Titolo: Storia di un corpo
Autore: Daniel Pennac
Editore: Feltrinelli
Anno: 2012
Traduzione: Yasmina Melaouah
Indubbiamente uno dei memoir più intimi che abbia mai letto. Eppure non è incentrato sugli stati d’animo, sulla mutevolezza dell’umore, sui sentimenti dell’odio e dell’amore. Protagonista, per una volta, non è la mente bensì il corpo.
Idea geniale.
Dopo il funerale del padre, Lison si vede consegnare un regalo, un bizzarro diario del corpo che il genitore ha iniziato a scrivere all’età di dodici anni, nel lontano 1936, e che ha portato avanti fino agli ultimi giorni di vita, finché ha avuto la forza di scrivere.
A ispirarlo è stata una sensazione fisica, materiale, concreta; nella fattispecie la paura di essere divorato vivo dalle formiche.
Quando era un giovane scout e si trovava in un campo estivo sulle Alpi, un gioco tra ragazzi si è trasformato per lui in un orrendo incubo, facendogli però scoprire (attraverso una mortificante reazione fisica di cui avrebbe fatto volentieri a meno) l’importanza del misterioso legame tra la mente e il corpo.
“… la paura del vuoto mi fa strizzare le palle, la paura delle botte mi paralizza, la paura di avere paura mi angoscia per tutto il giorno, l’angoscia mi provoca le coliche, l’emozione (anche piacevolissima) mi fa venire la pelle d’oca, la nostalgia (per esempio pensare a papà) mi inumidisce gli occhi, la sorpresa mi fa sobbalzare (anche una porta che sbatte!), il panico può farmi scappare la pipì, il benché minimo dispiacere mi fa piangere, la rabbia mi soffoca, il dolore mi rattrappisce. Il mio corpo reagisce a tutto. Ma non so mai in che modo reagirà”.
In un crescendo di consapevolezza, dovuto anche al trascorrere degli anni, Pennac ci descrive, con minuzia di particolari, evacuazioni, ferite, malattie, vomiti e orgasmi. Le vicende della vita vengono esplorate dal punto di vista della materia, della carne.
Lo stile lineare e asciutto dello scrittore francese si esprime in paragrafi brevi e pensieri istantanei e mai banali che vi faranno sorridere, ricordare, riflettere.
Dopo un po’ comunque, nonostante l’agilità della scrittura e l’immediatezza dei temi trattati, il libro perde di fascino e diventa noioso.
“Due concezioni del dolore.
Stamattina alla mungitura una vacca rovescia il secchio. Robert si inginocchia per far scorrere il latte nel canale di scolo, si rialza con il secchio in mano e un’asse inchiodata al ginocchio. Si è inginocchiato sul chiodo! Stacca l’asse senza fare una piega e si rimette al lavoro. Gli dico che deve disinfettarsi subito: ma sì, finita la mungitura. Gli chiedo se gli fa male: un pochino. Alle quattro mi taglio il polpastrello affettando il pane per la merenda. Esce sangue, mi viene la nausea, mi gira la testa, mi lascio scivolare lungo la parete e mi siedo per terra per non svenire. Questa è la differenza tra Robert e me. Se domandassero alla mamma da dove viene questa differenza, lei risponderebbe: “È solo perché quella gente lì non ha alcuna immaginazione!”.