Storica condanna della ThyssenKrupp per la strage del 2007

Creato il 16 aprile 2011 da Oblioilblog @oblioilblog

6 dicembre 2007, poco dopo l’una. Un principio d’incendio divampa sulla linea 5 dello stabilimento ThyssenKrupp di Torino, in corso Regina Margherita. Non è la prima volta che succede, ma finora non c’erano stati particolari danni a persone o cose. Antonio Schiavone, 36 anni e tre figlia, prova a spegnarlo. Improvvisamente cede un tubo che rilascia da una vasca una gran quantità di olio bollente. Il combustibile ad altissima temperatura provoca un’esplosione che trasforma l’acciaieria in una palla di fuoco che intrappola altri sei operai. Schiavone muore sul colpo.

Sei ore dopo si spegne al reparto grandi ustionati del Cto di Torino Roberto Scola, 32 anni e due figli. Lo segue nel pomeriggio Angelo Laurino, 43 anni e due figli, ricoverato all’Ospedale San Giovanni Bosco. La sera è il turno di Bruno Santino, 26 anni e una gran voglia di lasciare la fabbrica per aprire un bar con la fidanzata 22enne. Il 16 dicembre si ferma il cuore di Rocco Marzo, 54 anni e due figli, a cui mancavano poche settimane alla pensione. Tre giorni dopo smette di soffrire Rosario Rodinò, 26 anni. L’ultimo ad andarsene è Giuseppe Demasi, 26 anni, che lotta fino al 30 dicembre. Sette morti, un solo sopravvissuto: Antonio Boccuzzi che poi sarà candidato nel PD da Veltroni e ora è deputato. 

Partono subito le indagini, a interessarsene è il celeberrimo Pubblico Ministero Raffaele Guariniello, quello del processo contro l’Eternit e contro la Juve per doping, insieme a Francesco Traverso e Laura Longo. Le indagini vengono chiuse il 23 febbraio 2008, a giugno l’azienda riconosce alla famiglie delle vittime un risarcimento record di 12 milioni e 970 mila euro, a novembre arriva il rinvio a giudizio per 7 dirigenti del gruppo tedesco.

Dopo due anni e tre mesi, animati da 87 aziende e diversi colpi di scena, è arrivata ieri in serata la sentenza di primo grado emessa dalla Corte di Assise di Torino presieduta da Maria Iannibbelli.

16 anni e mezzo per omicidio volontario con dolo eventuale per l’amministratore delegato Harald Espenhahn. 13 anni e 6 mesi per Marco Puccio e Gerarl Priegnitz, membri del board, a Raffaele Salerno, responsabile della sicurezza, e a Cosimo Cafueri, capo dello stabilimento di Torino, per cooperazione in omicidio colposo con colpa cosciente, incendio e rimozione delle misure di sicurezza, 10 anni e 10 mesi per Daniele Moroni. Sono state accolte in toto le richieste dell’accusa, tranne per Moroni a cui è stato dato un anno in più di quanto domandato. La sentenza è destinata a costituire un precedente importante: mai in un processo per le morti bianche era stato riconosciuto il dolo eventuale.

Pesanti anche le pene accessorie: un milione di euro di multa, confisca di 800mila euro, esclusione da contributi e sovvenzioni pubbliche per sei mesi, divieto di farsi pubblicità per lo stesso periodo. La sentenza dovrà essere pubblicata da Repubblica, Corriere e La Stampa e affissa nel Comune di Terni, dove la Thyssen ha la base italiana.

I familiari non si erano costituiti parte civile per via della somma già ricevuta dall’azienda. I risarcimenti sono andati alle altre parti civili: 973 mila euro alla Regione Piemonte, 5000 mila alla Provincia di Torino, un milione al Comune di Torino più il diritto ricorrere in sede civile, 100 mila ai sindacati Fim, Fiom, Uilm, Flm-Cub, all’associazione Medicina Democratica e agli ex colleghi delle vittime.

Espenhahn non è un cinico assassino.

