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Stephen Lendman: «Gli attacchi di Oslo: l’evidenza indica un’operazione eseguita sotto ‘falsa bandiera’».

Creato il 29 luglio 2011 da Tnepd

Stephen Lendman: «Gli attacchi di Oslo: l’evidenza indica un’operazione eseguita sotto ‘falsa bandiera’».

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Stephen Lendman: «Gli attacchi di Oslo: l’evidenza indica un’operazione eseguita sotto ‘falsa bandiera’».
Stephen Lendman, autore dell’articolo tradotto di seguito, è un vero e proprio ‘guru’ dell’informazione alternativa negli Stati Uniti. Vive a Chicago dove conduce un programma radiofonico in cui dialoga con i maggiori filosofi ed esponenti delle sfere accademiche impegnati sul fronte della lotta all’imperialismo USA-israeliano, come James Petras, John Pilger, Franklin Lamb, Paul Craig Roberts, Jeff Gates – per nominare solo alcuni dei personaggi molto noti nella blogosfera internazionale, fequentatori abituali del ‘salotto’ politico di Lendman.

L’autore è di frequente interpellato dai canali di news internazionali Press-Tv e RT per fornire le sue analisi sempre molto argute e competenti degli eventi politici internazionali e americani. È anche autore di innumerevoli articoli di alto profilo divulgativo, pubblicati nel suo blog e sistematicamente ripresi nei maggiori siti aggregatori di lingua inglese.

Stephen Lendman: «Gli attacchi di Oslo: l’evidenza indica un’operazione eseguita sotto ‘falsa bandiera’».Per il prossimo settembre è prevista l’uscita sul mercato dell’editoria l’opera di Stephen Lendman dal titolo How Wall Street Fleeces America: Privatized Banking, Government Collusion and Class War (e cioè, come Wall Street spella l’America). Il libro è pubblicato da Clarity Press, l’editore americano della trilogia di Alan Hart sul sionismo dal titolo Zionism: The Real Enemy of the Jews, già presentato ai lettori di questo blog.

Non di rado all’autore viene rivolta la domanda: «Il tuo nome tradisce chiare origini ebraiche. Come si concilia questo con la tua feroce campagna di opposizione a Israele e al sionismo?» – alla quale Stephen Lendman è solito rispondere con l’abituale tono pacato che tradisce un senso dell’ironia, profondità d’animo e buonumore ‘nonostante tutto’. «Mi reputo un uomo con una coscienza, sono ebreo per caso, questo è tutto»

L’articolo che segue è il terzo di una trilogia che Stephen Lendman ha scritto in seguito agli attacchi di Oslo. L’autore termina l’articolo con “un commento finale che tuttavia abbiamo preferito inserire all’inizio della versione italiana, in quanto permette al lettore di capire immediatamente dove l’autore vuole ‘andare a parare’ con la sua analisi ‘dietro le quinte’ delle stragi di Oslo e del profilo dell’uomo ritenuto per ora unico attentatore.

Gli attacchi di Oslo: l’evidenza indica un’operazione eseguita sotto ‘falsa bandiera’
di Stephen Lendman Un mio articolo del 2010 si occupava dell’Operazione GLADIO, l’esercito segreto della NATO. Gestita dai servizi segreti europei in collaborazione con la Nato, la Cia, e i servizi di intelligence militare britannici MI6 e SIS, la Gladio prendeva di mira la sinistra politica per impedirle di prendere il potere. Le missioni clandestine di Gladio comprendevano attentati, uccisioni mirate e altri atti belligeranti. Ma si presume che tali operazioni clandestine siano ancora in corso. Gli attacchi a Oslo ricordano quelli di Gladio - questa volta forse un’operazione gestita dalla Cia, dal Mossad o dall’MI6, oppure un’operazione congiunta, che si è servita di Breivik come esecutore per scopi di depistaggio. Non sarebbe certo la prima volta che un capro espiatorio paghi per chi trama nell’ombra. Basti pensare ai casi di Lee Harvey Oswad (assassinio John Kennedy), di Shiran Shiran (assassinio Bob Kennedy), di James Earl Ray (assassinio Martin Luther King), o dei presunti autori degli attacchi dell’11 settembre al World Trade Center di New York – e di tanti altri che hanno pagato individualmente per le trame machiavelliche di chi le fa eseguire con l’inganno. “Raramente le cose sono quelle che sembrano” – dice un vecchio adagio. Mediante l’assistenza sostanziosa dei media di massa, gli artisti della disinformazione sono all’opera per deviare l’attenzione pubblica dalle realtà e verità cruciali, giocando il solito ruolo di guardiani dell’inganno, scodellando fiumi di fiction invece di fatti.

