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Storie della "bassa"

Creato il 14 ottobre 2012 da Bernardrieux @pierrebarilli1
Il cartello, a ridosso dell'argine del Po, indica Gualtieri. Entro in paese, so dove andare. Eccolo, il ristorante. Per la marianna! Chiuso per turno. Peccato, ci tenevo. Gualtieri per me è "quel ristorante". Da anni, saranno due lustri abbondanti, Gilda e Giuseppe lo gestiscono, nella vecchia casa di famiglia, lì appena dietro la piazza, luogo mitico. Tra quelle mura è nata la lunga storia (oramai interrotta) delle "Cene laiche ed anticlericali"; ancora,   lì ci siamo ritrovati per organizzare il primo, ed unico, festival radicale degli anni '80.  Il nome diceva tutto:  "Un Po radicale".  Insomma, mito e storia, pesce di fiume e salamelle, musica e lambrusco...
 Basta,  andiamo avanti. Da Gualtieri si esce seguendo la strada che porta
 sull'argine maestro del Po, verso Brescello. Curve e controcurve, campanili che spuntano tra un niente di case,  sotto l'argine, e se da un lato lo sguardo si perde nella piatta pianura, dall'altro sbatte contro montagne di sabbia, pioppeti e casone, isolate laggiù in golena, appena prima del grande fiume...
 Una curva, eccola, Brescello.
"C'era una volta un paesino..." Comincia così il capolavoro di Giovannino Guareschi; comincia così il primo dei films della serie Don Camillo e Peppone girati a Brescello. Paese come tanti: chiesona, piazza, bar sotto i portici e le case tutt'intorno. Qui è già terra che profuma di culatello e il salame si chiama Fiorettino, eppoi la spongata, tipico dolce ebraico di queste terre,  qui vanta una tradizione secolare.  Questa è anche patria di cipolla <<borettana>>, e del pesce di fiume.  Per il pesce di fiume mi fermo al ristorante "Al Ponte", in via Argine al 5. Pasto veloce e onesto.
 Oramai, costeggiando la strada ferrata sulla quale ancora oggi viaggia il trenino locale che fu di Don Camillo e Peppone, siamo in territorio parmense. Da Brescello, per incontrare da subito le terre parmensi, conviene girare, appena fuori del paese, a destra, sull'argine, e andare verso Colorno, la sua Reggia e tante storie. Colorno, costruito in un'ansa di sponda destra del torrente Parma (X-XI sec), era un punto strategico per il controllo dei traffici fluviali fra Emilia e Lombardia. Ben lo sapeva Francesco Sforza che nel 1448 conquistò la fortezza assegnandola a Roberto Sanseverino, suo fedele condottiero.
 Ma è solo con Barbara Sanseverino, sul finire del 1500, che la severa rocca militare si trasforma in una animata corte rinascimentale.
 Che donna Barbara Sanseverino!  
Raccontiamola questa storia.
 Nata a Milano nel 1550, entra per la prima volta in contatto con Colorno nel 1577, causa morte violenta della precedente feudataria, la sorella Giulia,  uccisa dal marito Giovanni Borromeo.
Ottavio Farnese, secondo duca di Parma e Piacenza, incarcerato il Borromeo, chiama a signore di Colorno Gerolamo, figlio di Barbara Sanseverino e Gilberto Sanvitale signore di Sala Baganza.

Donna di grandissima cultura, la Sanseverino, nei primi anni di usufrutto del feudo, creò ed animò un cenacolo letterario, in concorrenza con la corte Farnese di Parma.
Infatti di quel cenacolo letterario erano parte anche gli Este di Ferrara e i Gonzaga di Mantova.
Finì malissimo. I Farnese, ricordiamolo, avevano un conto aperto con i Gonzaga, accusati, a ragione, di aver fatto assassinare pochi anni prima, via complotto ordito in combutta con i nobili piacentini, il primo duca, Pier Luigi.

