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Storie della Grande Guerra - Come e perché l'Italia decise di intervenire

Creato il 04 novembre 2014 da Redatagli
Storie della Grande Guerra - Come e perché l'Italia decise di intervenire

Durante la crisi internazionale scatenata dall'attentato di Sarajevo, l'Italia sta affrontando una forte crisi interna. Le cose non andavano bene non solo da un punto di vista economico, dove rallentava la produzione e cresceva la disoccupazione, ma anche sul versante politico, dove era sempre più difficile governare fazioni sempre più radicali e contrapposte tra loro.
Storie della Grande Guerra - Come e perché l'Italia decise di intervenireCome se non bastasse, Giolitti – grande stratega degli equilibri parlamentari – aveva passato la mano a Salandra nel marzo 1914.
La situazione, in sostanza, appariva difficile da controllare.

Diamo uno sguardo alla diplomazia. Quando scoppiano le ostilità, l'Italia è ancora legata alla Triplice Alleanza – firmata nel 1882 con l'Impero prussiano e l'Impero austro-ungarico, e rinnovata nel 1912. Un'alleanza in realtà già da tempo scricchiolante e che iniziava a star stretta all'Italia.
Tanto per cominciare, la sua volontà di espansione nel Mediterraneo orientale e nei Balcani veniva osteggiata proprio dall'alleata Vienna; inoltre non era mai del tutto scomparso il risentimento antiaustriaco di età risorgimentale che, in quegli anni, si ripresentava spesso sotto forma di veementi manifestazioni irredentiste all'interno dell'Impero austro-ungarico (specialmente a Trieste).

Eppure alla vigilia del luglio 1914 in larga parte degli ambienti politici, diplomatici e militari si riteneva ancora necessario (e utile) restare fedeli alla Triplice Alleanza, anche se nel frattempo i rapporti con le nazioni avversarie (appartenenti all'Intesa) erano notevolmente migliorati.
Perché allora l'Italia non intervenne immediatamente nel conflitto, ed anzi si dichiarò neutrale?
Salandra e Di San Giuliano, Ministro degli Esteri, vengono letteralmente colti di sorpresa durante il loro soggiorno alle terme di Fiuggi quando ricevono la notizia dell'ultimatum di Vienna alla Serbia. Si affrettano subito a dichiarare l'Italia non vincolata a intervenire.
Era stato rotto, si disse, uno degli accordi stipulati con la Triplice: i governi di Vienna e di Berlino non avevano informato l'Italia della loro intenzione di andare in pressing sulla Serbia (e comunque la Triplice era un'alleanza difensiva, non certo offensiva!).  

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Gli sviluppi della situazione sono però ancora imprevedibili e Di San Giuliano si mantiene possibilista circa un eventuale intervento laddove si fossero profilate ghiotte occasioni a vantaggio dell'Italia: il trattato prevedeva compensi territoriali in caso di espansione dell'Impero austro-ungarico e c'era dunque la possibilità di approfittarne.
I prussiani fecero pressioni su Vienna affinché cedesse almeno il tanto desiderato Trentino all'Italia. Sarebbe stato un lieve sacrificio a fronte di una Triplice Alleanza compatta.
Ma gli austro-ungarici si decisero a dichiararsi favorevoli troppo tardi: il Consiglio dei Ministri si era già risolto per la dichiarazione di neutralità (1 – 2 agosto 1914).

Sicché la posizione dell'Italia era stata decisa: neutrale. Perché allora decise infine di intervenire, e per giunta contro i suo alleati storici? Le cose si fanno interessanti poco dopo la dichiarazione di neutralità, quando arrivano sulla scrivania degli Esteri le proposte di intervento da parte delle forze dell'Intesa (cioè Francia, Russia e Gran Bretagna).
Di San Giuliano è molto tentato e, per la prima volta, prospetta chiaramente a Salandra «se non la probabilità, almeno la possibilità che l'Italia debba uscire dalla neutralità per attaccare l'Austria».
L'11 agosto si aprono i primi negoziati confidenziali con Grey, Ministro degli Esteri inglese. Gli italiani richiedono Trentino e Trieste come compenso in caso di vittoria dell'Intesa. Le trattative vengono condotte lentamente e con molta prudenza, anche perché veniva richiesta all'Italia una dichiarazione ufficiale di alleanza che non si era ancora disposti a dare.

La guerra in realtà era una grande occasione: avrebbe rafforzato l'Italia, facendola salire al rango di "grande potenza imperialista", e avrebbe offerto allo stesso tempo la possibilità di potenziarsi politicamente ed economicamente. Una occasione irrinunciabile, soprattutto per i componenti della classe dirigente.
Restava "solo" da scegliere da quale parte stare. Durante le trattative con l'Intesa Di San Giuliano aumentò quindi la posta in gioco: richiese tutte le provincie italiane dell'Austria fino ai confini naturali (le Alpi), l'Istria, la Dalmazia con relativo arcipelago, e la città di Valona in Albania.
Questi, insieme ad altri punti, costituirono di fatto il primo abbozzo del successivo patto di Londra. Di San Giuliano, purtroppo per lui, non ne vedrà mai la firma: morirà il 16 ottobre 1914.

