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Storia e Memoria . 588

Creato il 10 luglio 2011 da Nesti

Storia e Memoria . 588
ANNIVERSARI DELL’11 LUGLIO
Selezione di anniversari, ricorrenze, eventi e personaggi legati alla giornata
Foglio periodico di TWIMC Parma – Anno VIII – N. 588 – Edizione dell'11.07.2011

Eventi:
1533 – Re Enrico VIII d'Inghilterra viene scomunicato
1576 – Martin Frobisher avvista la Groenlandia
1776 – Il Capitano James Cook inizia il suo terzo viaggio
1798 – Viene istituito il Corpo dei Marines degli Stati Uniti
1848 – Apre a Londra la stazione ferroviaria di Waterloo
1895 – I fratelli Lumière mostrano un film a degli scienziati
1899 – Nasce a Torino la Fabbrica Italiana Automobili Torino, meglio conosciuta come FIAT
1977 – Martin Luther King viene premiato postumamente con la Medaglia della libertà
1979 – Milano: Giorgio Ambrosoli, commissario liquidatore della Banca Privata Italiana, dopo aver testimoniato davanti ai giudici sui traffici di Michele Sindona, viene assassinato mentre rientra a casa (**).
1987 – Secondo le Nazioni Unite, la popolazione mondiale oltrepassa i 5 miliardi
2006 – Attacchi terroristici sconvolgono la città indiana di Mumbai, oltre 180 morti

Nati:
1561 – Luis de Góngora, religioso e poeta spagnolo († 1627)
1920 – Yul Brynner, attore statunitense († 1985)
1921 – Franco Volpi, attore e doppiatore italiano († 1997)
1926 – Teddy Reno, cantante e produttore discografico italiano
1934 – Giorgio Armani, stilista e imprenditore italiano

Morti:
1763 – Peter Forskål, esploratore e orientalista svedese (n. 1732)
1766 – Elisabetta Farnese (n. 1692)
1937 – George Gershwin, compositore e pianista statunitense (n. 1898)
1969 – Giacomo Brodolini, sindacalista e politico italiano (n. 1920)
1979 – Giorgio Ambrosoli, avvocato italiano (n. 1933) (**)
1989 – Laurence Olivier, attore cinematografico e attore teatrale britannico (n. 1907)
2005 – Piero Cappuccilli, baritono italiano (n. 1926)

Santi Cattolici:
San Benedetto da Norcia, abate, patrono d'Europa (*) , San Drostano di Deer, monaco, Sant'Idulfo, vescovo di Treviri e fondatore di Moyenmoutier , Sant'Olga di Kiev, granduchessa , San Pio I, papa e martire

(*) San Benedetto da Norcia Abate, patrono d'Europa
Norcia (Perugia), ca. 480 – Montecassino (Frosinone), 21 marzo 543/560

