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STOP: continuate così e arriveremo a migliaia a Roma… - III parte
Creato il 04 giugno 2010 da SulromanzoPer questioni personali sento spesso la seguente frase: «Quando finisco di lavorare e sistemo le cose a casa, devo staccare la testa”. Staccare la testa significa non pensare ad altro che a se stessi, a rilassarsi, a non curarsi di ciò che sta fuori dalla porta di casa. È una frase che non mi convince e continua a non convincermi. La rispetto, tento di capirla, ma non la condivido. Per motivi che proveranno a riprendere alcune tematiche dei due precedenti post.
L’esigenza primaria di ognuno è dotarsi di un presente che possa incontrare i desideri, i diversi desideri di vita, siano essi economici o di qualsiasi altra forma. L’obiettivo è un lavoro che possa permettere tale incontro. Una parte o una gran parte della giornata ruota attorno all’attività lavorativa. Ogni persona – un muratore o un commercialista, una infermiera o un insegnante – contribuisce col suo tempo lavorativo a mettere in moto energie culturali ed economiche. Solo pochissimi hanno l’onore e/o la responsabilità di vivere la coincidenza fra impiego e possibilità di condizionare la vita di molte altre persone, la politica ne è un esempio. I più, a seconda dei differenti settori, si impegnano a un livello micro, più limitato.
Ci siamo abituati col tempo a credere che l’impegno civile del cittadino sia semplicemente votare e delegare altri per la gestione di scelte fondamentali del paese. Tuttavia s’è perso una consapevolezza: lasciare ai potenti il potere senza stare loro addosso con la critica e con le azioni condivise è un errore di responsabilità, di responsabilità singola. Sempre più i disillusi e gli indifferenti, sempre meno gli impegnati oltre il proprio lavoro. E poi ci si lamenta.
Ecco la domanda di ieri: che cosa fai per la società? Ognuno risponda dentro di sé. Mi pare superfluo dirlo, ma non basta dire io sono un sindacalista e difendo i lavoratori. No. La domanda concerne il tempo oltre l’impiego. Un tempo che giustamente si difende con le unghie (occupazioni famigliari, relax, lettura, sport, divertimento, ecc), ma che nell’epoca contemporanea è nevralgico, la vera cartina di tornasole per comprendere quanto una democrazia sia matura. Quindi, la domanda è più precisa: che cosa fanno ogni giorno le persone una volta finito di lavorare? L’egoismo domina sempre più, inutile evidenziarlo.
«Ma tu l’hai fatta sul serio la marcia su Roma?» domandò improvvisamente a tavola. «Solo fino a Isola,» dice mio padre. Isola è a quattro chilometri da qui, in direzione sud. Dunque era sulla strada giusta. «A Isola ho detto che avevo il bambino malato, che eri tu, e così sono tornato a casa». Libera nos a Malo di Luigi Meneghello
“Tutto sommato all’immobilità della classe politica la società civile reagisce con una buona dose di indifferenza, per lo meno fino a quando l’economia tira, i consumi rimangono alti e i partiti continuano a erogare assistenza, malgrado l’inefficienza dei servizi e il lievitare crescente del debito pubblico”. Storia del Novecento italiano di Simona Colarizi
Dal mio punto di vista, tanti italiani sono come la descrizione del padre di Meneghello, pronti a partire per grandi azioni, poi nascondono la mano e si tirano indietro, diventando indifferenti, tante chiacchiere con gli amici o a casa con i famigliari, parole dure magari, eppure alla conta finale quanti si espongono con serietà? Uno dei fatti più sorprendenti è che di fronte a una crisi che non sembra certo diminuire, fra le più gravi degli ultimi decenni, quindi non c’è un’economia che tira, i consumi alti ecc, l’indifferenza dei più è costante. Non c’è una coesione di intenti, non c’è il desiderio di muovere il culo dalla poltrona e incontrare persone per fare qualcosa di costruttivo, non c’è la voglia di informarsi, di confrontarsi, di accendere gli animi pure, di reagire insomma. No, non c’è. Anzi ci si consola criticando chi tenta di farlo, chi tenta di comprendere che se tutti ci limitiamo al nostro impiego e alle nostre famiglie le cose non cambieranno in senso positivo, non potranno che peggiorare, andando ad intaccare come un tumore anche quelle sicurezze lavorative e famigliari che i più difendono con indifferenza verso il resto.
Ci si incazza perché hanno bloccato gli stipendi nel settore pubblico per i prossimi anni; ci si incazza perché i comuni tagliano alcuni servizi; ci si incazza per molti altri motivi non comprendendo che non si sarebbe giunti a tali situazioni se tutti, ripeto, tutti fossimo impegnati al di fuori del nostro lavoro con più consapevolezza democratica. E la consapevolezza democratica è darsi da fare per gli altri senza pensare al ritorno economico. Chi vi parla, tanto per essere chiari, lo sono stato anche ieri in un commento, non è che vive di rendite e si gratta la schiena valutando la prossima vacanza da fare all’estero, perché è del tutto probabile che quest’anno la vacanza non ci sarà, dato che fra due mesi sono nuovamente a spasso nel lavoro reiterando mio malgrado una precarietà lavorativa che da anni vivo sulla pelle. Ciò non mi esime dal ritenere fondamentale impegnarmi oltre il lavoro in azioni che cerchino di dare un senso al mio credere la democrazia una responsabilità della singola persona, in primo luogo, dal fare del volontariato al gestire un blog letterario. Ora qualcuno dirà: «Seee, pensi che un po’ di volontariato e con un blog letterario le cose cambino?», no, sarei uno sciocco pensarlo, però nel mio piccolo cerco di essere attivo oltre il lavoro, provo a mettere in moto quei pochi neuroni che mi sono rimasti, nonostante le vicissitudini che in tantissimi abbiamo. Inutile pensare di entrare alla Camera dei Deputati se per fare questi primi passi la maggior parte della gente già abbassa la bandiera della partecipazione; inutile organizzare azioni forti e coese se i più non riescono a comprendere che il primo approccio è la consapevolezza attiva, non solo lamentosa.
“Il sacrificio della patria nostra è consumato: tutto è perduto; e la vita, seppure ne verrà concessa, non ci resterà che per piangere le nostre sciagure, e la nostra infamia”. Ultime lettere di Jacopo Ortis di Ugo Foscolo
«Fa un passo, perché non ci manchi la forza di volont໫In ogni tuo degno desiderio, sarò la tua compagna»[Tratto dal rito di matrimonio induista, il primo dei sette passi tradizionali]
La resistenza attiva è un atto di volontà, è una disobbedienza civile che nasce da una consapevolezza che isolandoci peggioriamo il mondo, unendoci aumentiamo la speranza che i potenti di turno sentano il fiato sul collo di chi li osserva da vicino ogni giorno. Dedicarci soltanto a noi stessi e alle nostre illusorie tranquillità è il viatico attraverso cui i governi imbrigliano ancor più le nostre menti. La politica non va delegata, va controllata; e con politica intendo tutte le istituzioni, anche quelle locali, a partire dai nostri comuni, affinché non siano pochi a condizionare la vita di molti su materie nelle quali i popoli devono avere una voce. Una voce, non un lamento. La voce si nutre di confronto e azioni, se il confronto si limita a difendere il proprio orticello egoistico e le azioni sono soltanto dedicate a se stessi e alla propria famiglia, potrà il nostro paese avere un futuro diverso?
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