Il testo dell'accordo viene sottoposto a Salandra. Anch'egli si mantiene cauto e riservato, ma inizia a prendere le misure. Tra settembre e ottobre mette in atto un rimpasto del governo, sostituendo tra l'altro agli Esteri il malato Di San Giuliano con Sydney Sonnino.
Nel mentre da Berlino partono nuove e allettanti avances, ma da Londra niente di nuovo sotto il sole: gli inglesi non avrebbero trattato senza prima aver saputo chiaramente le intenzioni dell'Italia.
Nel 1915 quindi i tavoli sono ancora aperti, sia con Vienna che con Londra. Salandra e Sonnino devono inoltre confrontarsi con un Parlamento e un'opinione pubblica ancora prevalentemente neutralisti.
In questo periodo si segue, se volete, la tattica del “meglio aver paura che buscarne”, sperando di poter ottenere risultati soddisfacenti restando neutrali piuttosto che rischiare un intervento antiaustriaco dagli esiti comunque incerti.

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Ma, nonostante la riservatezza, qualcosa trapela sulle trattative tra Italia e Intesa, e gli alleati Austro-Prussiani cominciano quindi a preferire un'Italia neutrale piuttosto che trovarsela contro. Si cerca di comprare la neutralità italiana promettendo in cambio la cessione del Trentino (anche se Vienna, al solito, tergiversava).
La situazione era mutata, non si potevano più tenere i piedi in due staffe, una scelta di campo era necessaria: o neutrlità o intervento. Il 16 aprile così viene dato il benservito all'Impero austro-ungarico e dieci giorni dopo l'Italia firma con l'Intesa il patto di Londra (che la obbligava a intervenire a non oltre un mese a partire da quella data).
Sonnino, rispetto alle richieste iniziali, deve però accontentarsi di avere come compenso solo metà del territorio dalmata (comprendente Zara e Sebenico, fino a capo Planca) e la maggior parte dell'arcipelago.

Solo il 3 maggio Vienna viene informata ufficialmente dell'avvenuta alleanza con l'Intesa. La scelta viene giustificata attaccandosi alla violazione fatta dagli ex-alleati della lettera e dello spirito della Triplice Alleanza, nonché con l'atteggiamento negativo tenuto dall'Impero austro-ungarico nelle trattative per gli eventuali compensi. A Vienna, comprensibilmente, non la prendono benissimo.

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Salandra e Sonnino avevano, di fatto, operato da soli. Non solo il Parlamento, ma anche il governo e lo stesso sovrano restano in pratica emarginati e all'oscuro durante tutte le trattative.
Il Consiglio dei Ministri viene informato solo il 7 maggio e si trova con le spalle al muro: o sostenere l'impegno preso da Salandra e Sonnino, o rassegnare le dimissioni. Vince, inutile dirlo, la prima opzione.

Resta da vincere un Parlamento in cui però le forze erano per la maggior parte neutraliste (socialisti, cattolici e liberal-moderati giolittiani). Si fa quindi leva sull'impegno preso dal Re – e quindi dall'intero Stato, non semplicemente dal governo – e  allo stesso tempo ci si appoggia sulle violente minoranze interventiste extraparlamentari per ottenere l'approvazione degli accordi.
Il successo verrà garantito dalla relativa debolezza del gruppo neutralista facente capo a Giolitti.

Lo statista piemontese spera di poter rovesciare la situazione con il voto parlamentare (e aveva tutti i numeri per farlo), ma Salandra lo anticipa inviando al re una lettera di dimissioni. Giolitti e altre personalità di spicco favorevoli alla neutralità sono messe in scacco in un colpo solo: nessuno, interrogato dal re, ritiene di poter formare un nuovo governo stabile. Pertanto il re respinge le dimissioni del primo ministro e accorda nuovamente fiducia al governo Salandra.
Il dado è tratto.
Tra il 20 e il 23 maggio vengono approvati vari decreti atti al passaggio allo stato di guerra tra cui, in particolare, la concessione dei pieni poteri al governo in caso di apertura delle ostilità e la dichiarazione di guerra all'Impero austro-ungarico.
Il comando dell'esercito viene affidato al generale Cadorna. Il 24 maggio cominciava, anche per l'Italia, la Grande Guerra.

doc. NEMO
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Bibliografia:

  • Gian Emilio Rusconi, L'Italia e i dilemmi dell'intervento. L'azzardo del 1915, in La prima guerra mondiale, vol. I, Einaudi, Torino, 2007.
  • Antonio Gibelli, L'Italia dalla neutralità al Maggio Radioso, in La prima guerra mondiale, vol. I, Einaudi, Torino, 2007.
  • Giorgio Candeloro, Storia dell'Italia moderna, vol. VIII, La prima guerra mondiale, il dopoguerra, l'avvento del fascismo, Feltrinelli, Milano, 1984.
  • Ernesto Ragionieri, La storia politica e sociale, in Storia d'Italia, vol. IV, Dall'Unità a oggi, Einaudi, Torino, 1976.

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