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Storia su una panchina

Creato il 15 novembre 2012 da Molipier @pier78

Nessuno ci pensa mai o fa mai troppo caso alle panchine. Le persone passano, si siedono, discutono, leggono, sviluppano idee, si abbandonano ai ricordi o cercano qualche attimo di quiete.

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Una vecchia panchina malconcia, quattro assi di legno con la vernice scrostata e poco metallo arrugginito, piazzati in un angolo sperduto di una località altrettanto sperduta chissà quanti anni fa. Ne deve aver viste di storie, quella panchina, rivolta verso sud, protetta dai rintocchi della campana che scandiscono il trascorrere del tempo.

Storie di uomini e di donne, di contadini, di lavoratori. Storie di persone che su quella panchina hanno vissuto un particolare momento della loro esigenza. Chiacchiere, pianti, emozioni, pensieri raccontati a voce o al telefono, scritti su un taccuino o incisi nel legno.

Per quanto possa apparire strano, il palcoscenico della vita trova spazio nei luoghi più insoliti e impensati e anche una panchina può diventare lo scenario di un racconto speciale, dalle mille sfumature.

Iera sera sono tornato a sedermi lì, questa volta da solo, per respirare il sapore di quel ricordo. Pochi passi, dopo la cena, svoltando a sinistra al termine della strada che si allarga fino a trasformarsi in piazza. Un lampione, una panchina e Noi che ci divertivamo ad indovinare le ore ascoltando la campana alle nostre spalle.

Vicini, stretti in un abbraccio, distanti, agli estremi della seduta, alternando sguardi negli occhi a sguardi verso il nero della notte, persi in un’atmosfera surreale a raccontarci della parte segreta di noi, quella più intima. Le incertezze, i timori, le insicurezze che sfumavano lentamente nella volontà reciproca di appartenerci.

Mi raccontavi di te, della tua vita, di ciò che avresti voluto ed io, ascoltando le tue parole, speravo di poter rispondere “Presente!” al tuo appello così come faccio sempre, cercando di aprirmi in modo che tu potessi guardarmi dentro, conoscermi e capirmi, passando attraverso un piccolo spiraglio.

Ieri sera ero lì, da solo, a ricordare la notte di maggio in cui quella panchina è diventata custode di uno dei nostri primi ritratti. Un breve momento magico pieno di vita.

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