Storia Del Rock: Siediti. Ispira. Play…ZZ TOP!
“La Grange” parte dello sfondo della tua vita e quell’anima rock che a stento credevi di avere inizia a ruggirti dentro. Sarà amore al primo ascolto se questa pietra miliare del rock ancora non ha mai penetrato i labili confini della tua libreria di itunes.
A tratti sconosciuti, a tratti unici, gli ZZ Top non rappresentano il classico gruppo osannato da chi si definisce un cultore del genere. Spesso confusi, spesso solo uditi, nella maggior parte dei casi le loro canzoni rientrano in quello sterminato elenco di brani cui si è sempre conosciuto solo il riff, ma mai il titolo, i testi, tantomeno l’artista.
E invece sono proprio loro, gli zizi, il terzetto rock and blues più folle d’America.
Quasi mezzo secolo di attività alle spalle, cinquanta milioni di dischi venduti, orde di fans sparsi per il mondo, svariati singoli ed album all’apice delle classifiche del tempo e un posto d’onore nella balconata della Rock and Roll All of Fame.
Numeri e record da capogiro che, sommati all’immutata fisionomia, fanno degli zizi una delle poche band, tra le storiche, ad essere ancora in attività con la compagine iniziale. Si proprio loro: Billy F Gibson ( voce-chitarra ), Dusty Hill ( voce-basso ), Frank Beard ( batteria ), gli stessi tre musicisti che tra il 1969 e il 1970 si unirono per creare quello che tutt’oggi è il trio più duraturo della storia della musica moderna. Da più di quarant’anni condividono tutto: palco, stile di vita, look, pensieri, atteggiamenti, amicizia. E non accennano a fermarsi, insaziabili, nel loro cammino rock. O almeno questo lasciano intendere gli sterminati tour mondiali già in programma per i prossimi anni.
All’inizio erano poco e niente. Gironzolavano con i loro strumenti tra Dallas e Houston e difficilmente avrebbero potuto immaginare la loro ascesa come icone del rock!
Fù Billy Gibson a dar vita a quel che si può definire la composizione embrionale degli ZZ Top ; era il 1969 e per le strade di Houston, TX, il giovane ventenne decise di dar fusione ad un intreccio di musica psichedelica, blues e rock. Risultato? Un sound unico quanto originale che ha faticato, e non poco, a trovare la sua precisa identità e che una volta trovata si impresse su di loro come un marchio di fabbrica, inimitabile, quanto necessario per spiccare nella pangea sonora degli anni ’60 e ’70 dove il vento del cambiamento lo si respirava per le strade, i miti della musica moderna stavano prendendo forma e l’espressione musicale si frammentava in una infinita quantità di generi, sottogeneri, e quant’altro potesse venir fuori dall’unione di una manciata di note.
Billy Gibson aveva idee di rock precise e per portarle avanti aveva bisogno della gente giusta. L’alchimia doveva essere immediata e di certo pecche non erano ammissibili.
Questi ragionamenti spinsero Billy a cambiare i due componenti iniziali Lanier Grey e Dan Mitchell, puntando tutto sui due musicisti più talentuosi di un’altra band Texana già famosa nell’underground di Dallas: gli American Blues, nelle persone di Frank Beard e Dusty Hill. A quel punto la perfezione del tre era stata raggiunta. Ora serviva scriverne la storia.
L’inizio della carriera fù in sordina, come da copione. Gibson e compagnia faticarono ad uscire dai confini del Texas, terra natia, con i loro primi due album ZZ Tops First Album e Rio Grande Mud e la critica sin da subito stronco il loro talento.
Tuttavia sin da principio era chiaro l’intento. Base rock, influenze blues, animo country. Questo era il canovaccio della band e il mix perfetto stava arrivando. Il successo appariva imminente.
Detto; fatto. Era il 26 luglio 1973 e il loro terzo album Tres Hombres usci per le strade d’America alla conquista del grande pubblico.
Tres Hombres, tre uomini, trentatre minuti e trentatre secondi complessivi per quest’album che consacrò definitivamente il loro trio.
Lato b, terza canzone; è proprio li che si racchiude tutta l’essenza degli ZZ Top: La Grange.
Groove unico, voce sbiascicata, testo complementare. Tutto gravitava attorno a quel riff storico, egocentrico e incantante. Tutto era funzionale a quegli accordi in cui venne inciso uno dei comandamenti del rock.
