Storie e Matasse

Da Sfollicolatamente
Ho un groppo in gola da giorni ormai, che non vuole uscire, che non so come esprimere, ma lo voglio fare; prima di tutto perche' e' una storia che va raccontata, e poi perche' questa storia, per quanto per vie irrazionali e probabilmente del tutto infondate scientificamente parlando, influenzera' la strada che prenderemo per Tentativo PMA n.2 (eccerto, non credevate che l'avessi finita con i pipponi sul n. 2, vero?).
Ve la ricordate T., la mia amica tedesca? Quella che era finalmente rimasta incinta dopo anni di pma e Fivet ecc ecc? Si, quella che negli stessi giorni in cui scopriva di essere incinta, scopriva pure di avere un tumore alla mammella
Si, lei, ecco.
Ha perso il bambino. Alla 20esima settimana. 
Nonostante i medici tutti specialisti professoroni le avessero garantito che l'operazione e la chemio alla quale si e' dovuta sottoporre non avrebbero influito sul magico mondo protetto del suo bambino, protetto dalla placenta che e' un sistema a se.
Magico sistema a se un cazzo.
Si puo' dire cazzo?
Si, tanto l'ho gia' detto anche l'altra volta, ed e' da quando ho parlato con T. che non faccio altro che ripetere la stessa parola. 
Sono in loop e non ne vengo piu' fuori. 
Penso che nessuno dovrebbe essere messo di fronte a scelte come quella di T. 
Penso che in realta' la sua non e' stata neanche una scelta: semplicemente si e' fidata della scienza e del buon senso (quello che puo' sembrare una decisione eroica, cioe' non curarsi per non rischiare di danneggiare il feto, in realta' e' una scelta folle, perche' equivale a mettere al mondo un bambino che da li a poco rimarrebbe orfano). 
Penso che magari era destino lo stesso. Che ci sono donne sane che perdono i bambini senza che intervenga la chemio a incoraggiare le cose. 
E non so se questo pensiero mi consola. Anzi, non mi consola per niente.
Perche' alla fine siamo sempre li, oltre all'empatia e alla compassione e al dolore per chi amiamo, c'e' sempre quell'egoistico sentimento di paura che ti fa pensare a te stesso e al fatto che pure a te potrebbe succedere. 
E piu' la tragedia ti colpisce da vicino, piu' la paura ti fa reagire in modo assolutamente privo di senso. 
Perche' tutto questo non ha senso.
E infatti mi diceva T. che sia la sua famiglia che quella del marito sono andati letteralmente fuori di testa, nel tentativo di mettere un senso a questa tragedia. 
Sua madre e sua sorella l'hanno accusata di aver fatto qualcosa di sbagliato, che un bambino non si perde a 20 settimane, cosi. 
La suocera, invece, l'ha accusata di egocentrismo rifiutandosi di andare al funerale.
Io proprio non mi capacito di quanta paura abbia questa gente dii vedere la realta' in faccia. Tanta paura da non poter neanche essere vicino a chi, in questo momento, ne avrebbe piu' bisogno di tutti.
D'altra parte, non mi capacito proprio di niente di niente, in tutta questa storia.

Non mi capacito di non poterci fare niente, di non poter far niente per la mia amica T.

Ma, soprattutto, non mi capacito di come la mia amica T. possa continuare a lottare, come possa avere la forza di svegliarsi la mattina, di mangiare, di camminare, di parlare. Addirittura di sognare. Perche' lei sta gia' sognando una nuova vita lavorativa, quando tutte queste cure saranno finite (ha progetti, idee, intuizioni, che levati!).

E intanto sento la paura che mi dice che no, anche se la sua storia non c'entra nulla con la mia (lei ha una mutazione genetica che la predispone a questo tipo di tumore, e la pma probabilmente non c'entra niente con quello che e' successo), la mia storia sara' inevitabilmente influenzata dalla sua. 

Io ora di ormoni non ne voglio piu' sapere.
Io ora sto facendo amicizia con l'ovodonazione. 

Devo solo districare un paio di matasse. 

C'e' quella del senso di inadeguatezza, ah si, quella e' piu' semplice, ci siamo quasi, dai. 
Poi c'e' quella del senso di colpa, ah quella e' piu' ingarbugliata:
C'e' il filo robusto, grezzo e funzionale collegato alla ragione, che dice "Non e' necessario complicare la vita a te stessa, ma soprattutto agli altri, quando ormai una famiglia splendida ce l'hai gia'".
C'e' il filo collegato direttamente alla matassa del Gufo e della Iena e del loro rapporto disfunzionale con i loro fratelli e sorelle, che dice "E se poi ci va bene ma non riusciamo ad amarli tutti e due nello stesso modo".
E poi c'e' il filo nero e incommensurabilmente lungo e intangibile e che non sai da dove venga e nemmeno dove porti, ma che disegna una cosa sola, chiara e inequivocabile, un punto di domanda che dice: "E se poi qualcosa va storto?". 
Quello e' il filo della paura.


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