con l'ingombrante capacità di predire il futuro (dal 2002 al 2007 viene anche prodotta una serie televisiva con lo stesso titolo); Christine – La macchina infernale (John Carpenter), che vede tra gli attori anche il caratterista Harry Dean Stanton, è, invece, la storia di una Plymouth rossa fiammante e dell'anima assassina che la abita. Dopo qualche anno di pellicole non certo esaltanti come Cujo, Grano rosso sangue, Fenomeni paranormali incontrollabili e L'occhio del gatto (questi ultimi due con una Drew Barrymore ancora bambina, dopo il successo di E.T.), ecco che King torna grande al cinema nel 1986, grazie a Rob Reiner con Stand by me – Ricordo di un'estate, avventura crepuscolare di quattro ragazzini alla ricerca di un coetaneo scomparso (nel cast il compianto River Phoenix, Kiefer Sutherland, Richard Dreyfuss e John Cusack). Una parentesi di quattro anni (durante la quale escono, tra gli altri, L'implacabile, con Arnold Schwarzenegger, tratto da un romanzo firmato con lo pseudonimo di Richard Bachman, e Cimitero vivente, con la colonna sonora dei Ramones) lo separa da un'altra pellicola cult: Misery non deve morire. Il film, diretto ancora da Reiner, regala un meritatissimo Oscar alla protagonista Kathy Bates, ammiratrice psicopatica dello scrittore di successo Paul Sheldon (James Caan), finito tra le sue mani dopo un grave incidente con l'auto e immobilizzato a letto con entrambe le gambe fratturate. Gli anni ‘90 continuano nel segno di It, miniserie televisiva in due puntate che ha per protagonista uno spaventoso Tim Curry: Pennywise, pagliaccio demoniaco, si nasconde nelle fogne e divora bambini dopo averli attirati con l'inganno. Dopo il trascurabile A volte ritornano (1991) e l'interessante (anche se non pienamente riuscito) Il tagliaerbe (1992), tre artigiani del cinema calano il loro tris: George Romero, celebre regista della serie Zombie, dirige La metà oscura, in cui Timothy Hutton deve avere a che fare col suo doppio; Frank Darabont racconta l'epica fuga di Andy Dufresne (Tim Robbins) dal carcere di Shawshank in Le ali della libertà (dirigerà in seguito anche Il miglio verde, nel quale un gigante nero rinchiuso nel braccio della morte manifesta i suoi poteri extraterreni, e The mist, storia di un gruppo di persone rifugiate in un supermercato per sfuggire a una nebbia che nasconde creature mostruose); Tobe Hooper, già regista dello slasher movie per eccellenza Non aprite quella porta, adatta The mangler, in cui Robert Englund (mister Freddy Krueger della saga Nightmare) è il titolare di una lavanderia e di una stiratrice che richiedono sacrifici umani. Gli anni 2000 non aggiungono molto valore alla filmografia tratta da King, se non fosse per lo scialbo Secret window (scrittore col blocco si vede rivendicare i diritti di un romanzo) e il dignitoso 1408 (ancora uno scrittore, ma stavolta alla ricerca del brivido, si ritroverà confinato nell'incubo di una stanza d'albergo maledetta).
È previsto per il 2013, oltre ai remake di Cimitero vivente (con il francese Alexandre Aja dietro la macchina da presa) e di L'ombra dello scorpione (già serie televisiva nel 1994, sarà stavolta un film diretto da Ben Affleck), il film di Jonathan Demme (premio Oscar per Il silenzio degli innocenti) 11/22/63, viaggio nel tempo per cercare di salvare il presidente Kennedy e cambiare la storia. Stephen King, invece, la storia l'ha già cambiata. Quella della letteratura. E quella del cinema, con più di cinquanta trasposizioni all'attivo. Chi altro come lui?