Storia e Memoria . 588

È il patriarca del monachesimo occidentale. Dopo un periodo di solitudine presso il sacro Speco di Subiaco, passò alla forma cenobitica prima a Subiaco, poi a Montecassino. La sua Regola, che riassume la tradizione monastica orientale adattandola con saggezza e discrezione al mondo latino, apre una via nuova alla civiltà europea dopo il declino di quella romana. In questa scuola di servizio del Signore hanno un ruolo determinante la lettura meditata della parola di Dio e la lode liturgica, alternata con i ritmi del lavoro in un clima intenso di carità fraterna e di servizio reciproco. Nel solco di San Benedetto sorsero nel continente europeo e nelle isole centri di preghiera, di cultura, di promozione umana, di ospitalità per i poveri e i pellegrini. Due secoli dopo la sua morte, saranno più di mille i monasteri guidati dalla sua Regola. Paolo VI lo proclamò patrono d'Europa. Patronato: Europa, Monaci, Speleologi, Architetti, Ingegneri, Etimologia: Benedetto = che augura il bene, dal latino;  Emblema: Bastone pastorale, Coppa, Corvo imperiale. La sua nobile famiglia lo manda a Roma per gli studi, che lui non completerà mai. Lo attrae la vita monastica, ma i suoi progetti iniziali falliscono. Per certuni è un santo, ma c’è chi non lo capisce e lo combatte. Alcune canaglie in tonaca lo vogliono per abate e poi tentano di avvelenarlo. In Italia i Bizantini strappano ai Goti, con anni di guerra, una terra devastata da fame, malattie e terrore. Del resto, in Gallia le successioni al trono si risolvono in famiglia con l’omicidio. "Dovremmo domandarci a quali eccessi si sarebbe spinta la gente del Medioevo, se non si fosse levata questa voce grande e dolce". Lo dice nel XX secolo lo storico Jaques Le Goff. E la voce di Benedetto comincia a farsi sentire da Montecassino verso il 529. Ha creato un monastero con uomini in sintonia con lui, che rifanno vivibili quelle terre. Di anno in anno, ecco campi, frutteti, orti, il laboratorio… Qui si comincia a rinnovare il mondo: qui diventano uguali e fratelli “latini” e “barbari”, ex pagani ed ex ariani, antichi schiavi e antichi padroni di schiavi. Ora tutti sono una cosa sola, stessa legge, stessi diritti, stesso rispetto. Qui finisce l’antichità, per mano di Benedetto. Il suo monachesimo non fugge il mondo. Serve Dio e il mondo nella preghiera e nel lavoro. Irradia esempi tutt’intorno con il suo ordinamento interno fondato sui tre punti: la stabilità, per cui nei suoi cenobi si entra per restarci; il rispetto dell’orario (preghiera, lavoro, riposo), col quale Benedetto rivaluta il tempo come un bene da non sperperare mai. Lo spirito di fraternità, infine, incoraggia e rasserena l’ubbidienza: c’è l’autorità dell’abate, ma Benedetto, con la sua profonda conoscenza dell’uomo, insegna a esercitarla "con voce grande e dolce". Il fondatore ha dato ai tempi nuovi ciò che essi confusamente aspettavano. C’erano già tanti monasteri in Europa prima di lui. Ma con lui il monachesimo-rifugio diventerà monachesimo-azione. La sua Regola non rimane italiana: è subito europea, perché si adatta a tutti. Due secoli dopo la sua morte, saranno più di mille i monasteri guidati dalla sua Regola (ma non sappiamo con certezza se ne sia lui il primo autore. Così come continuiamo ad essere incerti sull’anno della sua morte a Montecassino). Papa Gregorio Magno gli ha dedicato un libro dei suoi Dialoghi, ma soltanto a scopo di edificazione, trascurando molti particolari importanti. Nel libro c’è però un’espressione ricorrente: i visitatori di Benedetto – re, monaci, contadini – lo trovano spesso "intento a leggere". Anche i suoi monaci studiano e imparano. Il cenobio non è un semplice sodalizio di eruditi per il recupero dei classici: lo studio è in funzione dell’evangelizzare. Ma quest’opera fa pure di esso un rifugio della cultura nel tempo del grande buio.

(Da: Santi e Beati,  articolo di Domenico Agasso . Fonti: Famiglia Cristiana, Avvenire.)

(**) 31 anni fa l’omicidio di Giorgio Ambrosoli: quando l’onestà costa la vita.

