Recensione di Ornella Sgroi
E se invece della parola “fine” sui titoli di coda comparisse l’espressione “per sempre”? Ebbene sì, succede anche questo nell’ultimo capitolo cinematografico della saga di Twilight, Breaking Dawn - Part II. Non soltanto per fare il verso alle favole più classiche di una volta, quelle con principesse addormentate da salvare e principi azzurri pronti a sguainare la spada, lontani anni luce dall’impavida Bella (Kristen Stewart) e dall’etereo Edward (Robert Pattinson) nati dalla penna della scrittrice statunitense Stephenie Mayers. Ma soprattutto perché il secondo film diretto da Bill Condon per chiudere la saga sui vampiri romantici, ormai quasi più famosi persino del cupissimo Conte Dracula, ha davvero consacrato l’immortalità dei suoi protagonisti. Che oltre a scalare le vette rocciose della Penisola di Olympia, dove si trova la cittadina di Forks in cui è ambientata la serie, già nel primo weekend italiano avevano scalato anche il box office con un incasso record di 10.4 milioni di euro conquistando una prima posizione che ancora difendono con le unghie e con i denti (è proprio il caso di dirlo).
A dimostrazione del fatto che per titoli di questo tipo non c’è recensione che tenga, visto che i milioni di appassionati che hanno divorato i romanzi della Mayers e i film che ne sono stati tratti non si perderebbero per niente al mondo il capitolo conclusivo della versione da grande schermo. A prescindere dal fatto che meriti oppure no. Anche se bisogna riconoscere che in effetti questo secondo episodio di Breaking Dawn, girato contemporaneamente al primo senza soluzione di continuità sul set e nella storia, raggiunge un risultato nettamente superiore all’episodio precedente, che invece di risultare romantico come avrebbe dovuto, con il matrimonio e la prima notte d’amore tra Bella e Edward, finiva per essere involontariamente comico. Per quanto certi effetti speciali continuino a fare sorridere anche nel capitolo conclusivo della saga, che tuttavia recupera un romanticismo quasi letterario grazie alle splendide riprese aeree di paesaggi mozzafiato e guadagna una sfumatura nostalgica che, dopo avere rimesso tutto al suo posto, compresa la sorte affettiva di Jacob (Taylor Lautner), eterno terzo incomodo licantropo destinato qui ad amare la figlia della sua Bella, ripercorre tutta la storia dei Cullen e degli altri beniamini della saga, ricordando nei titoli di coda protagonisti e attori che ne hanno fatto parte. E che rimangono scolpiti nella leggenda. Ovviamente, per sempre.
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Dopo il successo di Non ti muovere, la cui trasposizione cinematografica in realtà soffriva duramente l’inevitabile confronto con l’originale letterario nonostante le prove eccellenti degli attori, Sergio Castellitto torna a dirigere una Penelope Cruz coraggiosa e innamorata, disposta a tutto pur di rendere felice l’uomo che ama (Emile Hirsch), al quale non riesce a dare il figlio che entrambi desiderano.
Ma la sterilità e l’amore di coppia sono solo un espediente narrativo per raccontare una storia molto più grande e dolorosa, quella della guerra che ha sconvolto Sarajevo, la sua popolazione e le sue donne. Seguendo un filo rosso unico che lega inscindibilmente Diego e Gemma, non solo tra di loro ma anche all’amico Gojco (Adnan Haskovic) custode di verità lontane e inimmaginabili, e che trascina lo spettatore in un crescendo emotivo che il regista gestisce con sapienza asciugando per quanto possibile una materia complessa e densa come quella trattata nel romanzo della Mazzantini ed usando la suspense come se si trattasse di un film che evolve sempre più nella direzione del thriller. Per tenere lo spettatore – soprattutto quello che non ha letto il libro – con il fiato sospeso, con una tensione ansiosa che aumenta man mano che i fatti si succedono prendendo una piega della quale è difficile riuscire a prevedere l’esito. Meno che meno in un finale disarmante che fa davvero male al cuore, straziato dalla bravura degli attori e dalle atrocità che stanno dietro alla storia di tutte le guerre. Non solo di Sarajevo.
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