Stig Dagerman
Stig Dagerman: anniversario della morte.
Il 4 novembre del 1954 Stig Dagerman morì suicida a soli 31 anni, nel garage della sua casa ad Enebyberg, respirando i gas di scarico della sua auto. Il giovane astro della letteratura svedese era paragonato a Kafka e considerato da molti l’erede di Strindberg, ma la fama e la scrittura che lo avevano fatto conoscere al grande pubblico erano diventati causa di tristezza e profondo sconforto, tanto da indurlo al gesto estremo.
Nell’arco di appena cinque anni – dal 1945 al 1950 – Stig Dagerman ha scritto quattro racconti, quattro opere teatrali, una raccolta di racconti, un libro inchiesta sulla Germania del Dopoguerra, centinaia di articoli, cronache e poesie. Ma l’opera considerata il suo testamento letterario è l’ultima, ossia Il nostro bisogno di consolazione. Un libricino di appena 30 pagine, se si escludono l’introduzione e l’appendice, ma così denso da racchiudere le riflessioni profonde di un’intera esistenza e da parlare al cuore di tutti con toccante e dolorosa semplicità.
La cifra costante del pensiero Dagermaniano è la depressione nata dall’incessante anelare alla felicità e alla libertà, due condizioni secondo lui per sempre precluse all’uomo perché, a differenza dei pesci e degli uccelli che vivono integrati nel loro elemento naturale, l’uomo può essere ovunque, e per questa ragione non è padrone di alcun elemento. Da qui la sensazione di prigionia e la conseguente difficoltà nel vivere in balia della natura senza poter essere padrone né di se stessi né del proprio ambiente.
La sua fede anarchica gli ha permesso di conservare uno sguardo lucido e obiettivo sulla storia e i fatti, smascherando i meccanismi alla base dei regimi e lottando con forza attraverso le parole, perché “chi costruisce prigioni s’esprime sempre meno bene di chi costruisce libertà”. E proprio le parole, i suoi scritti, sono diventati la sua dannazione nel momento in cui ha cominciato a essere considerato un uomo di successo, lui che ha disperatamente lottato per affermare il valore di un uomo solo per il fatto stesso di esistere, sia egli uno scrittore o un carpentiere.
Stig Dagerman ricorda Carlo Michelstaedter, un giovane autore mitteleuropeo anch’egli morto suicida a soli 23 anni. Certo, alla base delle loro riflessioni ci sono spunti e condizioni di vita diverse, ma colpisce quanto la meditazione sulla condizione umana, la felicità, la libertà, il soffocante senso di insoddisfazione abbiano portato alla perdita di due fini e giovanissimi pensatori. E di certo non sono gli unici. Concluderei riportando l’ennesima considerazione di Dagerman che, volendo, spiega la motivazione del suicidio: ”dove non bastano le parole rimane il silenzio, perché non esiste ascia capace di intaccare un silenzio vivente.”