Jack London, "Storie di pugni", Piano B edizioni 2010
“Questa gara tra uomini con guantoni imbottiti non è qualcosa di superficiale, una moda del momento o di una generazione (…) È qualcosa di profondo come la nostra coscienza ed è radicato in ogni fibra del nostro essere. È cresciuto come è cresciuta la nostra lingua. È un’istruttiva passione di razza (…) È il richiamo della scimmia e della tigre dentro di noi, credetemi. Questo istinto è chiuso in noi come un uomo in carcere. Non possiamo scinderlo da noi (…) Ci piacciono le sfide: è la nostra natura”.
Una natura da combattimento, da lotta, da ring. Una ritualità antica come il desiderio di vittoria, come la voglia di non soccombere. La boxe, quell’insieme di attimi in cui uno di più può risultare fatale. Lo sport delle regole e della forza, muscoli aperti al vento, scoperti di fronte ad altri muscoli, compattati in un muro fibroso di resistenza fisica, morale, intellettiva. Uomo contro uomo, un fronteggiarsi di ideali, di esigenze, di vissuti. Storie dentro e fuori il quadrato che si contrastano e si confondono nel sangue e nelle gocce di sudore, negli spasmi di dolore e nell’annebbiamento encefalico.
Sporca e tosta, la boxe è la vita che entra nell’agonismo. Ci hanno provato in tanti raccontarla. Jack London c’è riuscito. La Piano B, casa editrice toscana, ha messo insieme quattro sue storie: racconti e testimonianze giornalistiche. Un amalgama di reale e di creatività; un intrecciarsi pulsante di ribellione e arresa, un avvicendarsi rutilante di forze e debolezze.
“Storie di pugni” è mal di bicipiti, è un montante nello stomaco, un dolore nel cervello. “Storie di pugni” è la sintesi dei colpi presi in pieno volto, è il sangue che vola sul tappeto, il setto nasale che si maciulla sotto la pressione dei guantoni. “Storie di pugni” è una letteratura che non va in clinch, cui non occorre appoggiarsi su altro che su sé stessa, che non chiede pause al tempo, ma sul tempo si impone con il suo vomitare crudo e secco. Con il suo linguaggio sporco, i suoi scenari impregnati di fumo.
Ed il Jack London che vi si scorge è lo scrittore delle tematiche forti, un documentatore sociale più efficace di una video camera, più incisivo di una lama nella carne. Il London di “Storie di pugni” è il pungolo costante della coscienza. Nei primi tre racconti cozzano dicotomie tutte afferibili all’incedere della storia umana: politica contro affare, vita contro morte, fame contro gloria. Finanche, amore contro amore. “Il messicano”, “Una bistecca”, “Il gioco”, sono tre enzimi che innescano l’inevitabile reazione emozionale. Uno stantuffo sentimentale, con le emozioni che incedono di pari passo con quelli dei protagonisti.
Pietre grezze, mai affinate. Lavorate al massimo del minino.
L’inedito “Il match del secolo” è il colpo finale. Si tratta di un lungo reportage, dieci giorni di investigazione intima e nel contempo riflessione sportiva dell’autore, condotto da London nel 1910, anno in cui venne inviato dal New York Herald per seguire lo scontro fra il pugile nero Jack Johnson ed il bianco James Jeffries. Il match del secolo, appunto. In teoria destinato a fare epoca, in pratica una formalità per l’imbattibile Johnson. L’opposizione fra due mondi discostati, razze umane che si giocavano il primato nell’unica maniera incisiva: combattendo.
Gemma.
JACK LONDON, STORIE DI PUGNI, PIANO B 2010
Giudizio: 4 / 5
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