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Story of My Death

Creato il 24 novembre 2015 da Eraserhead
Story of My DeathAlbert Serra, l’autore europeo interessato più d’ogni altro suo collega ad una forma di cinema che attraverso la smitizzazione storica lavora sul e nel contemporaneo, giunge al terzo lungometraggio travisando il titolo dell’opera più conosciuta di Giacomo Casanova, e proprio Casanova è il centro dal quale si propaga un’opera proteiforme, complessa e coltissima, il cui confronto con i due lungometraggi precedenti di Serra apre scenari molto interessanti. Dunque, Honor de cavallería (2006) e Birdsong(2008) avevano sicuramente due punti cardine in comune: lo stile e le relative caratteristiche costitutive, se sul metodo è più facile discernere poiché di fronte ai nostri occhi e per tale motivo accennerò giusto ai criteri della dilatazione, dell’afasia, ecc., sull’essenza, se così si può dire, è bene ricordare del parallelo processo di destoricizzazione: Don Chisciotte e i Re Magi, due corpi nitidamente incastonati in una realtà prettamente romanzesca (La Bibbiaè un ottimo romanzo storico d’altronde) e di rimando proiettati nell’immaginario collettivo di ognuno di noi, spogliati di ogni valore storico-culturale, nemmeno parodiati, più sottilmente alterati, trasformati: falsati, senza alcuna accezione negativa. Il risultato, in ambo i casi, fu potente e tatuato nelle iridi dei fortunati spettatori. Allora, Història de la meva mort (2013) come si pone nei confronti dei suoi predecessori? Siamo in presenza di una continuità o di un’amputazione? È importante chiederselo? Sì, lo è. Ed è meglio rispondere in un altro paragrafo.
Alcune connessioni sono innegabili: anche qui il metodo di Serra è quello flemmatico del cinema sospeso, e anche qui, ça va sans dire, è di una famosa figura storica che si parla, tuttavia un leggero distacco lo si ravvisa nella marcata presenza di linee dialogiche, questo da un lato fa scemare un po’ quel magnetismo a cui Serra ci aveva abituato, mentre dall’altro apre nuovi scenari per un possibile sviluppo autoriale, ad ogni modo era inevitabile che nella costruzione del personaggio-Casanova vi fosse una spiccata verbosità date le sue rinomate abilità seduttive. Tale riflessione ci conduce nel cuore della questione: Història de la meva mort possiede una grossa novità rispetto ai due antesignani, il procedimento di contro-deificazione sopramenzionato non si ripresenta pienamente né per Casanova, né per Dracula. In Story of My Death ciò che essi sono è ciò che ci si aspetta che siano, l’uno è il latin-lover pronto a decantare le proprie conquiste, l’altro è l’oscuro signore che vive nel castello e che va matto per i colli eburnei del gentilsesso. Perciò non abbiamo più il ritratto deformato dalla lente serriana del singolo mito, del singolo Racconto, abbiamo molto di più: come giustamente riportato da molti recensori in Rete, Casanova e Dracula non sono altro che l’impersonificazione di due epoche diverse e quella di Serra diventa così la rappresentazione del soverchiamento dell’una sull’altra, sicché il quadro si fa inaspettatamente più ampio e carico di una significazione d’altro valore, se prima Serra infondeva magnificamente il senso più sull’esteriorità (il senso dentro l’immagine è alla radice del vero cinema) e quindi toccava certi tipi di vette, qui, tenendo comunque conto di un grande apparato visivo tutto giocato tra ombre e penombre, è la grande metafora a costituire la portata semantica. Anche se maggiormente narrativo il cinema di Serra continua la strada della densità concettuale, seppure in un modo diverso.
Soddisfatti? Certo che sì. Sarebbe da sconsiderati snobbare un film del genere additandolo come noioso o inconcludente, Serra è ormai a tutti gli effetti un terrorista dell’adattamento storico a prescindere dal tipo di criterio adottato, non aderire alla sua visione significa rigettare uno dei pochi casi in cui la parola postmoderno non è usata a casaccio.
Un grazie alla recensionedi poor Yorick che mi ha aiutato a stilare i concetti esposti.

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