La maturità ha i tacchi a spillo
Park Chan-Wook gioca a fare Hitchcock, abbandona il sangue e la violenza per scavare nelle subdole e morbose emozioni. Il risultato è Stoker (2013), primo film inglese del regista coreano, nel quale si palesa una Wasikowska abbagliante.
India è una ragazza sensibile e introversa, che vive con la famiglia in una bella villa nella campagna americana. Il giorno del suo diciottesimo compleanno, l’amato padre ha un incidente mortale e, a casa Stoker, si presenta lo zio Charlie, personaggio oscuro e misterioso.
Mr. Vendetta. Così è soprannominato il regista coreano, che dopo aver sconvolto il cinema internazionale con Old Boy (2003), sbarca a Hollywood con una pellicola che a tratti emula altri registi per poi nelle sequenze conclusive pagare il giusto tributo al sangue che non versa nell’intero film. L’impressione è quella di osservare un impianto narrativo hitchcockiano, che si sorregge abilmente sul sottile filo della tensione. O meglio su quell’inquietudine morbosa, che si palesa vividamente sullo schermo cinematografico. È questo quello che fa Park Chan-Wook, con stile e fluidità registica. Ma non solo, perché omaggia e cita: a partire dalla vicenda, che ricalca L’ombra del dubbio (Shadow of a Doubt, 1943) di Hitchcock, e dal personaggio principale (lo zio Charlie), che ha uno sguardo lucidamente folle che ricorda Norman Bates. Ma in Stoker c’è anche quella sospensione maniacale sui dettagli, anche non fondamentali, che costruiscono la storia in modo invidiabile e che suggeriscono allo spettatore eventi che si susseguiranno nel proseguo del film. Un touch lynchiano, che conferma quanto questo regista sia capace di prendere spunti e piegarli al suo volere. Il regista non perpetra la vendetta e abbandona la rappresentazione diretta del sangue e della violenza, ma nonostante questo la villa di campagna possiede qualcosa di tremendamente angosciante. Questa inquietudine si insinua sotto-pelle nella fragilità psicologica di Evie, un’instabile e volontariamente inespressiva Nicole Kidman, nella prospettiva “sbilenca” dello zio Charlie, negli occhi del quale si celano malizia e depravazione, e nella candida purezza dell’adolescente India, un’abbagliante Mia Wasikowska. È lei la protagonista della pellicola, colei a cui Park Chan-Wook dedica un percorso di crescita. Il passaggio all’età adulta, che coincide con la scoperta di una consapevolezza personale; una maturità che viene idealizzata da un paio di tacchi a spillo e da una necessità sessuale, che passa attraverso relazioni subdole ed esclusivamente nate da un subconscio malato.
Se l’impianto narrativo regge in modo perfetto, l’abilità di Park Chan-Wook passa soprattutto attraverso uno stile impeccabile, che sfrutta porte e viste rubate come visioni privilegiate, una fotografia soffusa e assolutamente straniante, quasi onirica, e un movimento di macchina fluido, che ostenta dolly e soggettive come nessuno. E panoramiche interne (non esistono scene che danno respiro alla pellicola in esterna), che sfruttano i claustrofobici spazi, nei quali India vive il suo lutto. Difatti non è un caso che il talento del regista avesse già attirato l’attenzione di Tarantino, che aveva affermato che avrebbe voluto dirigere lui il celebratissimo Old Boy.
Stoker è una pellicola che fa scoprire un altro lato del regista coreano. Sbarcando a Hollywood abbandona la vendetta e il sangue, ma forse realizza una pellicola più sfaccettata e caratterizzata. Un film più completo e appetibile a un grande pubblico. Un thriller dalle tinte torve e depravate. Un film da assaporare e, con pazienza, scoprire. Citando e omaggiando, Park Chan-Wook si rivela gran conoscitore di cinema e autore a tutto tondo. Senza dimenticare la splendida e diegetica soundtrack realizzata da Clint Mansell.
Uscita al cinema: 27 giugno 2013
Voto: ****