La figlia della spada di Steve Bein non è esattamente il tipo di libro che mi attira di più. La storia è ambientata nella moderna Tokyo, e visto che ci sono di mezzo spade maledette si tratta di un urban fantasy, anche se la trama è decisamente quella di un giallo, con le sue indagini di polizia e i suoi omicidi.
Urban fantasy? Di solito scappo. Non ho problemi con i draghi, gli elfi e le magie più dirompenti in un contesto fantasy, se la loro esistenza è motivata dalla trama e sorretta da una valida struttura creata dallo scrittore, ma in genere non riesco a credere al fantastico nella nostra realtà. Non a creature quali vampiri o streghe, anche se gli Assi e i Jocker delle Wild Cards di George R.R. Martin mi stanno bene, come ho ribadito ancora qualche giorno fa. Forse la differenza è che accetto la fantascienza nella nostra realtà, mentre la fantasy al massimo può partire dalla nostra realtà per spostarsi in una diversa. Se però gli elementi fantastici sono moderati, e magari legati più a oggetti particolari che a persone, posso accettarli.
Visto che siamo in un romanzo sappiamo che le indagini di Mariko si riveleranno molto più complicate e interessanti del previsto, i romanzi di genere non si interessano mai di persone normali poste in situazioni normali. Ovvio che una volta che nel romanzo le spade vengono indicate come magiche, stregate o benedette in qualche modo, le spade lo sono davvero, anche se Mariko rifiuta di crederci. Lei può permettersi l’incredulità perché quel che sa è di trovarsi a Tokyo, noi che sappiamo che invece si trova in un romanzo conosciamo qualche elemento in più, e la differenza è tanta. Le spade in questione sono tre, e come ogni spada magica che si rispetti hanno pure un nome: Bella Cantante, Vittoria Gloriosa (o Vittoria Gloriosa Indesiderata, come sanno solo alcune delle persone che la impugnano) e Tigre sulla Montagna. E come tre sono le spade, tre sono le ambientazioni storiche che mostrano le spade (e chi le impugna) all’opera. Nella nota dell’autore posta in chiusura del libro Bein spiega di aver scritto un romanzo storico, e hanno il sapore del romanzo storico le vicende passate. Non so quanto siano accurate, non ho le competenze per giudicarlo, ma le atmosfere mi sono piaciute e le vicende erano interessanti. Non mi ha infastidito il dover interrompere la trama di Mariko per leggere le altre storie, al di là del primo paio di pagine necessario per orientarmi, perché lo stile dell’autore mi piace e perché avevo capito che queste storie erano importanti. Una cosa che mi ha fatto ridere della postfazione è che Bein ricorda come l’adattamento cinematografico della Compagnia dell’anello sia stato criticato di scarso realismo perché gli hobbit a un certo punto si cucinano una cena a base di pomodori, cibo proveniente dal Sud America che loro non avrebbero potuto conoscere, mentre non hanno avuto obiezioni sull’arzillo vecchietto di ottantasette anni (non ricordo nel film, ma nel romanzo di J.R.R. Tolkien Gandalf è un pochetto più vecchio) ancora nel fiore degli anni che guida la compagnia alla ricerca di uno stregone nonostante gli attacchi di alcuni spiriti immortali. Per quei critici, e mi sarebbe piaciuto leggere l’articolo (gli articoli?) a cui Bein si riferisce, non sono realistici i pomodori. E qualcuno ha accusato Guy Gavriel Kay di scarso realismo quando ha fatto bere ai suoi personaggi una tazza di cioccolata calda in The Lion of Al-Rassan, romanzo ambientato in Esperana, un corrispettivo della Spagna dell’epoca del Cid. Ma il corrispettivo non è la realtà, come i critici dovrebbero ricordare, e gli autori possono volersi prendere licenze.
Ha fatto errori Bein, sulla storia giapponese o sulla polizia moderna? Non ne ho idea, ma a mio giudizio la soria regge benissimo. Mariko indaga, l’assassino fa le sue mosse, la storia delle spade di Inazuma prosegue. Le trame si incastrano alla perfezione, ed entro breve tempo mi sono trovata davvvero coinvolta dalle vicende. La cosa buffa è che non so se proseguirò la lettura, anche se consiglio la lettura della Figlia della spada. La serie si chiama Le cronache delle spade di Inazuma, è evidente anche solo da questo che ci sarà almeno un seguito. Il secondo volume, L’anno del demone, è previsto per novembre, ma lo scrittore è anche autore di un testo più breve, Only a Shadow, incentrato sul passato di Tigre sulla Montagna, e prossimamente pubblicherà un nuovo romanzo, Disciple of the Wind.
Il problema è che La figlia della spada è perfetto così com’è, non ha bisogno di un seguito. Ha un inizio, una parte centrale – che comprende alcuni salti nel passato, ma a me la loro presenza piace – e una conclusione. Fine, la storia è terminata. Che bisogno c’è di andare oltre? I predatori dell’Arca perduta è un film perfetto con inizio, svolgimento e finale, e non ha bisogno di nient’altro. Infatti Indiana Jones e il tempio maledetto non è alla stessa altezza, e se Indiana Jones e l’ultima crociata torna a livelli altissimi è perché George Lucas e Steven Spielberg hanno trovato un’idea importante per rinnovare il personaggio e dare un senso alla storia. Altrimenti, come ha scritto Marion Zimmer Bradley nell’introduzione alla Torre proibita (edizione del 1980 della casa editrice Nord del grande Gianfranco Viviani, morto qualche giorno fa a causa di un tumore), l’eroe della storia potrebbe sbadigliare esclamando “Ah, un altro giorno, un altro drago, un’altra damigella in pericolo!”
Ecco, il mio dubbio è questo: ho letto un libro che è totalmente al di fuori di ciò che leggo abitualmente, e l’ho apprezzato al punto da consigliarne la lettura, ma non so se andare avanti con le altre storie. C’è qualcuno che ha intenzione di leggere Steve Bein e di farmi sapere cosa ne pensa?