Come da copione, appena arrivata la notizia degli attacchi di Oslo i media americani si sono precipitati a suggerire presunte piste di militanti islamici, citando ad esempio il nome di Ansar al-Jihad al-Alami (ovvero, gli Aiutanti della Jihad Globale), nonostante l’esistenza di questo presunto gruppo jihadista non sia mai stata neanche provata. Ad oggi nessuno sa se davvero esista.

Ecco un esempio che al meglio illustra come la stampa usa i fatti per insinuare sospetti infondati in favore di teorie di comodo, manipolando l’opinione pubblica.

Il 22 luglio, due giornalisti del New York Times, Elisa Mala e J. David Goodman hanno scritto un articolo intitolato “Almeno 80 morti nella sparatoria in Norvegia”, in cui sostengono quanto segue senza prove a sostegno:

«Sono ampiamente fondate le preoccupazioni che i responsabili siano terroristi (islamici). Nel 2004 e ancora nel 2008 il n° 2 di Al Qaeda, Ayman al-Zawahri, ora in carica dopo la morte di Osama bin Laden, ha minacciato la Norvegia a causa del suo contributo alla campagna militare della Nato in Afghanistan».

Il fatto è che non esiste alcuna prova verificabile per le pesunte minacce. La tesi dei due giornalisti si basa sulla presunta registrazione di un tape di Al Qaeda del 2003, in cui i musulmani vengono esortati a colpire i centri finanziari e le ambasciate di USA, GBR, Australia e Norvegia in ritorsione per il loro coinvolgimento in Iraq e Afghanistan.

E’ noto che molte registrazioni audio e video si sono rivelati dei falsi, come lo è forse anche questo. Eppure i media americani, compreso il NYT, li riportano come ‘fatti’, raccontando menzogne a favore degli interessi che loro rappresentano.

Al di là di questo, tipicamente il Times neanche si preoccupa di indagare seriamente (per mezzo dei suoi articoli) sui veri motivi per cui la Norvegia è stata attaccata. Si dichiara invece sorpreso per «l’assalto a questo paese scandinavo pacifico» (le implicazioni qui sono molteplici e varrebbe la pena approfondire o almeno riflettere).

La Norvegia è, ovviamente, un membro della Nato. Ha un contingente simbolico in Afghanistan, e ha acconsentito a fare parte della coalizione anti-Gaddafi per tre mesi, dichiarando in maggio che avrebbe gradualmente diminuito il proprio contingente fino al ritiro totale entro il 1 agosto (2011).

Ma il Ministero degli Esteri USA ha criticato il governo norvegese accusandolo di «mancanza di impegno», preoccupato che avrebbe influenzato altri stati membri della Nato a ritirarsi. Infatti il 10 giugno l’Olanda ha annunciato che avrebbe continuato a contribuire alla “no fly zone” sulla Libia, senza tuttavia partecipare ai bombardamenti aerei.

Dal 22 luglio – data dell’attacco di Oslo – i media occidentali, e quelli americani in particolare, hanno insistito sulla versione dell’attentatore singolo, isolato, focalizzando l’attenzione esclusivamente sul «cristiano fondamentalista di estrema destra Anders Breivik», sposando la tesi che un solo individuo sia stato in grado di eseguire l’impossibile: progettare e mettere in atto un sofisticato attentato con autobombe probabilmente multiple (secondo l’opinione espressa da molti esperti), poi partire per l’isola di Utoya e uccidere da solo (indisturbato per due ore) decine di ragazzi.

I presunti moventi di Breivik riflettono le sue ideologie di destra e l’ostilità verso l’Islam e il multi-culturalismo. Sappiamo che ci sono tanti che la pensano come Breivik, ma non vanno in giro a mettere bombe agli edifici governativi o a uccidere ragazzini in massa. E’ chiaro che il 22 luglio è successo qualcosa di completamente diverso (rispetto alle apparenze).

In due articoli precedenti ho già fatto alcune ipotesi sugli attacchi di Oslo.

Nel primo mi sono chiesto chi abbia da guadagnarci e chi abbia da perderci in ogni attacco terroristico: certamente non coloro che vengono arrestati, incriminati, condannati e messi in carcere. Sono sempre gli interessi geo-politici la chiave di lettura per comprendere.

Nel secondo ho suggerito una connection con Israele, in ragione delle politiche della Norvegia favorevoli alla Palestina, compreso il supporto per l’indipendenza della Palestina e per il suo riconoscimento come stato membro dell’ONU.

Eileen Fleming osservava che gli attacchi di Oslo si sono verificati nel giorno del 65esimo anniversario dell’attentato al King David Hotel (1946), eseguito da parte di terroristi pre-israeliani della Irgun il cui capo era il futuro premier israeliano Menachem Begin. Fu un massacro che fece 92 vittime tra inglesi arabi ed ebrei, e 52 feriti. David Ben-Gurion, allora capo della Agenzia Ebraica, approvò il massacro.

