Magazine Cinema
(id.)
di Uberto Pasolini (GB, 2013)
con Eddie Marsan, Joanne Froggatt, Karen Dury, Andrew Buchan
durata: 87 min.
★★★★☆
Il film giusto per un Natale giusto, autentico. Un film commovente, che parla di solitudine e dignità e ti permette di riflettere sulle priorità della vita. Sarà perchè la solitudine è una brutta bestia, e sarà perchè durante le feste chi è solo si sente ancora più solo, ma certo dopo aver visto Still Life è difficile non 'fermarsi' e porsi delle domande su quanto siamo consapevoli della nostra (in)felicità o della nostra fortuna. Lo dobbiamo a un italiano trapiantato in Inghilterra, il romano Uberto Pasolini, che dopo aver prodotto diversi film di successo (Full Monty su tutti) non disdegna ogni tanto di passare dietro la macchina da presa. Questo è il suo secondo film. E vale la pena parlarne.
John May (un bravissimo Eddie Marsan, 'faccia' perfetta per il ruolo) è un umile impiegato comunale che svolge un lavoro oscuro: ha il compito di rintracciare i parenti più vicini delle persone che muoiono nella più completa solitudine. Anche John è un uomo terribilmente solo: vive in uno squallido appartamento suburbano mancante di ogni tipo di comfort, e la sua unica compagnia sono le fotografie dei defunti dei quali non riesce ad organizzare il funerale. Non è un passatempo macabro, tutt'altro: John fa tutto il possibile per assicurare alle salme una sepoltura adeguata, andando spesso oltre i suoi compiti di funzionario statale. E' lui che sceglie la bara, che decide le musiche da suonare, che scrive i discorsi da pronunciare al funerale e che il più delle volte ascolterà solo lui, unico presente al rito di commiato. Un lavoro che nessuno vorrebbe fare ma che John invece accetta di buon grado, perchè gli consente di essere utile al prossimo e trovare una seppur minima ragione di vita e di felicità.
Succede però che un giorno, causa la solita crisi economica, John riceve la lettera di licenziamento. La sua 'colpa' è quella di far spendere troppi soldi allo stato organizzando funerali ai quali nessuno partecipa, anzichè preferire le più convenienti cremazioni. John, uomo mite e taciturno, non si ribella ma chiede ai suoi superiori un ultimo favore: una proroga di qualche giorno per risolvere il suo ultimo caso, quello di un ubriacone che abitava proprio di fronte a lui e che scoprirà aver vissuto una vita straordinaria... tanto da convincerlo partire per una specie di viaggio iniziatico nelle brumose periferie inglesi per ricercare tutte le persone che avrebbero potuto conoscerlo. Un viaggio nel quale scoprirà anche molte cose di se stesso...
La bellezza di Still Life sta tutta nel messaggio positivo che porta, malgrado il film sia di una tristezza indicibile. John May è una specie di angelo senza volto che ha fatto del suo lavoro una missione, quella di restituire dignità ai morti. In un certo senso assomiglia molto a Departures, la pellicola giapponese vincitrice qualche anno fa dell'oscar per il miglior film straniero. Diciamo che Still Life è meno poetico e più 'neorealista', ma alla fine la morale di fondo è la stessa: se facciamo del bene agli altri, anche a loro insaputa, alla fine ci sentiamo più sereni e meno soli, e meglio disposti verso noi stessi. Un concetto semplice, universale, che fa della pellicola di Pasolini, scarna e delicata, lontana da ogni melensaggine, un film che tutti dovrebbero vedere. Non fosse altro che per il finale, uno dei più commoventi degli ultimi anni.
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