William Stoner viene da una famiglia di contadini e lavorare la terra era tutto ciò che ci si aspettava da lui. Per una semplice casualità – lo sceriffo parla al padre della nuova facoltà di Agraria – finisce all’Università. Questa scelta cambierà la sua vita, portandolo a diventare un insegnante di lettere – e non un accorto contadino.
La vita di Stoner (il protagonista che sarà chiamato sempre così, per tutta la durata del romanzo, fatta piccolissima eccezione che dalla moglie) copre un arco temporale che parte all’inizio del 1900 fino ad arrivare agli anni 70. Guerre, quelle mondiali e il Vietnam, la intercorrono e in ogni caso Stoner le guarderà con una dose prima di indifferenza e poi sgomento per l’orrore che provocano, che decimeranno inutilmente studenti e amici. Stoner si sposa, ha una figlia, ha un alterco con un suo collega che ostacolerà per sempre la sua carriera, ma non è questo il motivo per cui non diventerà mai una figura in vista nell’Università. Stoner vive la sua vita così, come se stesse affacciato a un balcone a guardar la gente, poca, che passa in strada. Ogni tanto qualche avvenimento lo scuote e attira la sua attenzione, la reazione è quella di osservare più attentamente, sciogliere la sua posa, per poi reincrociare braccia o gambe e rimettersi su quel balcone.
«Era arrivato a un’età in cui, con intensità crescente, gli si presentava sempre la stessa domanda, di una semplicità così disarmante che non aveva gli strumenti per affrontarla. Si ritrovava a chiedersi se la sua vita fosse degna di essere vissuta. Se mai lo fosse stata. Sospettava che alla stessa domanda, prima o poi, dovessero rispondere tutti gli uomini. Ma si chiedeva se, anche agli altri, essa si presentasse con la stessa forza impersonale. La domanda portava con sé una certa tristezza, ma era una tristezza diffusa che (pensava) aveva poco a che fare con lui o con il suo destino particolare.» State pensando che questo è un libro noiosissimo e anche un po’ triste sulla vita di un uomo inutile. Vi sbagliate, perché frasi come la precedente vanno insieme ad altre, tipo:«Fu insieme rattristato e rincuorato dalla scoperta di ciò che era in grado di fare. Sentiva, suo malgrado, di aver ingannato sia gli studenti che se stesso. (…) Aveva il sospetto che, con dieci anni di ritardo, stesse scoprendo chi era; e la persona che vedeva era allo stesso tempo più simile e più diversa rispetto a quella che aveva immaginato» e altre mille ancora citazioni che farei, se non avessi paura di spoilerare l’intero libro.
Quanti di noi si sono sentiti così, inutili, vacui, senza una direzione, in balia delle onde e del caso, e quanti ancora hanno intravisto quella luce, quel balenio, quel varco nella propria testa che segna una strada e che dice che è quella la via e che quasi magenticamente ti porta a fare delle scelte – verso una persona, un lavoro, una città- ? Ho scelto questi momenti così estremi perché Williams è capace di questo, di portarti ovunque voglia con la sua scrittura. Il suo stile piano, tranquillo, calmo, senza ghirigori e artefici, in cui senti una penna calma, controllata, che scrive, la cui forza è perfettamente commisurata all’azione che vuole conseguire e che in certi momenti senti tutta, si manifesta in tutta la sua magnificenza e forza, e ti tiene attaccato alla storia che sta vergando.
«Può capitare che qualche studente, imbattendonsi nel suo nome, si chieda indolente chi fosse, ma di rado la curiosità si spinge oltre la semplice domanda occasionale. I colleghi di Stoner, che da vivo non l’avevano mai stimato gran che, oggi ne parlano raramente; per i più vecchi il suo nome è il monito della fine che li attende tutti, per i più giovani è soltanto un suono, che non evoca alcun passato o identità particolare cui associare loro stessi o le loro carriere.»
Stoner, la sua vita, rappresenta un fortissimo monito per tutti gli scrittori, che potrebbero essere dimenticati da un momento all’altro – come dice anche Ian McEwan in una bella intervista sul romanzo – ma anche per tutti gli esseri umani, specialmente quelli di oggi, così spesso sbattuti senza senso da un lavoro all’altro, tra precarietà e flessibilità, da un nonnulla a un qualche nonnulla, dall’essere trentenni a progetto all’essere quarantenni disoccupati, senza che nulla o quasi, abbia un senso, vivendo la propria vita così, ai margini, come un estraneo, come la si stesse guardando da una finestra.
Non so se la vita di Stoner abbia avuto senso viverla (e chi sono io, poi, per giudicare) ; di certo, ha avuto senso leggerla.
Azzurra Scattarella
John Williams, Stoner, Fazi, 2013, €17.50