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Storytelling – Astutillo Gebbia

Creato il 19 luglio 2014 da Abattoir

di Pigi Arisco

C’era una volta un bambino di 9 anni che giocava in un grande prato nel parco della sua città.

Era un bellissimo bambino biondo, con gli occhi chiari e ben vestito, aveva anche un meraviglioso elicottero di Spiderman radiocomandato.
Il suo papà, un sorridente e muscoloso trentenne, lo incoraggiava e consigliava nelle difficili manovre di atterraggio del piccolo elicottero. L’affascinante madre del bambino era poco distante, su una grande coperta scozzese adagiata sul prato verde, stava preparando i panini ed il succo d’arancia spremuto al mattino.
Il bambino ogni tanto la guardava e sorrideva con i suoi denti bianchissimi.
La madre rispondeva con un altrettanto meraviglioso sorriso. Il bambino era veramente felice.
Tutto appariva meraviglioso.

Purtroppo quel bellissimo bambino non è il protagonista della nostra storia.
Il nostro protagonista è li nel parco, e guarda la famigliola felice. È un bambino di 11 anni, ed è molto diverso dal bambino con l’elicottero di Spiderman, non solo per via dei capelli neri e gli occhi scuri, o per i pantaloni verde militare sporchi di grasso o per la camicia a scacchi rossa aperta su una maglietta nera con degli scheletri armati di chitarre elettriche.
È la sua espressione a renderlo particolarmente inquietante. La fronte ha tre profonde rughe orizzontali, le sopracciglia sono così vicine che potrebbero toccarsi se non fosse per quella profonda ruga al centro che le separa inesorabilmente. Il labbro superiore del bambino è sollevato a mostrare buona parte delle gengive ed un accenno degli incisivi, il naso leggermente arricciato e, se per caso aveste il coraggio di fissare a lungo e con attenzione i suoi occhi, notereste una piccola fiammella rossa proprio al centro delle pupille.
Se un fotografo avesse voluto catturare l’idea platonica di RABBIA, un primo piano di quel bambino gli avrebbe fatto sicuramente vincere un premio.
Anche voi sareste arrabbiati se vi avessero chiamato come quel bambino: Astutillo, Astutillo Gebbia!
Un nome simile sembra dovuto ad un odio viscerale da parte dei genitori nei confronti di un bambino appena nato, ma la verità è ancora più tragica.
Quel nome assurdo è frutto di un padre totalmente ubriaco e di un impiegato dell’anagrafe completamente insensibile. Il padre biascicò qualcosa prima di crollare a terra privo di sensi e l’impiegato trascrisse ciò che aveva sentito. Per il cognome fu più facile visto che il padre aveva consegnato un documento di identità.
“Astutillo. Non fare così, anche se non parli basta guardarti in faccia per capire cosa stai pensando, e certi pensieri non dovrebbero starci nella testa di un bambino di 11 anni, anzi per essere più precisi non dovrebbero stare nella mente di nessuno, i genocidi nascono così, sai!?!”.
A parlare era Armando Cazzilla amico immaginario di Astutillo, era il suo unico amico, probabilmente grazie al fatto che essendo immaginario Astutillo non era mai riuscito a picchiarlo a sangue come aveva fatto con tutti i bambini del suo quartiere. Questa sorta di immunità faceva di Armando Cazzilla l’unica fonte di saggezza, l’ultimo baluardo di coscienza nella mente di Astutillo. Armando insomma, cercava di evitare che Astutillo diventasse un serial killer.
“Armando, anche tu sei frutto dei miei pensieri. Ed anche se sei un rompiscatole non sei così terribile. Il fatto è che non riesco a sopportare la vista di famiglie felici, mi danno sui nervi! Perché quell’idiota biondo deve avere un elicottero di Spiderman ed io invece due enormi lividi sugli avambracci? Vedi? Suo padre gli dà consigli su come fare atterrare l’elicottero, mio padre invece non mi ha neanche insegnato a parare i suoi pugni, ho dovuto impararlo da solo, e prima di farlo ne ho dovuti prendere un bel po’”.
“Se è per questo ne hai anche distribuiti un bel po’! Non c’è bambino del quartiere che non se la faccia sotto appena lo guardi! Ed un paio di volte hai cercato di ammazzare anche me, fortuna che sono di un altro mondo…”.