Storia e Memoria . 588

Giorgio Ambrosoli era un avvocato milanese, esperto in liquidazioni coatte amministrative. Fu nominato Commissario Liquidatore della Banca Privata di Michele Sindona nel 1974. Fu assassinato l'11 luglio 1979 da un sicario ingaggiato dal banchiere siciliano. Ambrosoli non aveva appartenenze politiche, era cresciuto in un ambiente conservatore e da giovane aveva simpatizzato per l'Unione monarchica e per la Gioventù liberale, ma era soprattutto un professionista serio ed uomo onesto, tanto onesto da non cedere a ricatti e minacce, tanto onesto da farsi ammazzare. Un eroe borghese, come lo dipinse Corrado Stajano in un bellissimo libro del 1991. Quando accettò l'incarico dal Governatore della Banca d’Italia certo non immaginava i guai cui sarebbe andato incontro, ma gli bastò pochissimo per rendersi conto che dietro quel crac si nascondeva un intreccio di politica, finanza, poteri costituiti e poteri occulti, malavita. Ogni giorno che passava si imbatteva in documenti che provavano come il bancarottiere siciliano fosse legato a filo doppio a politici di primo piano, a banchieri burattini, a uomini di chiesa troppo attaccati alle cose terrene, a torbidi manovratori della massoneria e infine a magistrati asserviti alla mafia. Umberto Ambrosoli, figlio minore dell'avvocato milanese liquidatore dell'impero Sindona, ha dedicato alla memoria del padre “Qualunque cosa succeda”. È una meticolosa ricostruzione della vicenda Sindona, inquadrata nella storia dell'Italia di quegli anni e dal punto di vista di un ragazzo che vede sconvolta la vita della sua famiglia. Papà Giorgio era un cocciuto uomo di onesti principi; il difficile lavoro di liquidatore di quell'impero del male diventa per lui e per sua famiglia un fatto privato. Scrive Umberto: “Toccare con mano la disinvoltura con la quale lo IOR ha operato assieme a Sindona genera in papà una sorta di imbarazzo, quasi una crisi della dimensione spirituale. Ma per noi tre continua a volere una formazione religiosa”. Sembra di vederlo quest'uomo intimamente credente sconvolto dalle scoperte sullo IOR, l’Istituto finanziario del Vaticano e le “strane alleanze” di mons. Marcinkus, e che si pone il problema se continuare o no ad allevare i figli nel rispetto dei valori di cui quelle persone dovrebbero essere i custodi. Ambrosoli non era un uomo qualunque, era una persona non solo retta, ma anche determinata. La sua lunga e puntigliosa indagine lo portò a scoprire nel dissesto della Banca Privata le complicità con la malavita, ma anche i puntelli che la politica regalava al bancarottiere siciliano con i soldi dei contribuenti; di ciò oltre che indignato e addolorato, era quasi stupito: un mondo in cui trovava difficile riconoscersi. Eppure paradossalmente, Umberto rivela che suo padre era incuriosito da Sindona, un personaggio dalla luciferina intelligenza: “Da quattro anni è come se vivesse a contatto con lui, ogni giorno; ha sgarbugliato la matassa compatta che quello aveva creato; ha riconosciuto la sua intelligenza e abilità e il loro malizioso utilizzo, che certo non può stimare. Doti sprecate”. Nel dicembre 1978, quando si reca a New York per rendere una testimonianza in tribunale, Ambrosoli passa davanti al Pierre, l'albergo dove sa che vive (agli arresti) Sindona; scrive sulla sua agenda: “Cerco inutilmente Michele Sindona passando davanti al Pierre”. Da lì a pochi mesi l’inquilino del Pierre lo fece assassinare. In un clima di tensione e di pressioni anche politiche molto forti, Ambrosoli concluse la sua inchiesta, il giorno prima di sottoscriverne la dichiarazione formale, l'11 luglio 1979, fu ucciso da un sicario, William J. Aricò, fatto appositamente venire dall'America. Nessuna autorità pubblica presenziò ai funerali, ad eccezione della Banca d'Italia con il governatore Paolo Baffi. Il 18 marzo 1986 a Milano, Michele Sindona, insieme a Roberto Venetucci , un trafficante d'armi che aveva messo in contatto Sindona col killer,  fu condannato all'ergastolo. Due giorni dopo la condanna fu avvelenato con un caffè al cianuro nel supercarcere di Voghera: morì dopo 48 ore. Il 18 giugno 1982 era morto Roberto Calvi, un’altro banchiere dalle amicizie pericolose. I misteri d’Italia hanno inghiottito queste morti, di cui tutto o quasi si sa, ma in un contesto di assoluta e inestricabile opacità: i colpevoli avevano amici potenti, appoggi politici, ma nella rete finirono i pesci piccoli o quelli abbandonati. Giorgio Ambrosoli non ebbe dopo la sua tragica morte grandi riconoscimenti, nonostante il sacrificio estremo con cui aveva pagato la sua onestà e la sua passione civile. La figura dell’avvocato schivo ma risoluto fu splendidamente ricordata dal libro di Corrado Stajano, intitolato Un eroe borghese, divenne più nota dopo il film omonimo di Michele Placido. Solo dopo 20 anni a questo eroe “onesto” furono dedicate alcune vie, piazze, istituti scolastici. Nel luglio 1999 il Presidente Carlo Azelio Ciampi, ai tempi della sua morte direttore generale della Banca d’Italia, unica Istituzione a partecipare ai suoi funerali, conferì la Medaglia d'oro al valor civile alla vedova con queste motivazioni: “… benché fosse oggetto di pressioni e minacce, assolveva all'incarico affidatogli con inflessibile rigore e costante impegno. Si espose, perciò, a sempre più gravi intimidazioni, tanto da essere barbaramente assassinato prima di poter concludere il suo mandato. Splendido esempio di altissimo senso del dovere e assoluta integrità morale, spinti sino all'estremo sacrificio”.  Era proprio stato Ciampi a scrivere in un articolo di commento del libro di Stajano che: il proiettile che aveva ucciso Ambrosoli era “contro lo Stato”. Indipendentemente dalle storie e dalle idee personali di ciascuno di noi, oggi il ricordo e l’esempio di Giorgio Ambrosoli dovrebbero costituire una componente essenziale della riflessione in corso sulla finanza e l’economia. Ambrosoli è un uomo che ha pagato con la vita la sua fedeltà allo stato e alla democrazia: un esempio concreto di etica della responsabilità e non di vuota declamazione in tempi di retorica populista e di allarmante qualunquismo.

