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Storie di fantasmi #3

Creato il 03 settembre 2012 da Sambruno
Storie di fantasmi #3Questa volta tocca a Ambrose Bierce e a La fuga, tratto da I racconti dell'oltretomba: breve raccolta a cui sono tanto affezionata da averla comprata, di recente, anche in ebook, per portarmela sempre dietro - nel lettore - e averla sempre a portata di mano mentre smanetto al computer. È stata una delle mie primissime antologie sui fantasmi: avrò avuto un quattordici anni ed era estate, alla casa al mare dei miei zii, di sera; leggevo, mentre le zanzare mi dissanguavano.
La fuga è uno dei racconti più brevi in I racconti dell'oltretomba. Magari non è il più bello, ma è uno di quelli che rileggo più spesso. Sarà che adoro questa frase: "Orrin Brower non ebbe altre curiosità".
* * * Dato che aveva ucciso suo cognato, Orrin Brower, originario del Kentucky, si era dato alla fuga. Era scappato dalla prigione della Contea nella quale era stato confinato in attesa del processo, dopo aver abbattuto il carceriere con la sbarra di ferro: gli aveva rubato le chiavi e, aperta la porta esterna, era uscito nella notte. Poiché il carceriere era disarmato, Brower non aveva un'arma con la quale difendere la libertà da poco recuperata.
Non appena fuori dalla città, aveva avuto la cattiva idea di entrare nella foresta.
Questo accadde molti anni fa, quando quella regione era più selvaggia di quanto non lo sia ora.
La notte era abbastanza buia, non erano visibili né la luna né le stelle e, siccome Brower non aveva mai abitato da quelle parti e non sapeva nulla della configurazione del terreno, non ci volle molto perché si perdesse. Non riusciva a dire se si era allontanato dalla città o se stava avvicinandosi: il problema era molto importante per lui. Sapeva che, in ogni caso, una squadra di cittadini armati con una muta di segugi sarebbero presto stati sulle sue tracce, e le sue possibilità di fuga erano molto esigue; ma non aveva intenzione di assistere al proprio inseguimento. Anche un'ora in più di libertà valeva la pena di essere vissuta.
Improvvisamente, uscì dalla foresta su una vecchia strada, e lì davanti a lui vide, confusamente, la figura di un uomo, immobile nell'oscurità. Era troppo tardi per scappare: il fuggitivo sentì che al primo movimento verso il bosco sarebbe stato, come spiegò in seguito, «riempito di pallettoni». Così i due rimasero lì immobili simili ad alberi, Brower quasi soffocato dall'attività del suo cuore, l'altro... le emozioni dell'altro non sono indicate.
Un attimo dopo, poteva esser stata un'ora, la luna scivolò in uno squarcio di cielo senza nubi e l'uomo braccato vide l'incarnazione visibile della Legge sollevare un braccio ed indicare significativamente verso di lui ed oltre. Comprese. Voltò la schiena al suo inseguitore, e camminò obbedientemente nella direzione indicata, non guardando né a destra né a sinistra, osando a malapena respirare, con la testa e la schiena che gli dolevano per l'impressione di aver ricevuto una scarica di pallettoni.
Brower era tanto un criminale coraggioso quanto uno che vive solo per essere impiccato. Questo risultava dall'enorme rischio personale che aveva corso quando aveva ucciso freddamente suo cognato. È inutile raccontarlo qui; le circostanze erano venute fuori al processo, e l'ostentazione della sua calma nel confutarle era arrivata quasi a salvargli il collo. Ma, cosa volete?... Quando un uomo coraggioso è sconfitto, si sottomette.
Così i due proseguirono il loro viaggio verso la prigione lungo la vecchia strada attraverso il bosco. Solo una volta Brower si arrischiò a voltare la testa: guardò indietro appena una volta, mentre lui era in ombra e sapeva che l'altro era illuminato dalla luna. L'uomo che l'aveva catturato era Burton Duff, il carceriere, bianco come la morte, e portava sulla fronte il segno della sbarra di ferro. Orrin Brower non ebbe altre curiosità.
Finalmente entrarono nella città, che era tutta illuminata, ma deserta; erano rimaste solo le donne e i bambini, ma non erano per strada. Il criminale si diresse direttamente verso la prigione. Andò direttamente all'entrata principale, portò la mano alla maniglia della pesante porta di ferro, l'aprì senza aver avuto alcun ordine, entrò, e si trovò alla presenza di una mezza dozzina di uomini armati. Allora si voltò: nessun altro entrò dopo di lui.
Sul tavolo nel corridoio giaceva il cadavere di Burton Duff.

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