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Le elezioni di metà mandato sono state un'indubbia certificazione della fine dell'era di Barack Obama: il presidente americano, per quel che conta, governerà i prossimi due anni senza nessuno dei due rami del Congresso.
Dare tutte le colpe di quello che sta succedendo nel mondo a Obama è scorretto, e pure riduttivo: ma è indubbio che il suo passaggio alla Casa Bianca lascerà il segno più per gli insuccessi che per i trionfi.
La debolezza. E la verità è che gli sconfitti saremo un po' tutti noi che ci avevamo creduto, almeno in questa parte di mondo (full disclosure: sono sempre stato clintoniano dichiarato, ma questo non conta, perché ho sempre preferito Obama agli sfidanti e ai Bush). Sul perché ci si tornerà: gli spettri di una “nuova guerra fredda” sono uno spoiler per la fine dell'articolo.
La Russia di Putin è la realtà che ha colto la debolezza americana con più incisività. O meglio, che ha provato a cogliere la debolezza di un sistema strutturale come quello dell'Occidente: il declino occidentale, lo definiscono da tempo diversi pensatori. Non è così, sia chiaro, l'Occidente sarà ancora per molto tempo il centro del Mondo: infatti Putin, a furia di pressare sull'acceleratore rischia di far finire il suo paese fuori strada. E l'America farà ancora da forza-trazione – come sostiene Maurizio Molinari nel saggio “L'aquila e la farfalla” (Rizzoli 2013), in questo.
Ma lo farà senza Obama e gli obamiani, e con molti guai in più.
Voli sospetti. I fatti, oltre le opinioni.
Ad inizio settimana, si è registrata una significativa, quanto intensa, attività militare russa nei cieli europei. Molti sono saltati sulla sedia, stupiti, ma a parte l'aspetto “quantità”, lo sconfinamento di aerei russi in territori europei non è più una novità da diversi mesi. Certo, nelle 48 ore tra giovedì e venerdì passati, se ne sono registrati 26 di questi voli “non autorizzati” (si trattava di bombardieri tattici come i TU-95, scortati da caccia multiruolo). Ma pure gli esperti aeronautici dicono che «è roba già vista», ripensando, davvero, al periodo della Guerra Fredda. I velivoli spengono i trasponder, cioè non sono identificabili dalle torri di controllo, al che le basi militari dei Paesi interessati, sono costrette a far alzare in volo i propri caccia da intercettazione per osservare gli “intrusi” da vicino – “old school”. Di solito, la bega si risolve con gli aerei norvegesi, o svedesi, danesi, inglesi, o olandesi che scortano gentilmente gli apparecchi russi fuori dal proprio spazio aereo.
È un'operazione di disturbo, che il Cremlino studia per creare tensione (e deterrenza, forse), ma che secondo i vertici Nato può essere molto pericolosa in quanto spesso interessa rotte di linea dell'aviazione civile. Putin stuzzica l'Occidente.
Area strategica. Il Nord Europa è un'area strategica fondamentale, dove storicamente si sono consumati movimenti geopolitici con storie da romanzi di Tom Clancy o Patrick Robinson. Una di queste a metà ottobre, resa nota da poco: due ricercatori norvegesi Yngve Kristoffersen e Audun Tholfsen impegnati in uno studio nella zona artica, hanno segnalato sul proprio blog di aver avvistato in lontananza delle luci di quello che hanno riconosciuto subito come un sottomarino in emersione. Non sono riusciti ad identificarlo, però lo hanno fotografato (con tanto di georeferenziazione) prima che scomparisse sotto il pack. La foto l'ha poi pubblicata l'inglese Telegraph, ed ecco perché se ne parla.
La volontà russa. Era il misterioso sottomarino russo che gli svedesi andavano cercando in quei giorni? Forse no, anzi, di certo no: ricorderete che quello in questione era un “minisub”, molto più piccolo del soggetto della foto fatta dai norvegesi. Secondo molti esperti che hanno studiato l'immagine, si tratta dell'”Orenburg", classe Delta, un vecchio battello che la Marina russa utilizza per gli esperimenti.
Russo: e di chi sennò?
La strategia di Mosca è nota (pure quella): vuole l'Artico (di nuovo), per questo sta spostando mezzi e uomini (militari e scienziati) nell'area, sta costruendo postazioni radar e piste di atterraggio, sta pensando di rimettere a regime l'avamposto siberiano di Kotelny (chiuso nei Novanta). Il Cremlino, segnalava Guido Olimpio sul CorSera, ha intenzione di trasferire due intere brigate al Comando Nord entro il 2017.
E l'Occidente non si limita ad osservare: la Norvegia ha inviato in pattugliamento una nave da intelligence, la Marjata. I suoi radar e sensori, scoveranno movimenti sospetti anche sott'acqua. L'area è particolarmente sensibile per Oslo: quando il ritmo di estrazione del petrolio rallenterà – e i prezzi, magari, forse, torneranno a salire – i norvegesi contano di investire nelle ricerche artiche, dove stante a un'indagine geologica pagata dal governo degli Stati Uniti si trovano il 13% delle risorse di petrolio non ancora sfruttate (e il 30 di quelle di gas naturale). Per questo hanno già chiesto una deroga (concessa) alla zona di sfruttamento esclusiva di 200 miglia nautiche, normata dalla Convenzione Onu del 1982 "Law of the sea" – lo ha fatto anche la Russia, ma gli è stato risposto che serve un approfondimento.
Da ricordare che gli Usa non hanno mai ratificato quell'accordo, mentre Canada e Danimarca stanno chiedendo anch'essi la possibilità di un ampliamento (questi Paesi sono i cinque con la maggiore linea costiera sull'Artico). E nel 2007 i russi piantarono la propria bandiera per vantare diritti di proprietà su un’area di fondale.
Lo scorso anno, Rob Huebert (del centro studi strategici e militari dell’università di Calgary), parlava dell’artico come «dell’Europa del 1935»: è evidente come, complice anche lo scioglimento dei ghiacci e dunque la maggiore accessibilità del territorio (in termini di navigazioni, rotte commerciali, e sfruttamento delle risorse), la "questione artica" stia diventando un disputa di confini cruciale.
Gli interessi. Lo scacchiere diplomatico è rappresentato dal Consiglio dell'Artico, entità sovranazionale composta da Canada, Danimarca, Finlandia, Islanda, Norvegia, Russia, Svezia e Stati Uniti, come membri permanenti e altri Paesi osservatori (ci sono pure Cina e India). L'interesse centrale, è testimoniato dalla presenza all'ultima assise del Consiglio, dell'ex segretario di Stato Hillary Clinton, inviata da Washington a sostituire il "solito diplomatico" americano.
Finora si è cercato di dare un approccio collaborativo alle richieste (e alle dispute), ma l'aria sta cambiando.
La “questione artica” è un altro terreno in cui Obama sta imparando (a sue spese), che la possibilità, sperata e studiata, fin da inizio primo mandato, di un “mondo unipolare” resta utopica. La Russia cavalca i propri interessi con pragmatismo e cinismo, pensando all'America e all'Occidente come alleato o come nemico a secondo degli interessi del momento. Nell'universo globale si affacciano altre realtà, pericolose come l'IS o arriviste come l'Iran. E pure i classici amici, non stanno più a sentire quello che esce dai piani al 1600 di Pennsylvania Ave. E per questo, in fondo, Obama è davvero uno sconfitto: il mondo che ci lascerà, è tutt'altro che di un solo colore.
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