Magazine Cinema
Certe volte andare al cinema alle sei del pomeriggio non è una cattiva idea. E so che forse a quell'ora è meglio farsi un giretto in centro, ma di questo film ne avevo sentito parlare da molti amici blogger e perderlo, dato che poi alla rassegna del cineforum non ci andavo quasi più, mi sembrava davvero poco educato. Specie dopo aver saputo che il regista era italiano e che aveva diretto questo film fuori dai nostri confini, il che forse lo avrebbe maggiormente ispirato per realizzare un'opera che da noi non sarebbe stata capita o, ancor peggio, prodotta. Quindi direi che ho fatto decisamente bene ad ascoltare il mio amichetto della crusca e, anziché bighellonare ad cazzum, essermi andato a vedere questa piccola, originale perla. E ammetto che a vedere la locandina, non so perché, non ci avrei scommesso manco una lira. Ma per fortuna il proliferare di recensioni entusiastiche fra i blogger e il consiglio di un'amica tettona hanno fatto il loro giusto compito.
John May è un solitario e metodico funzionario comunale che ha il compito di rintracciare i parenti in vita delle persone morte in solitudine. Quando però gli viene comunicato che, a causa della crisi economica sono costretti a licenziarlo, la ricerca del barbone alcolizzato Billy Stoke diverrà un'ossessione tale che lo porterà a svolgere le ricerche in merito per puro intento personale.Questo Still life - 'natura morta' in inglese - non è un film per tutti. E non lo dico con una certa superbia da 'o quanto sono figo a vedermi i film di nicchia', ma è proprio così. E' un film lento, anzi, lentissimo, con una macchina da presa fissa che compie pochi movimenti, ottenendo così un ritmo che se non viene affrontato col giusto spirito mentale. E se lo avessi visionato nel periodo in cui solitamente ho voglia di cazzatone, forse non sarei riuscito manco ad apprezzarlo. E fondamentalmente in quel periodo lo sono già da adesso, ma è impossibile non farsi incantare dalle terribile bellezza di questa piccola pellicola. Una pellicola semplice, lineare ed esplicitamente chiara nei propri intenti, che si mette in forte contrapposizione con lo scorsesiano Wolf of Wall Street, essendo bello alla stessa maniera, pur essendo ai suoi antipodi per quanto concerne la realizzazione e gli intenti. Qui si parla di un uomo ordinario, una persona comune ed assolutamente anonima. Di lui ci è fatto sapere pochissimo, non sappiamo perché ha deciso di fare quel lavoro né le circostanze che lo hanno portato lì. Non sappiamo neppure da che genere di retaggio culturale proviene né quali siano i suoi rapporti con la famiglia. Il regista e sceneggiatore Uberto Pasolini (cognome omonimo, non parentale del Poeta) ci lascia intravedere solo la metodica e schematica esistenza di John, e svolge tutto in una maniera altrettanto schematica. Se il film inizia con la ripresa di un cimitero, si concluderà nel medesimo luogo, anche se con degli effetti totalmente diversi. Lo stesso si può notare durante il corso di tutto il film, dove certi luoghi vengono ripresi sempre con la medesima inquadratura. Si ha così una regia statica (premiata però al 70esimo festival del cinema di Venezia) che però da una funzionalità a questo suo non eccedere mai, a questo suo essere sempre trattenuto, che va a sposarsi col carattere del suo protagonista. Abbiamo quindi modo di seguire il mite e solitario John in un viaggio che, più che tale, è da intendersi come un allegorico inno alla vita, una ricerca dell'esistenza che sembra volerci dire le cose fondamentali per costruire un ricordo di noi buono e benvoluto. Tutto questo con la serietà necessaria, e concedendosi anche a un paio di gag - trattenute e a denti strettissimi, ma comunque molto efficaci. Il finale poi è a dir poco straziante, nella sua semplicità, ma nonostante tutto lascia un malinconica vena di speranza ed è davvero riuscito a farmi riflettere. Cose serve alla fine per fare una bella vita? Pasolini non ce lo dice, ma lascia intendere che forse, a conti fatti, Billy Stoke ha vissuto molto meglio di John May, e l'ultima scena sembra divenire l'icona di questo pensiero. Di noi alla fine, quando il nostro ciclo (o circo) dell'esistenza si fermerà, resterà solo il nulla. Nulla di quello che abbiamo fatto molto probabilmente segnerà la storia, perché le azione del protagonista e dei comprimari sono riconducibili unicamente alla sfera privata, ma sopravviverà il nostro ricordo. E forse è proprio per fare in modo che tutti quelli che hanno condiviso un attimo di gioia con noi possano ricordarci con felicità e spensieratezza che vale la pena vivere. Altrimenti tutto verrà dato alla terra, che si riprenderà quanto è suo, lasciando solo il vuoto della nostra esistenza che verrà rimpiazzato la più presto, come una fabbricazione in serie.Sono le persone ed i rapporti che abbiamo condiviso con esse a rendere la nostra vita tale, meritevole o immeritevole di essere vissuta, ma comunque concreta. E il vero viaggio è quello per riscoprirla. Voto: ★★★★
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