Pubblichiamo questa lettera di Ambrosoli alla moglie, che contiene il suo testamento spirituale

Anna carissima,

è il 25.2.1975 e sono pronto per il deposito dello stato passivo della B.P.I. (Banca Privata Italiana n.d. r.) atto che ovviamente non soddisfarà molti e che è costato una bella fatica.
Non ho timori per me perché non vedo possibili altro che pressioni per farmi sostituire, ma è certo che faccende alla Verzotto e il fatto stesso di dover trattare con gente dì ogni colore e risma non tranquillizza affatto. E’ indubbio che, in ogni caso, pagherò a molto caro prezzo l'incarico: lo sapevo prima di accettarlo e quindi non mi lamento affatto perché per me è stata un'occasione unica di fare qualcosa per il paese.
Ricordi i giorni dell'Umi (Unione Monarchica Italiana n.d.r.) , le speranze mai realizzate di far politica per il paese e non per i partiti: ebbene, a quarant'anni, di colpo, ho fatto politica e in nome dello Stato e non per un partito.  Con l'incarico, ho avuto in mano un potere enorme e discrezionale al massimo ed ho sempre operato – ne ho la piena coscienza – solo nell'interesse del paese, creandomi ovviamente solo nemici perché tutti quelli che hanno per mio merito avuto quanto loro spettava non sono certo riconoscenti perché credono di aver avuto solo quello che a loro spettava: ed hanno ragione, anche se, non fossi stato io, avrebbero recuperato i loro averi parecchi mesi dopo.
I nemici comunque non aiutano, e cercheranno in ogni modo di farmi scivolare su qualche fesseria, e purtroppo, quando devi firmare centinaia di lettere al giorno, puoi anche firmare fesserie.  Qualunque cosa succeda, comunque, tu sai che cosa devi fare e sono certo saprai fare benissimo.  Dovrai tu allevare i ragazzi e crescerli nel rispetto di quei valori nei quali noi abbiamo creduto [... ] Abbiano coscienza dei loro doveri verso se stessi, verso la famiglia nel senso trascendente che io ho, verso il paese, si chiami Italia o si chiami Europa.
Riuscirai benissimo, ne sono certo, perché sei molto brava e perché i ragazzi sono uno meglio dell'altro [... ]
Sarà per te una vita dura, ma sei una ragazza talmente brava che te la caverai sempre e farai come sempre il tuo dovere costi quello che costi.
Hai degli amici, Franco Marcellino, Giorgio Balzaretti, Ferdinando Tesi, Francesco Rosica, che ti potranno aiutare: sul piano economico non sarà facile. ma – a parte l'assicurazione vita – (…). Giorgio  

Il “caso Ambrosoli” (di Gherardo Colombo)

Il 12 luglio 1979, sotto casa, di notte, viene ucciso Giorgio Ambrosoli. Chi lo uccide non è un terrorista, è un killer prezzolato che lo uccide per il suo lavoro. Ambrosoli, avvocato civilista, esperto in liquidazioni coatte amministrative, aveva lavorato con grande competenza nella liquidazione della SFI, ed era perciò stato nominato in seguito commissario liquidatore  della Banca Privata, controllata da  Michele Sindona, della quale nel 1974 era stata dichiarata l'insolvenza, e cioè il fallimento.  Sindona, fino ad allora, era il più potente banchiere privato italiano e il massimo esponente della così detta “finanza cattolica”.

Ambrosoli, giovane professionista (era nato a Milano il 17 ottobre 1933), di convinzione  monarchica e liberale, impegnato a fare cultura più che politica,   aveva il compito di ricostruire i motivi del fallimento e di recuperare il denaro distratto da Sindona. Nella lettera testamento del 25 febbraio 1975 indirizzata alla moglie Annalori, che la troverà dopo la morte del marito fra le sue carte,  Ambrosoli  scrive di essersi trovato  così,  di colpo, a “fare politica per conto dello Stato e non di un partito”; ad impedire che ricadessero sui cittadini le passività delle  banche di Sindona. Quando il suo lavoro cominciò a dare frutti, e venne acquisita alla liquidazione la holding  estera che controllava l’impero societario di Sindona, iniziarono le intimidazioni, che divennero continue; le voci anonime che telefonicamente minacciavano Ambrosoli parlavano di dettagli conosciuti soltanto da chi aveva con lui stretti rapporti proprio riguardo alla liquidazione della banca.