Una epidemia vera e propria, tutti ne furono infettati. Gli zizi passarono dall’essere poco più che notabili nel loro amato Texas a star internazionali e divinità in patria.
Le leggende narrano che non esisteva texano di quella generazione che non possedesse quel singolo. E del resto come dar loro torto.
Il gruppo si impose sin da subito come icona texana e la loro musica si adattava perfettamente allo sterminato deserto, fatto di paesaggi cattivi e ripetitivi. Aveva il suo perché e i testi frivoli davano un ulteriore percezione di distrazione dallo stress e dalla routine quotidiana. Leggerezza e bella vita.
Donne, alcol, moto scoppiettanti, vestiti.
E poi il successo. Il tema primo. Il successo in ogni sua forma, in ogni suo desiderio, in ogni sua ostentazione. L’osannato tentativo di raggiungerlo, di vivere quel sogno da rockstar e di sentirsi per una volta nella vita degli dei. Partendo dal nulla. Dall’arido deserto del Texas. Scalando a mani nude il polveroso viottolo che porta sull’olimpo della musica. Come il personaggio immaginario di ‘waitin for the bus’, canzone introduttiva dell’album tres hombres, che vede nell’autobus stesso il simbolo di una vita e una classe sociale che non sente sua, riponendo tutte le sue ambizioni nella cadillac fiammante, altro simbolo made in U.S.A. rappresentativo di uno stile di vita tanto diverso quanto desiderato.
L’ascesa repentina esalto il gruppo che vide crescere sotto i loro piedi i lati negativi del successo. Riuscirono a conservare nei successivi album Fandango e Tejas la loro integrità musicale posticipando l’inevitabile caduta di stile che contrassegna le band esplose viralmente.
Dopo un breve periodo di pausa, dove i tres hombres si dedicarono separatamente ai loro viaggi e alle loro esperienze di vita, il trio si riunì e all’insaputa l’un dell’altro Dusty e Billy come in uno specchio reale si si trovarono entrambi con la barba talmente lunga da diventare un icona.
La loro icona.
È questo l’inizio di un’altra leggenda, quella del loro ‘style’, che di lì a poco accompagnò gli zizi assieme alla loro musica in una complementarietà esemplare. Dei veri e propri rock cowboy. Niente di più di quel che chiedeva ogni singolo texano.
Furono queste le premesse sulle quali si basò la loro seconda vita, inquadrabile tra il 1978 al 1989, segnata dal nome dell’etichetta warner brothers, e condita con ben cinque album. Grandi le novità, essenzialmente dal punto di vista strumentale. In un crescendo di pressioni da parte delle etichette a cui Gibson & compagnia non mostrarono mai grandi opposizioni, i nuovi ZZ Top modellarono la loro musica aumentandone ballabilità e ripulendo leggermente il sound per adattarlo alle esigenze di quegli anni ’80 dove i sintetizzatori e la pienezza delle melodie erano considerate le componenti più importanti.
Nonostante pressioni e condizionamenti il terzetto gibson-hill-beard riuscì a tirar fuori nuovamente il suo talento e si fece autore di un altro album capolavoro: Eliminator (’83).
Qui, rispetto agli album del primo periodo, le linee vocali prendono il sopravvento, i virtuosismi rock and blues di Gibson si attenuano e l’autenticità con cui conquistarono il mondo iniziò a sgocciolare nota dopo nota all’insegna del grane pubblico, del successo planetario e dell’odore irriverente delle banconote verdi più famose al mondo. Eliminator, come Tres hombres nel primo periodo, stracciò indirettamente i loro altri album. Troppa la differenza. Toppo il concentrato di capolavori. Gli album Degüello (’79) e El Loco (’81) prima, Afterburner (’85) e Recycler (’90) dopo scivolarono via in un cono d’ombra.
È proprio in questa fase degli anni 80 che il trio rock vive il suo momento più florido. Siamo all’apice, siamo al punto più alto. Gli ZZ Top incarnavano il sogno americano nella sua massima espressione. Il sognatore alla fermata del bus, nei lontani anni ’70, aveva invertito tutto. Aveva ribaltato la situazione. Billy il sogno l’aveva interpretato bene e non restava che lustrarsene, sfoggiare la cadillac tanto desiderata, tanto sudata, e godere di ogni singola ficata che quella vita da rock star potesse portarsi con se.