Così l’avvocato Ezio Audisio aveva concluso le sue controdeduzioni. Ma la sicurezza all’interno dello stabilimento era infima: dispositivi antincendio non funzionanti, estintori vuoti, sporcizia. In una mail in cui l’amministratore delegato affermava che 800.000 euro di finanziamento per Terni sarebbero stati presi da fondi destinati a Torino. In questo modo è stata provata la volontà di Espenhahn di risparmiare e di accettare il rischio di far lavorare gli operai in un posto non a norma.

Il processo iniziato il 15 gennaio 2009 ha vissuto momenti di tensione e la decisione finale è stata sempre sul filo del rasoio: per qualcuno il reato avrebbe potuto essere declassato a omicidio colposo, per altri si sarebbe potuta verificare una clamorosa assoluzione. Uno dei momenti più vibranti ha avuto luogo il 13 febbraio 2009 quando è stato mostrato in aula il video della polizia scientifica che mostrava le immagini del cadavere carbonizzato di Antonio Schiavone. Il picco di nervosismo si è toccato quando l’acciaieria aveva ipotizzato che la tragedia fosse stata causata da specifiche responsabilità e negligenze da parte delle vittime, la teoria però è stata ritirata a breve. Tra i testimoni anche tre ispettori dell’Asl 1 di Torino accusati di aver favorito la multinazionale con controlli annunciati che però si sono avvalsi della facoltà di non rispondere. La difesa si è lamentata spesso per il pressing mediatico e perché il processo, a loro avviso, era diventato politico.

Alcuni imputati sono stati accusati di aver attuato una strategia per influenzare a loro vantaggio l’esito del processo e durante il procedimento è stato aperto un fascicolo per falsa testimonianza contro tre testimoni e per gli stessi reati dei condannati per Berardino Queto, consulente della Thyssen. Quest’ultimo è  l’autore del documento di valutazione dei rischi della fabbrica, secondo i magistrati lacunosa e confezionata ad arte per descrivere come media la possibilità di incendio negli impianti e giustificare così la mancata adozione di costosi sistemi automatici di rilevazione e spegnimento delle fiamme.

La Thyssen ha redatto un comunicato un comunicato il suo profondo cordoglio e rinnova il rammarico per il tragico infortunio:

Nelle sue linee guida, il Gruppo conferma che la sicurezza sul posto di lavoro è un obiettivo aziendale di assoluta importanza, pari alla redditività e alla qualità dei prodotti, e che si deve provvedere con ogni mezzo a garantire la stessa. Una tragedia simile non si dovrà ripetere mai più.

L’avvocato dell’azienda Cesare Zaccone si rassegna:

Siamo insoddisfatti in particolare per la dichiarazione della subvalenza delle attenuanti rispetto al risarcimento del danno questa è una cosa mai vista prima. Ha influito tutto questo stress mediatico. Andremo in appello ma non credo otterremo molto di più.

Si felicita invece Guariniello:

E’ una svolta epocale, non era mai successo che per una vicenda di morti sul lavoro venisse riconosciuto il dolo eventuale. Diciamo che una condanna non è mai una vittoria né una festa, però credo che da oggi in poi i lavoratori possano contare molto di più sulla sicurezza e che le imprese possano essere invogliate a fare molto di più per la sicurezza.
Soddisfazioni anche da parte dei familiari, anche se qualcuno chiedeva una punizione esemplare con il carcere a vita.

Grazia, la madre di Rosaria Rodinò:

È andata bene e ringrazio il dottor Guariniello per il lavoro fatto, è stato bravissimo. Speravo in questa sentenza, ma non me la aspettavo. Adesso cercherò di andare avanti: mio figlio non lo riavrò più, ma gli avevo promesso giustizia e ho fatto di tutto perché fosse così. Forse è stata scritta una pagina di storia, ma non riesco a pensare ad altro che a mio figlio. Questa condanna per loro  ancora poco, dato che loro sono ancora vivi e mio figlio è in un buco.