Procedevano intanto anche le manovre politiche a protezione di Sindona; per indurre la giustizia americana a non estradare il banchiere  personaggi di rilievo, tra cui il Procuratore Generale della Corte d’Appello di Roma,  sottoscrissero “affidavit” a sostegno dell’imputato, affermando che era vittima di una persecuzione politica pilotata dalla sinistra. Amborosoli però non si piegò. Sulla paura  prevalse il rispetto della propria libertà, libertà di essere coerente con se stesso, di non farsi condizionare da altri, di assolvere nell’interesse di tutti il proprio mandato.  Poichè Sindona era fallito anche in America, e i magistrati di New York si trasferirono in Italia per saperne di più sui suoi metodi, sulle sue malefatte italiane. Assunsero, per giorni la lunga testimonianza di Ambrosoli, che metteva a nudo le responsabilità di Sindona. Ambrosoli venne ucciso la notte precedente alla sottoscrizione formale delle sue dichiarazioni. Giorgio Ambrosoli era sposato ed aveva tre figli: Francesca, Filippo e Umberto, amava teneramente la sua famiglia, alla quale fu sottratto da chi voleva conservare il proprio potere e le proprie illecite ricchezze.

La vicenda di Ambrosoli pone  inquietanti interrogativi  sul modo di essere della nostra società. Ambrosoli   che era uomo delle regole, ebbe tutti, o quasi tutti, contro.  Era considerato per la cultura di allora (intendendo per cultura l'insieme dei punti di riferimento che valgono per la generalità o meglio per la maggior parte delle persone e, nel caso specifico, delle persone che contano) , e forse continua ad essere considerato anche per la cultura di adesso, un personaggio a dir poco anomalo.  Perché?.

Parto dal presupposto che nessuno sia necessariamente in malafede, e mi chiedo: ma perché mai una valutazione di tal genere su Ambrosoli era (e forse sarebbe ancora) così diffusa?  Non posso pensare che tutti siano così legati al proprio interesse personale, ai propri soldi, alla propria furbizia da  dare un giudizio negativo su Ambrosoli solo perché il suo operare contrastava con precise mire di potere personale o con la evidente salvaguardia di concreti privilegi.  Le persone  direttamente colpite dalla sua azione  erano, del resto,  una minoranza, meno numerosi comunque di coloro che invece dalla onesta liquidazione dell’impero di Sindona traevano vantaggio. Ed allora, come mai Ambrosoli è stato considerato “uno fuori del mondo”?  Come mai esiste una convinzione così diffusa e radicata secondo la quale c'è sì la regola. ma la vita  è comunque un'altra cosa rispetto alla regola?  Essa  non riguarda soltanto  quella parte di società che Stajano ha individuato intitolando il suo libro “Un eroe borghese”. E’ ben più diffusa nella nostra società, non è prerogativa solo d'una sua componente. 

Peraltro la convinzione secondo cui la regola è cosa diversa dal vivere si combina in una singolare misura con il radicato atteggiamento secondo il quale il rispetto delle regole viene chiesto agli altri, mentre ciascuno risulta intimamente convinto di esserne personalmente svincolato.  C'è, secondo me, questa diffusa doppiezza, secondo la quale coloro con i quali ti trovi, anche occasionalmente, in contraddittorio sono tenuti, loro, a rispettare le regole, mentre se le rispetti tu finisci quasi per sentirti uno sprovveduto. Mi sembra ovvio che  fin quando queste convinzioni saranno capillarmente diffuse sarà ben difficile che nel nostro paese possa instaurarsi una effettiva legalità. Va poi sottolineato  un altro profilo: molti si sentono vittime della malvagità altrui, ma il loro atteggiamento è quello dello spettatore impotente, che non partecipa al gioco, che non ha strumenti per incidere, per far pesare il suo punto di vista, per comunicare ad altri (compresi i  potenti che siano allo stesso tempo “malvagi”) le proprie convinzioni e convincere a sua volta chi gli sta intorno.  Tale atteggiamento il più delle volte è in contraddizione con la realtà ed è comunque soltanto distruttivo e assolutamente pessimista.

Esso inoltre suscita un atteggiamento di fastidio come se chi vuole il rispetto della legalità venisse a turbare un  “equilibrio”, una sicurezza, una consuetudine, che evidentemente paiono valori in sé, ancorché determinino danni per tutta la collettività. [Gherardo Colombo]

Per ulteriori dettagli su Giorgio Ambrosoli:
http://www.giustiziacarita.it/professioni/AMBR.htm  | http://www.giustiziacarita.it/professioni/ambrc.htm

(Thanks to: www.giustiziacarita.it , Graziella Rogolino, Giovanna Tripodi, Michele Cervone, Gherardo Colombo)

Storia e Memoria 11 Luglio 2011

Storia e Memoria . 588


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