Bisognava far rivivere il sogno negli occhi dei giovani americani che stavano affacciando per la prima volta le loro aspirazioni sul mondo reale. Come in un continuo flusso, gli ZZ Top in quel momento alimentavano quell’indottrinamento sociale tipico americano fondato sull’apparenza che ,cosi facendo, si rigenerava con vile autosufficienza. L’invidia accresce gli stimoli. Li stimoli accrescono la nazione.
E tutto questo si nasconde tiepidamente dietro i testi frivoli di questi nuovi album. Eliminator è un concentrato di goduria, di rivincite, di esaltazione della fama. Dove i protagonisti usurpano e sfruttano ogni millesimo del loro successo. Dietro questa pochezza di strofe i tre veterani del rock gibson-hill-beard avevano inquadrato bene lo schema sociale targato U.S.A. e lo gridavano al mondo, con la loro musica trascinante. Sharp dressed man è l’esaltazione dell’apparenza. L’ostentazione allo stato puro di chi considera il proprio portafoglio ( i dont worry coz my wallet’s fat ) il mezzo per raggiungere ciò che vuole trovando all’opposto quel sesso femminile, ben descritto in Legs, che per definizione scambia il corpo lì dove il portafoglio altrui diventa il fine.
Gli anni passarono in fretta, le luci della ribalta iniziarono ad assopirsi e sugli ZZ Top iniziarono a piovere critiche dirette principalmente alla carenza di nuove idee e alla costante ripetizione di concetti musicali già lungamente espressi in passato. Come se non bastasse più di un critico tento di riassumere l’atteggiamento degli zizi come una sorta di autoplagio.
Dopo qualche anno di transizione il gruppo si riunì compatto sul finire del 1993 dando vita a quel che si può considerare l’ultimo fase, tuttora in corso, della loro fantastica carriera.
Quest’ultimo periodo è un clamoroso tentativo di ritorno al passato. Ben capite le intenzioni degli uomini di potere della musica e dell’ingombro psicologico delle etichette più pesanti decisero di fare un passo all’indietro. Gli zizi rispolverarono le melodie secche e distorte della loro prima fase, tentarono di eliminare i sintetizzatori, riscoprirono i virtuosismi.
Fu il 1994 l’anno in cui si ufficializzò questo percorso a ritroso. Firmarono con la RCA Records e si impegnarono nella composizione di cinque album con l’unico obiettivo di ricreare i riff e i groove degli ormai lontani anni ’70.
Anthenna (1994) fu il primo della serie. Un taglio netto certo, ma il passare degli anni aveva arrugginito gli ingranaggi e quel che né usci apparì sin da subito come una strana copia dei fasti passati. Nonostante tutto le vendite rispettarono le attese e milioni di copie raggiunsero i fan più accaniti, probabilmente più per la storia del gruppo che per l’album in se.
Il tramonto degli dei texani del rock and blues era ormai scontato e sotto gli occhi di tutti. Le accuse mosse verso di loro sul finire degli anni 80 si ripresentarono più forti di prima. Il piano della RCA Records sembrò funzionare solo in parte e tutte le nuove produzioni continuavano a ricordare, troppo, affannosamente le melodie dei tempi andati.
Fù proprio da queste basi che nacquer i futuri Rhythmeen (1996); XXX (1999); Mescalero (2003) e La Futura (2012).
La vena artistica sopita di certo non scoraggio gli zizi. Se non si potevano più creare canzoni decenti si poteva sempre riproporre, questa volta in via originale, il repertorio dei successi di una carriera intera che all’alba del nuovo millennio già contava una trentina di primavere. Fù cosi che gli ZZTop si concentrarono soprattutto sui concerti, organizzando svariati tour mondiali ed esportando il verbo texano nei quattro angoli del globo.
Tutt’oggi è possibile godersi dal vivo questo squarcio di anni settanta, e la visione di un loro concerto non può non essere considerata come un autentico viaggio nel tempo della musica.
Il nostro cammino finisce qui. La grange sullo sfondo è già svanita da un pezzo e probabilmente avrai già ceduto alla travolgente voglia di schiacciar nuovamente play.
Di Giampiero De Feo
Tag:Billy Gibson, dusty hill, frank beard, giampiero de feo, musica, pasqualino marsico, rock, storia del rock, the freak, zztop