Storia della mia gente

Creato il 01 agosto 2011 da Aronne


La Bompiani conferma la sua attenzione verso pubblicazioni che hanno a che fare con il mondo dell’impresa. Con le storie di chi ha saputo e voluto pervicacemente intraprendere. Segno che a livello editoriale ci si rende conto che per uscire da questo declino, cui l’Italia sembra irrimediabilmente votata, occorre risvegliare ed affidarsi all’intraprendenza dei singoli. Riscoprire la capacità di inventare cose nuove, semplici e belle.
Qualche mese fa Stefano Cingolani nel suo “Bolle, balle sfere di cristallo”, dopo aver passato in rassegna le caratteristiche del capitalismo e dei capitalismi nostrani svelandone pregi e ancestrali difetti, alla luce di un contesto geopolitico e finanziario turbinosamente pericoloso, ci sottopone quello che è l’interrogativo che l’Italia deve o dovrebbe porsi: «C’è la farà l’Italia a rimanere nel gruppo di testa dei paesi sviluppati?»
Edoardo Nesi, fresco vincitore del Premio Strega con il suo “Storia della mia gente”, si chiede come la classe dirigente (politica) italiana degli ultimi venti, trent’anni sia stata capace di non attuare alcuna azione che ponesse un freno alla globalizzazione che, dal suo punto di osservazione, quello di un piccolo imprenditore di provincia (Prato) del distretto del tessile, ha significato la sua uscita dal mercato. La vendita della sua azienda di famiglia. La fine di una storia.
La materia narrata da Edoardo Nesi è urgente. Ha radici personalissime. E’ una materia ancora profondamente intrisa delle emozioni del e dei protagonisti. Un cuore di un cadavere ancora caldo. E’ una storia personale nella quale si riflettono tante altre storie personali, di una intera comunità, e che pertanto diventa memoria collettiva. Memoria che una volta trasferita su carta va ad occupare quella zona specialissima dove vita e letteratura si fondono.
«Non credo che i manoscritti vengano trovati in una bottiglia, non credo cioè che una vicenda possa essere indifferentemente posta in un paese come un altro». Così Antonio Russello nell’introduzione di “La luna si mangia i morti”. Così è pure per Edoardo Nesi che, a pag.141 del libro, prendendo in prestito un passaggio del Principe di Machiavelli, afferma che il Principe deve conoscere il proprio territorio sia dal punto di vista geografico, che da quello storico e sociale. Solo così potrà essere capace di difenderlo efficacemente erigendo le opportune barriere contro fortuna. Nesi parla con un’ottica molto particolare che è quella tutta pratese. Centro di gravità letterario ma prima ancora produttivo. Ottica che è non gli permette di guardare oltre. Che non gli permette di capire che l’Italia è fatta di più capitalismi e che quindi la globalizzazione, che è un processo difficile da governare internamente, se va a svantaggio di alcuni va anche a vantaggio di altri. E che è molto, troppo difficile pensare ad una logica coordinata che si adatti bene per tutti.
Edoardo Nesi non è oggettivo nel ricostruire il declino del tessile pratese. Ed è velleitariamente polemico quando se la prende con gli economisti nostrani ed i loro facili e gratuiti editoriali (Giavazzi). Economisti che somigliano agli aruspici che consigliarono a Priamo di aprire le mura di Troia all’enorme cavallo di legno. Metafora di coloro che furono sostenitori di una globalizzazione che doveva essere l’opportunità per tutto il made in Italy per accedere ad un mercato vastissimo, e che invece si era tramutata in una trappola fatta di concorrenti spietati e senza scrupoli che copiavano e riproducevano il made in Italy saccheggiando la nostra creatività che ritornava, ritorcendosi contro, normalizzata e a basso, bassissimo prezzo.
Edoardo Nesi traccia un profilo della sua parabola esistenziale donandoci i brandelli della sua vita come esempio e monito. Essi raccontano di un’epoca difficile ma non meno stimolante per chi, con ardimento e coraggio, la vuole affrontare. Un’epoca in cui, nell’arco di pochi anni, la stessa persona che si può permettere di frequentare le migliori scuole e campus americani, dove viene allevata la classe dirigente ed imprenditoriale della maggiore potenza economica mondiale, si trova adesso a leccarsi le ferite raccontando da scrittore, da cronista, i fatti, le vicissitudine dell’impresa di cui non ha fatto in tempo a diventare il principale protagonista. Le generazioni di oggi che leggono questo libro scoprono di appartenere ad una sceneggiatura dove il loro ruolo è confinato nel secondo tempo che però dura la metà del primo.
Se la regia non piace bisogna cambiare il regista o cercare di improvvisare di più. Ma Edoardo Nesi applica questa legge alla lettera. E anziché continuare ad intraprendere, diventa scrittore e regista. E’ in piazza a Prato per protestare contro la chiusura del distretto del tessile. Contro uno Stato che non ha fatto abbastanza. E’ ormai troppo tardi per cambiare una regia che ormai però non viene più scritta né a Roma, né a Milano.
Nesi si scaglia duramente contro la classe dirigente della politica che, contravvenendo a quanto teorizzato da Machiavelli, non ha saputo capire che quel distretto di tessitori del pratese non erano dei veri e propri industriali ma degli artigiani con nelle mani un’arte che con intuito e un pizzico di fortuna avevano saputo trasformare in una fabbrica portando sviluppo e benessere ad un intero territorio. Senza conoscere il libero mercato e l’importanza delle economia di scala.
  



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