Sia prima che dopo quell’attentato, arrivando fino ai giorni nostri, Israele ha effettuato numerosi attacchi terroristici, e ha compiuto (o tentato) molte migliaia di omicidi mirati. Forse Oslo è stato il suo attentato più recente, commesso da solo (Mossad) o congiuntamente con la Cia e/o altre sue controparti dell’intelligence occidentale.

L’esperto Bob Chapman, ospite frequente del mio programma radiofonico Progressive Radio News Hour, ritiene che l’attacco di Oslo sia un’operazione eseguita “sotto falsa bandiera” (false flag operation), e cita due possibili motivi:

  1. l’uscita completa della Norvegia entro il 1° agosto dalla coalizione Nato in Libia; e
  2. il rifiuto di partecipare al piano di salvataggio della Grecia mediante il contributo richiesto di 42 milioni di dollari, definendolo uno spreco di denaro, dicendo con molto buon senso che il governo Papandreou dovrebbe semplicemente rendersi inadempiente.

Di conseguenza, commenta Bob Chapman, “le banche coinvolte sono alquanto seccate con la Norvegia, e credo proprio che questo aspetto, oltre al ritiro dalla campagna militare in Libia, sia il motivo alla base dell’attacco.” Aggiungeva inoltre:

«Breivik probabilmente era sull’isola di Utoya per uccidere il primo ministro Jens Stoltenberg (governo di sinistra) la cui presenza era prevista per quell’orario ma per un qualche motivo non era ancora arrivato al raduno politico. L’avvertimento alla Norvegia implicito nel massacro sarebbe: “fai ciò che ti diciamo di fare o faremo esplodere una bomba nel bel mezzo della tua capitale come ritorsione da parte delle banche” …»

Il 25 luglio Paul Joseph Watson ha scritto un articolo pubblicato su Prison Planet dal titolo “Anders Behring Breivik: un capro espiatorio?” in cui faceva notare che su Facebook erano apparsi due profili diversi di Breivik, uno prima e l’altro dopo l’attentato del 22 luglio, e che «il primo, quello in lingua norvegese, è stato cancellato pochi minuti dopo che la sua identità venne resa pubblica». Una versione ritoccata, in lingua inglese, ha sostituito quella norvegese, cambiando il profilo di Breivik per adattarlo al crimine.

«Ad esemio – diceva Watson – è stata cancellata la parte che rivelava l’interesse di Breivik per Winston Churchill e per il leader della resistenza anti-nazista Max Manus». Faceva inoltre notare l’articolo che i post di Breivik su internet lo caratterizzano non come un cristiano populista conservatore, ma come un neo-con (neo-conservatore sionista) sostenitore di Israele.

Inoltre, il Consiglio dei Conservatori commentava che nessuno dei suoi post su internet «era estremo o suggeriva un desiderio di commettere atti di violenza». Breivik diceva di essere un ammiratore di «Hans Rustad, un ebreo che un tempo era di sinistra ma poi è diventato un neo-con (sionista) di destra».

La versione ritoccata del profilo su Facebook ha trasformato «un neo-liberale, neo-conservatore filo-israeliano in un cristiano fondamentalista, un fanatico della supremazia bianca».

Anche gli amici contraddicono la nuova descrizione di Breivik, e uno di loro, Ulav Andersson raccontava al canale Russia Today (noto come RT, un canale di news alternativo niente male che trasmette in lingua inglese in diffusione mondiale) che la descrizione di Breivik ora diffusa dai media non corrisponde affatto all’uomo che lui conosceva, spiegando che Breivik in genere esprimeva le sue antipatie razziali in termini moderati, nel senso che «non dava l’impressione di essere un fanatico religioso», e che in effetti non sembrava seguire alcuna ideologia particolare.

Proprio per i casi di dubbio profilo esisteva un programma Tv in America dal titolo “To Tell the Truth”, il cui slogan era: «potrebbe gentilmente il vero signor XYZ farsi avanti?». In effetti Anders Breivik aveva rivelato il suo vero volto, ma quel “film” è stato cancellato e sostituito con uno nuovo, rimaneggiato, adattato alla versione che fa comodo alle esigenze delle potenze occidentali. Forse perfino il suo ‘manifesto’ (quello di 1.500 pagine) è stato alterato.

Anche Webster Tarpley in un articolo del 24 luglio sostiene la tesi dell’operazione eseguita ‘sotto falsa bandiera’. Nel suo articolo Tarpley rivela che venerdì 22 luglio, il giorno degli attacchi, una speciale unità anti-terrorismo della polizia di Oslo stava praticando alcune esercitazioni nei pressi del Teatro dell’Opera di Oslo quando avvenne l’esplosione relativa all’attentato. Il pubblico era stato tenuto all’oscuro delle manovre.

