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Storie d'Algeria / Khalida

Da Marianna06

1952-matisse

 

La sua storia, quella di Khalida, è una come le tante storie, di cui talvolta si legge sui giornali, di chi è riuscita fortunosamente a fuggire  dalla tirannia di un contesto e di una cultura, quella di un certo islam fondamentalista, che intende privarti per tutta la vita della libertà di persona, e vive, oggi, in Europa, finalmente una vita serena e gratificante come tante altre donne della sua stessa età.

Premettiamo che Khalida è stata da sempre una bellissima ragazza. Di quelle, cioè , che per il suo fisico slanciato, la grazia leggiadra della sua andatura e i suoi profondi e meravigliosi  occhi verdi non passava  e non passa, neanche adesso che ha qualche anno di più,  inosservata tra la gente.

La sua  gioventù  però è stata costretta a viverla anagraficamente durante gli anni dell’integralismo islamico,quello feroce e sanguinario, in un’Algeria, un tempo giardino d’Europa, che agli stessi occhi degli occidentali pareva poi  irriconoscibile per le ripetute mattanze.

Il padre, un imprenditore benestante, è stato con lei un uomo molto protettivo e da subito.

Un mix cioé di padre premuroso e/o padre- padrone che, per timore dei rischi che Khalida potesse correre a causa della sua disinvoltura giovanile, come per esempio quella d’indossare jeans e camicetta anziché il tradizionale e consueto hijab, le impediva persino le amicizie al femminile.

Quelle, almeno, che  portano una giovane donna fuori dalla casa e dalla famiglia allargata, all’interno della quale Khalida è sollecitata ripetutamente, quasi plagio, a vivere proprio come il frutto in un baccello.

 Arriva, infatti, prestissimo anche il matrimonio tradizionale e con un uomo scelto dai suoi. E successivamente un figlio. Un figlio maschio.

Il cerchio in tal modo pare essersi chiuso completamente e i sogni di fanciulla di Khalida sono finiti nel classico cassetto, di cui  parrebbe sia andata perduta  la chiave.

Ma così non è e non sarà.

La ciambella di salvataggio,inaspettata, le viene da una cugina, Aisha, algerina anch’essa, che deve sposarsi in Francia e ha bisogno di lei e del suo aiuto per organizzare i festeggiamenti.

Khalida, chiesto il permesso al marito  –padrone, che ha sostituito in questo ruolo suo padre, parte da Algeri,  e riesce anche a strappare il consenso di portare con sé il figlioletto.

A Parigi, la giovane algerina, la nostra Khalida, ritrova improvvisamente, guardandosi intorno e respirando l’aria giusta, tutto l’antico entusiasmo di vita di quando era giovanissima.

Sia pure nel modestissimo quartiere d’immigrati, nell’abitazione della cugina, inizia a pensare che forse qualcosa di buono può ancora accadere nella sua esistenza.

Per farla breve, si cerca e trova un lavoro al “Lapin agile”, un antico e storico bistrot nel quartiere di Montmartre, e di notte, vincendo la stanchezza,ricorrendo anche a secchiate d’acqua fredda,  se necessario, riprende con tenacia gli studi abbandonati dopo il matrimonio.

Moltissime sono le controversie giudiziarie con il marito, che reclama, come è costume, diritto e legge islamica, il figlio. Ma l’aiuto e il sostegno morale di  un abile legale fanno in modo che Khalida, dopo tanti pianti e tante amarezze,dribblando nella maniera giusta, abbia finalmente partita vinta. E per sempre.

Oggi Khalida, che è ancora una donna di un certo fascino, insegna in una scuola per immigrati nella periferia parigina e lavora in una radio libera, dove tratta con le sue interlocutrici sopratutto  temi quali quelli dell’emancipazione femminile, della famiglia e del diritto allo studio e al lavoro.

E ogni sera ad attenderla ,al termine della trasmissione, quando la notte parigina potrebbe celare insidie, c’è sempre suo figlio Amhid, che ora frequenta il primo anno  della facoltà di architettura e alimenta in sé, giorno dopo giorno,tenace come sua madre, il sogno di divenire un grande progettista d’interni.

E, quasi certamente, riuscirà.

Il lieto fine di questa storia  ci dice semplicemente una cosa e cioè che, con tutte le difficoltà, anche quelle apparentemente  terribili e insormontabili, chi vuole sul serio, realizza comunque.

E non si tratta affatto di miracolo. Perché miracolo è la persona.

 

   Marianna Micheluzzi (Ukundimana)

 


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