A questo proposito ricordiamo che Pier Luigi si insediò nel nuovo ducato nel 1545 senza possedere alcuna proprietà in quei territori; alla fine dell'età farnesiana (1545-1622) i Farnese, dopo quattro generazioni, avevano accomulato un enorme patrimonio, edificato soprattutto sulla repressione delle congiure organizzate dai feudatari, la confisca dei beni dei congiurati e il loro incameramento nel patrimonio ducale.
Ma torniamo a Ranuccio. Vittima dei sospetti e della persecuzione del duca, la povera Barbara fu accusata, ingiustamente, di congiura e condannata al patibolo. Nel 1612, il pomeriggio di venerdì 18 maggio, ci lasciò la testa... e il patrimonio. Ma andiamo con ordine. La reggia di Colorno, con la Sanseverino, si arricchisce di un raffinato giardino all'italiana dal disegno geometrico con aiuole, fontane, sentieri e una rete di fitti canali. I maggiori poeti dell'epoca, quali il Guarini e il Tasso, a quel giardino dedicarono alcune delle loro rime. 
La signora di Colorno, seguendo la tradizione dalle più importanti famiglie del tempo, fu anche raffinata collezionista d'arte e raccolse nel palazzo opere di Tiziano, di Gerolamo Mazzola Bedoli, di Giulio Romano, di Andrea del Sarto, del Correggio, del Parmigianino, di numerosi autori fiamminghi e una straordinaria raccolta di cammei antichi. Molte delle opere, a partire dai cammei, sono poi finite, causa la rapacità dei Borbone, nel Museo di Capodimonte a Napoli.
 Comunque, fatta giustiziare Barbara, il Farnese confisca tutti i possedimenti della Sanseverino, e fa di Colorno la propria residenza estiva. 
La rocca cinquecentesca si trasforma in una lussuosa Reggia ed il giardino di Barbara diviene un grande parco alla francese.
 Poi anche i Farnese passano e, nel 1749, Colorno diventa la residenza Ducale dei Borbone. 
 In questo periodo la struttura del palazzo viene modificata profondamente: il duca Filippo affida all'architetto francese Ennemond Alexandre Petitot (!) la ricostruzione dello scalone d'onore al centro della facciata verso il giardino. Il duca Ferdinando, successivamente, commissiona la costruzione di un suo appartamento e, religiosissimo com'era, di una chiesa e un convento per i frati dell'ordine domenicano.
 Nel 1815 il ducato passa all'ex imperatrice Maria Luigia d'Austria. La Duchessa più amata dai parmigiani, ne prenderà possesso il 19 aprile del 1816, attraversando il Po su un ponte di barche, proprio a Colorno.  Non sarà per questo,  resta il fatto che la <<buona duchessa>> (così veniva soprannominata dal popolino Maria Luigia) dedicherà grande attenzione al giardino commissionando a Carlo Barvitius la ristrutturazione del parco secondo il modello romantico all'inglese. 
Dopo l'Unità d'Italia, il palazzo viene prima adibito a scuola militare (1862-64) e poi a Manicomio provinciale.
 Oggi la Reggia, dopo impegnative campagne di restauro che hanno coinvolto anche il giardino, è ritornata agli antichi splendori e ospita mostre temporanee.
 Colorno dunque, con la sua Reggia,  e li vicino Sacca di Colorno, dove Stendhal ha ambientato uno degli episodi chiave della sua "Certosa di Parma" e dove Bruno Morini ha intitolato il suo ristorante proprio allo scrittore,  proponendo tutto il meglio della cucina tipica parmigiana...  Se sei a Colorno hai due possibilità: o punti direttamente verso Parma, oppure la prendi lunga e ti butti nelle terre di Verdi e Guareschi, nel regno della spalla cotta e del culatello.
 Domani la prenderò lunga... http://feeds.feedburner.com/BlogFidentino-CronacheMarziane

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