Isa Pisano, genitrice di Roberto Scola:

È stata una condanna esemplare che abbiamo atteso per tanto tempo. Purtroppo, il nostro dolore non finirà mai. Al dottor Guariniello dico grazie mille volte.

Antonino Santino, padre di Bruno:

Se le pene fossero state più severe sarebbe stato ancora meglio. E’ stata fatta una buona parte di giustizia, ma non ancora tutta. Per me sarebbe stata più appropriata una condanna all’ergastolo. Il dottor Guariniello è stato bravissimo, gli abbiamo stretto più volte la mano, lo faremo ancora, per dirgli il nostro grazie.

Antonio Boccuzzi:

Dedico questa sentenza a tutti i morti di quella notte a chi ha perso la vita sul posto di lavoro e a mia madre che è scomparsa da poco. È stata fatta giustizia anche se, fino alla lettura della sentenza, avevamo paura che succedesse qualcosa di diverso. È un risarcimento morale importante e dovuto a tutti i familiari. Era un’esigenza che avevamo tutti e non é una forma di vendetta.

Hanno commentato il dispositivo molti esponenti della scena politica e sindacale. Maurizio Sacconi, Ministro del Lavoro:

La sentenza ha accolto il solido impianto accusatorio e costituisce un rilevante precedente. Essa dimostra peraltro che l’assetto sanzionatorio disponibile è adeguato anche nel caso delle violazioni più gravi.La tragedia di Torino impone soprattutto una più diffusa ed efficace azione preventiva perché anche la sentenza più rigorosa non può compensare la perdita di vite umane e il grande dolore che ha prodotto. La via maestra rimane la collaborazione bilaterale paritetica tra aziende e organizzazioni dei lavoratori accompagnata da una idonea attività di vigilanza. Dovremo in ogni caso riflettere, a fini di maggiore omogeneità ed efficacia sull’opportunità di riportare alle funzioni centrali tutta la competenza in materia di salute e sicurezza nel lavoro e la relativa attività di controllo come era disposto dalla riforma costituzionale che non superò l’esame referendario. Su questo punto la modifica della Carta costituzionale potrebbe essere largamente condivisa da tutte le forze politiche e sociali.

Susanna Camusso, segretario generale della CGIL:

Questa sentenza dice una cosa precisa: la vita di un lavoratore non si può trasformare in profitto. Non so se sia una decisone storica, so che è la prima volta che un amministratore viene condannato per omicidio volontario. Non era mai successo. Viene così respinta l’idea che per conseguire il profitto si possano sacrificare le condizioni di sicurezza dei lavoratori. Un passo importante perché in Italia c’è una deriva culturale che porta a sostenere che nelle aziende si possa fare a meno dei diritti.

Federico Bellono, segretario generale della Fiom torinese:

Da Torino una lezione di civiltà. Questa sentenza non restituirà i sette operai alle loro famiglie ma almeno rende loro giustizia, con una condanna esemplare che farà storia e che speriamo aiuti tutti a contrastare in modo più efficace la piaga degli omicidi sul lavoro. Dalla costituzione di parte civile nostra e di altri deriva un’assunzione di responsabilità soprattutto per il futuro. Questa sentenza rappresenta anche una spinta a non indebolire ma invece a rafforzare le norme sulla sicurezza nel lavoro.

Maurizio Zipponi, responsabile welfare e lavoro dell’Italia dei Valori:

La sentenza del tribunale di Torino é finalmente un piccolo faro di giustizia nelle tenebre che il governo Berlusconi ci ha imposto. E’ una decisione storica: d’ora in poi l’omicidio dei lavoratori, per precise responsabilità dei dirigenti e degli azionisti, non dovrà più essere definito bianco: infatti, con questa sentenza, viene considerato un omicidio e basta e deve essere perseguito con le azioni opportune. Speriamo che altre preture seguiranno la stessa strada dei giudici torinesi perché ogni anno in Italia avvengono circa mille omicidi sui luoghi di lavoro.

A Torino si è riscritta la storia della giurisprudenza sulle morti sul lavoro, la base per tante future condanne di datori irresponsabili.


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