Stoker (di Park Chan-wook, 2013)

Creato il 09 luglio 2013 da Frank_romantico @Combinazione_C

Quando mi sono posto di fronte a Stoker, devo ammetterlo, ero pervaso dal dubbio: troppa gente ne aveva parlato così male che quasi mi era venuta voglia di non vederlo più. Per fortuna, però, io concedo sempre a un autore che mi piace il beneficio del dubbio quindi, dopo aver pensato "perché no", il film l'ho visto e la mia reazione a caldo è stata: "'sti cazzi!". Ma andiamo con ordine.
L'ultimo film di Park Chan-wook, il primo in terra americana, è stato bersaglio di molte critiche neanche tanto bislacche. Un film su commissione, scritto da Wentworth Miller (sì, quello di Prison Break) e prodotto da Ridley Scott, che è stato accusato di essere freddo, una confezione di lusso che nasconde al suo interno il vuoto cosmico. Colpa dei meccanismi hollywoodiani che appiattiscono i contenuti e spettacolarizzano la forma? Bisognerebbe chiedersi allora quand'è che Hollywood fa la parte del lupo cattivo e quando invece torna a essere la fabbrica dei sogni culla di registi talentuosi e mostri sacri dietro la macchina da presa. 
Dietro la macchina da presa. Park Chan-wook, dietro la macchina da presa, resta comunque Park Chan-wook, questa volta regista ma non autore. E si vede che Stoker è un film di Park Chan-wook, la cosa è lapalissiana. 

Effettivamente non c'è nulla di nuovo nella storia di India Stoker, ragazza che dopo la morte violenta del padre si ritrova in casa uno zio di cui non ha mai sentito parlare. Charlie Stoker è un uomo affascinante, ma sembra intenzionato a concupire la neo vedova Evelyn Stoker oltre a sembrare implicato in alcune misteriose sparizioni. Una storia dai risvolti hitchcockiani, ma capisco bene che la patina da thriller dietro cui si nasconde il film è solo una facciata: la storia è effettivamente inconsistente, sembra più che a Park interessi la crisi della famiglia borghese occidentale, osservata con sguardo distaccato e freddo, quasi fosse una cosa aliena.
Vuoto e freddo. Mi sono rimaste impresse queste due parole: vuoto e freddo. Mentre lo guardavo ho trovato il film tutt'altro che vuoto e freddo. Sono strano io? Può darsi. E se posso dar per vero che la storia è inconsistente e il thrilling privo di phatos, non trovo Stoker un film privo di contenuti. Quanto a freddo, lo è come lo sguardo di un uomo che proviene da un altro continente e un'altra cultura. Se in questo caso per freddo si intente uno sguardo asettico, chirurgico, è vero. Altrimenti le immagini sono così belle, calde e affilate da penetrare tanto negli occhi quanto nel cuore dello spettatore. Prendiamo la scena delle lettere, ad esempio. O quella della macchina. Prendiamo la fotografia di Chung-hoon Chung e la ricercatezza delle inquadrature di un regista che è sempre stato barocco. Tutto perfetto e studiato. Prendiamo la colonna sonora di Clint MansellPhilip Glass. Prendiamo la ricostruzione soggettiva degli eventi, ognuno raccontato attraverso gli occhi o i ricordi dei personaggi. O l'oggettiva messa in scena della più bella scena di sesso della storia del cinema, quella in cui India e zio Charlie suonano il pianoforte. Sinceramente non riesco a capire come tutte queste cose possano lasciar lo spettatore distaccato.

C'era chi si sarebbe aspettato qualcosa in linea con i capolavori di Park Chan-wook, da Mr. Vendetta a Old Boy. Ma Stoker è un film al di fuori dalla continuità filologica della filmografia del regista: è un film su commissione, diciamolo ancora una volta. Quindi è vero, aspettarsi il coreano come avevamo imparato a conoscerlo può lasciare delusi. Come è vero che questo film può benissimo non piacere, lasciare distanti e distaccati. Ma i difetti sono debito di una sceneggiatura mal costruita, non di un regista che l'ha tradotta in bellissime immagini. La formalizzazione di un'estetica che ha lasciato con l'amaro in bocca anche nel suo precedente lavoro, Thirst, che io ho adorato.Stoker potrebbe benissimo essere solo la storia di una ragazza i cui istinti in letargo si risvegliano improvvisamente con la vicinanza di un personaggio affine, complementare a lei. Eros e Thanatos. India che si masturba sotto la doccia e ci racconta la storia di un omicidio. India che, novella cenerentola, indossa scarpe col tacco e diventa finalmente adulta. India e il sangue, India la cacciatrice, India che, finalmente fuori dalla prigione autistica in cui era (stata) rinchiusa, è libera di essere se stessa. Libertà che ci viene racconta con questo brano qui, di Emily Wells.
Se c'è qualcosa che davvero non mi è piaciuta del film, questa è Nicole Kidman. Un personaggio, il suo, scritto male e che lei usa per gigioneggiare troppo. Una Kidman imbolsita e sfigurata dalle troppe plastiche facciali. Di ben altra caratura si dimostrano invece l'eterea Mia Wasikowska e un Matthew Goode inquietante come poche cose al mondo. Certo, c'è da dire che gli americani tendono a fissare dei confini che è impossibile valicare, che tendono ad edulcorare e a livellare fino all'appiattimento, certe volte. Ma chi è che dirige? Chan-wook, quello della violenza estrema fisica e psicologica. Sì, e visto che si tratta di un Chan-wook trattenuto allora la violenza deve essere giocata sul filo del rasoio, stare lì per essere intuita e crescere fino all'esplosione finale che non gli poteva essere negata. E allora "bang", colpito nel profondo. Posso fare finta che abbiano ragione gli altri e che questo film sia la delusione dell'anno? No, non posso. Sti cazzi!


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