L’articolo spiega anche che nel 2010 questo stesso reparto anti-terrorismo aveva condotto simulazioni per la detonazione controllata di cariche esplosive, in un’operazione che ha molte analogie con quanto davvero accaduto il 22 luglio scorso. E’ cosa risaputa che simili esercitazioni spesso coincidono con attacchi veri, oppure li precedono, sollevando legittimi sospetti.

E’ anche da notare, che qualche tempo fa le agenzie di intelligence americane hanno reclutato funzionari della polizia norvegese (compreso l’ex capo del reparto anti-terrorismo) per le Unità di Sorveglianza e Investigazione (SDU) dell’Agenzia di Sicurezza SIMAS al servizio dell’ambasciata USA per operare al di fuori del controllo del governo norvegese.

Infatti le agenzie di spionaggio SIMAS hanno le loro basi nelle ambasciate USA per spiare ovunque nel mondo. Secondo quanto affermano in Norvegia il ministro della Giustizia Knut Storberget e il ministro degli Esteri Jonas Gahr Store, «non ne sapevamo niente». Hillary Clinton mentiva quando affermava che il governo norvegese fosse stato messo al corrente.

Washington vuole fare deragliare il progetto per l’indipendenza della Palestina e il riconoscimento della Palestina come stato membro dell’Onu, rendendosi complice di Israele. E cerca di farlo forse con ogni mezzo possibile, compresa l’intimidazione e gli omicidi di massa. Ma non si può escludere che gli attacchi rappresentino un avvertimento per scoraggiare l’uscita dalla coalizione anti-Gaddafi. (Gli interessi economici e geopolitici coinvolti nella campagna della Libia sono di proporzioni gigantesche, soprattutto per USA/Israele).

Sappiamo che molti tra i testimoni oculari hanno visto due tiratori. In genere in questi casi «si evidenziano prove abbondanti e credibili in sostegno della tesi che il presunto attentatore o tiratore non avrebbe potuto agire da solo.»

Il quotidiano norvegese Verdens Gang (VG) dice:

Molti dei giovani che si trovavano sull’isola (Utoeya) hanno raccontato a VG di essere convinti che doveva esserci più di un tiratore. E’ quanto ritiene anche Marius Helander Roset, affermando che «sono sicuro che le sparatorie provenivano da due direzioni diverse dell’isola, contemporaneamente.»

I giovani intervistati da VG descrivono un secondo cecchino, che non portava una divisa della polizia. Aveva i capelli scuri e l’aspetto nordico. Aveva una pistola nella mano destra e un fucile sulla schiena. «Ritengo che fossero in due a sparare», dichiara Alexander Stavdal.»

Il 23 luglio, la polizia di Oslo dichiarava che potevano essere molteplici i tiratori responsabili delle sparatorie. Attualmente sono in corso indagini in entrambi gli attentati.

Il 25 luglio, il sito online newsinenglish.no del “Views and News from Norway” segnalava che «secondo i sopravvissuti del massacro la sparatoria è continuata per quasi due ore», e che la polizia aveva impiegato un’ora e mezza per arrivare. (Mentre erano già sul luogo gli elicotteri dei media).

Il 25 luglio, il Pakistan News Service (Pak Tribune) mostrava il titolo: «Analisi degli attacchi di Oslo: attentato terrorista o depistaggio da ‘falsa bandiera’?». Dichiarava:

Il timing (degli attentati) potrebbe non essere casuale, visto che gli attacchi si sono verificati in un momento in cui le tensioni socio-politiche in Europa aumentano, l’euro è in caduta, e la crisi del debito avanza. Un’ennesima manovra sulla falsa riga dello spauracchio di al-Qaeda per indurre la gente ad unirsi contro un nemico esterno.

Da notare anche, che gli attacchi coincidono con la scoperta di agenti segreti israeliani che operavano sotto copertura in Nuova Zelanda, colti in flagrante in un tentativo di furto di identità per “missioni segrete come omicidi mirati”. Infatti il Mossad è all’opera ovunque: nell’intero Medio Oriente, in gran parte dell’Europa, dell’America, dell’Africa e dell’Asia, con operazioni di spionaggio e altre missioni segrete.

Il Pak Tribune inoltre avanzava l’ipotesi che dietro gli attacchi si celassero servizi segreti stranieri «per deviare l’attenzione dalle operazioni israeliane all’estero, dall’incombente crisi finanziaria, dalle misure di austerità, dalla massiccia appropriazione indebita di fondi pubblici, e dal fatto che si sta sgretolando il supporto per le molteplici guerre imperialiste di Washington (sia da parte dei popoli che dei governi).

Quali che siano le conclusioni a cui si voglia arrivare, è indiscutibie che gli attacchi di Oslo forniscano una distrazione ‘provvidenziale’ e materiale su cui speculare per coloro che vogliono perseguire la farsa della “guerra al terrore”.


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