“Caro Alfonso, sono venuta a conoscenza della vostra rubrica sulle storie di fotografie celebri, e sono rimasta un pochino offesa perché non mi hai preso minimamente in considerazione.”
Ora, può capitare di essere redarguiti dalla madre per una marachella, dalla prof. per le occhiate insistenti lanciate al compito in classe del compagno di banco, dal capo per un errore macroscopico e dalla moglie per le tracce di rossetto sul colletto di una camicia. Ma che capiti di essere rimproverato da una fotografia…
“Eppure è così: sono una fotografia, sono piuttosto famosa e sono anche piuttosto inaccachiata”
Ma fra tutte le fotografie del mondo, me ne doveva capitare una con un pessimo carattere?
“Non è solo colpa tua: il punto è che chi racconta la Storia (notata la S maiuscola?) mi utilizza come una sorta di simbolo, nonostante il mio babbo (il fotoreporter olandese Hubert Van Es) abbia più volte cercato di spiegare il contesto in cui sono stata scattata. Eppure niente.”
Beh, ma allora il tuo nervosismo è giustificabile. Facciamo così, io ti lascio spazio e tu ci racconti come sono andate davvero le cose.
“Mi sembra il minimo! Dunque, cominciamo a rendere omaggio a papà: Hubert Van Es passò in Vietnam sette anni, e coprì fotograficamente praticamente tutta la durata di un conflitto tragico. Toglietevi dunque dalla testa che io sia il frutto di una botta di fortuna: chi mi ha inserito sotto forma di rullino nel proprio corredo fotografico sapeva esattamente quello che stava facendo.
Quello che mi fa rabbia è che le didascalie che mi accompagnano recitino quasi sempre la formula “L’evacuazione delle Ambasciata USA a Saigon”.
Ecco, mentre tornate a bearvi della mia bellezza (che, nonostante il contesto tragico e la velocità con cui sono venuta al mondo, resto una foto compositivamente perfetta) sono costretta a segnalarvi che:
- Quella non è l’ambasciata statunitense! Vi pare che sul tetto dell’ambasciata non ci fosse un largo spazio in cui far atterrare gli elicotteri? E’ vero che gli States in Vietnam non hanno fatto una gran figura, ma c’è un limite a tutto. Si trattava in realtà di una palazzina di dieci piani in cui alloggiavano gli impiegati della CIA, e che era posta proprio di fronte agli uffici dell’agenzia di stampa UPI presso cui lavorava papà.
- La fila di persone che si dipana sul tetto non è composta da personale americano, ma da civili fedeli al Vietnam del Sud che cercavano (e ottennero) assistenza dagli USA. Furono accolti da una nave americana poco distante e ottennero lo status di rifugiati politici.
- Nessuno cita mai la persona che sul tetto cerca di prestare aiuto: si trattava di Oren Harnage, uno su cui si potrebbe girare un film: componente delle Special Force durante la Seconda Guerra Mondiale, impiegato anche ad Okinawa, successivamente piazzato nell’Area 51 dedicata allo sviluppo di tecnologie avanzate, coordinatore del progetto che diede vita all’SR-71, uomo della CIA in Vietnam fino al meritato pensionamento.
Comprendo perfettamente il tuo nervosismo, ma devi capirci: capita che una fotografia diventi un simbolo tale da venire snaturata nella sua essenza di documento storico, al punto da far raccontare una storia parallela. E tu sei talmente famosa da aver ispirato persino un frammento dei Simpsons!
“E’ proprio una bella consolazione, eh! E se non lo avessi capito, ero sarcastica”
Una foto storica, arrabbiata e pure sarcastica. Capitano tutte a me. Tutte a me.