Magazine Diario personale
Ogni anno di questi tempi mio padre prendeva me e mia sorella Anna e ci portava in montagna, un pomeriggio di un giorno feriale, subito dopo pranzo.
Facevamo una lunga passeggiata nei boschi, in salita, alla ricerca di un bel ginepro da usare come albero di Natale.
Era diventata una tradizione; una bella tradizione; la nostra bella tradizione natalizia.
Dovevamo cercare nella rada macchia mediterranea delle nostre montagne un ginepro abbastanza dritto e pieno, con la classica forma a goccia, non più alto di un paio di metri, facilmente trasportabile.
Più o meno come quello della foto.
E non era facile trovarlo perchè il ginepro, dalle nostre parti, raramente diventa un albero vero; spesso resta un arbusto informe o assume la forma tonda di un cespuglio basso.
Qualche volta, infatti, non lo avevamo trovato con quelle caratteristiche precise.
Ma non desistevamo: mio padre aveva affinato una buona tecnica e riusciva ad assemblarne ad occhio anche due tre pezzi presi da due tre piante diverse.
Quindi tagliava i rami da alberelli diversi e, una volta tornati a casa, li legava stretti stretti fra loro col filo di ferro e gli dava la forma di un vero albero di Natale.
La chioma di aghi verdi, fitta fitta, non permetteva a nessuno di vedere il trucchetto: le palline e gli altri addobbi avrebbero fatto il resto.
Una volta individuata la pianta o le piante che facevano al nostro bisogno, dovevamo abbattere il ginepro dalla base del tronco, ma non ci sentivamo in colpa: un vero spirito ecologista, negli anni '60, non era ancora diffuso dalle nostre parti.
Portavamo sempre con noi una sega, un'accetta e una corda: con le prime due facevamo un lavoro pulito a tagliarlo quasi da terra e ad aggistare il tronco, con la corda lo legavamo, trascinandolo sull'erba, per portarlo fino alla strada.
Da lì mio padre l'avrebbe portato a spalla fino a casa.
La vera festa era quando l'albero eletto arrivava finalmente nel salone di casa.
Dopo aver posizionato per bene l'alberello su una base di marmo, di quelle che reggono gli ombrelloni dei bar in estate, lo portavamo nell'angolo vicino alla finestra che dava su Viale della Libertà e cominciavamo ad addobbarlo con palline, festoni, lucette.
Per ultimo mio padre che ovviamente era il più alto posizionava il puntale dorato.
Solo a quel punto la sua frase d'obbligo.
Rivolto a tutti noi, che assistevamo in silenzio al rito conclusivo, con una espressione tra il serio e il faceto, come solo lui sapeva fare così bene:
"La vita è come l'albero di Natale - diceva - c'è sempre qualcuno che rompe le palline."
Poi chiudeva con la classica raccomandazione d'obbligo:
"Voi però cercate di evitare di farlo... almeno per quest'anno."
Ingmar Bergman racconta nelle sue memorie:
"...sono profondamente fissato alla mia infanzia. Alcune impressioni sono estremamente vivaci: la luce, l'odore, tutto... E' tutto come in un film. Da pochi frammenti di un film, che ho impostato ed è in esecuzione, posso ricostruire tutto nei minimi dettagli. L'unica cosa che non posso ricrearne sono gli odori."
Aveva ragione: gli odori dell'infanzia non si possono ricreare; puoi solo augurarti di ri-sentirli, anche solo per caso.
A me basta ri-sentire l'odore penetrante del ginepro e della sua resina per rituffarmi nei miei ricordi d'infanzia degli anni '60: quell'odore acre, che avrebbe impregnato la casa per quasi un mese, era il primo segnale invisibile ma certo che di lì a poco, a casa nostra ci sarebbe stata una grande festa.
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