Bisogna partire dal presupposto che il nostro istinto si può sbagliare. Ammetto di essermi sempre fidata parecchio del mio e raramente mi ha delusa. Ma comunque può capitare di convincersi e intestardirsi inutilmente. Così quando due persone su tre (di cui la terza sei tu) ti dicono che qualcosa non va forse bisognerebbe dargli il beneficio del dubbio. E invece no! Invece molti di noi, se si convincono di qualcosa, hanno bisogno di andare contro i propri personali mulini a vento e arrivare ad arrendersi solo quando anche l’ultima toppa si è bucata. E vi posso assicurare che anche arrivati a quel punto una qualche sensazione rimane. Credo sia una specie di malattia dei sognatori quella che ti fa pensare che tutto il brutto ha sempre una motivazione più alta e presto, anzi prestissimo, tutto si risolverà esattamente come doveva. Si finisce col credere nell’impossibile e magari si finisce col cercare la formula magica: quella combinazione di gesti e parole che può riportare tutto come prima. Cose tipo quelle che si vedono nei film: corse sotto la pioggia, rincorse in aeroporto, biglietti romantici e ognuno sa cos’altro ha saputo inventarsi quando gli è capitato. Durante le 10 ore di volo che feci qualche anno fa per poter atterrare in Messico ho visto un film in cui mostravano fotografie scattate molto da vicino alle cose; da così vicino non era mai riconoscibile di cosa si trattasse, questo per dire metaforicamente che le cose viste da vicino difficilmente sono chiare, questo per dire che sto cercando di studiare una lasagna di cui sono il ripieno. Maledetta voglia di laurearmi in matematica che mi perseguita. Alla fine del liceo dopo anni in cui mi sforzavo di essere la figlia perfetta mi sono detta “ora non voglio sforzarmi più” così ho fatto il pari e dispari tra quello che sapevo fare meglio ed eccola qui, una laurea in scienze dello spettacolo con un matematico 110. Ma se avessi dovuto sfidare i miei limiti? se avessi avuto curiosità di vedere che cosa c’è dall’altra parte? avrei scelto la laurea in matematica, quello che so fare meno. Però la sindrome resta, la voglia di riuscire dove meno sono capace, nonostante la palese dimostrazione che anche le strade facili pagano profumatamente. E allora forse è qui che bisogna trovare la differenza tra il provare dei sentimenti contro ogni logica e la patologica e semplice voglia di fare quello che non si può. Che sia il caso di smettere di studiare matematica? Sicuramente è il caso di scoprire il beachwear Storm in a Teapot. Storm in a teapot con le sue collezioni racconta un mondo onirico e caldo. Racconta di “luoghi dove il vento che trasporta piccoli granelli di sabbia non si stanca di modellare le rocce secolari, dove il mare porta sulla spiaggia piccoli tesori dimenticati. E’ un mondo dove non scappi al riparo dalla tempesta, ma impari a danzare con la pioggia. La tempesta è fuori e dentro di te e nell’attraversarla arrivi ad essere ciò che sei. Storm in a Teapot è un brand ideato per chi vive la spiaggia chic ma a piedi nudi. Chi sa riconoscere le cose belle senza farsi abbagliare dai luccichii”. In queste foto io indosso il modello SEASHELL JASMINE che trovate disponibile anche nella variate di colore STONE GREY. Entrambi sono acquistabili con uno sconto del 40% QUI. Jasmine e’ costume intero color avorio dalle linee pulite con profili a contrasto verde bancha. Questo costume e’ realizzato in microfibra ed ha un gioiello in macrame’ con pietra dura naturale sulla scollatura. Le applicazioni gioiello sono realizzate rispettando la naturale forma della pietra e questo rende ogni capo un pezzo unico.
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