“Certe volte mi mandi proprio in bestia, con quei tuoi consigli da bravo ragazzo”.
“No, Astutillo, non sono io a mandarti in bestia, sei tu che sei costantemente arrabbiato con il mondo, anche quando dormi!”.
“Non ricominciare con i soliti discorsi! Chiaro?”.
“Bambino, con chi stai parlando?”. A chiederlo era stata una vecchia nonnina che si era avvicinata ad Astutillo e con un sorriso gentile gli aveva fatto quella innocente domanda.
Astutillo non rispose, la guardò un paio di secondi, poi sempre da seduto si afferrò entrambe le gambe da sotto le ginocchia, le portò al petto e ruotando sulla schiena sganciò una sonora ed incredibilmente lunga scorreggia verso la vecchina.
L’espressione della vecchina fu prima di stupore poi, una volta che i fumi della scorreggia raggiunsero le sue narici, di disgusto, infine di rabbia. Stava per dire qualcosa a quel bambino così maleducato, ma Astutillo aveva nuovamente riassunto la truce espressione di sempre.
La vecchina, intimorita, non disse niente e andò via.
Il suono della flatulenza scosse anche la famigliola felice che accortasi di quel ragazzino poco raccomandabile, decise di trasferire il picnic in un’area più sicura, magari pattugliata da qualche agente addetto alla sicurezza.
Armando Cazzilla avrebbe dovuto rimproverare Astutillo, ma era pur sempre un bambino, e non esiste bambino al mondo – reale o immaginario – che non si metta a ridere come un pazzo di fronte ad una scorreggia.
Sul grande prato del parco c’erano due bambini, uno reale ed uno immaginario. Quello immaginario rideva a crepapelle rotolandosi sull’erba, l’altro aveva una faccia truce, sempre la stessa, ma adesso il mento tremava e gli colavano delle grandi lacrime dagli occhi.
Armando si accorse che qualcosa non andava. Smise di ridere e rivestì i panni dell’amico responsabile.
“Astutillo, stai piangendo… che hai?”.
“Perché non posso avere una famiglia normale anch’io? Che ho fatto di male per meritarmi quella feccia di famiglia? Non ho commesso nessun crimine, ma mi sento come un condannato a morte! Perché?”.
“Tralasciamo il discorso sul crimine, sai bene che picchiare ragazzini fino a rompergli il naso non è legale, ma perché parli così male della tua famiglia? Sono, diciamo, originali ecco”.
“Armando! Tu non sei reale, non sai quanto male facciano i pugni di mio padre. Anche da ubriaco, i suoi pugni sono comunque forti. Ed il tutto per proteggere quella tossica di mia madre. Con tutto il metadone che ingurgita probabilmente non si accorgerebbe neanche delle botte che prende. E proprio per questo una volta è finita in rianimazione. Non sentiva il dolore e ha continuato ad urlare ed insultare mio padre nonostante avesse un paio di costole rotte ed una commozione cerebrale”.
“Mi ricordo quella sera, Astutillo, ci siamo spaventati a morte tutti quanti”.
“Non ricordi bene Armando, ci siamo spaventati noi due e dopo che la mamma è svenuta, anche papà. Mia sorella Giada, invece, non era spaventata per la mamma. Aveva paura che papà scoprisse i suoi due compagni di scuola nudi dentro l’armadio. Se li avesse scoperti, oggi sarei figlio unico”.
E va bene Astutillo, hai ragione, hai un papà alcolizzato, una mamma tossica ed una sorella insensibile a tutto tranne che al sesso. Ma che ci vuoi fare? È la tua famiglia”.
“E secondo te questo discorso dovrebbe rincuorarmi? Armando, sei proprio una frana, è meglio se torniamo a casa”.
Durante la notte Astutillo stava sognando l’elicottero di Spiderman, era lui a pilotarlo, l’elicottero era carico di bottiglie di vodka e lui le sganciava sopra le teste dei passanti. Era un sogno molto divertente, soprattutto quando vide suo padre leccare la vodka dall’asfalto come fosse un cane randagio.
Qualcuno gridò. “ASTUTILLOOOOOOO!!!”.
Fece un gran balzo nel letto e, vedendo Armando Cazzilla sorridente di fronte a lui, gli sferrò un gran pugno sul naso, ovviamente non lo colpì, lo attraversò e, sbilanciato dalla furia del colpo, cadde dal letto battendo la testa sul comodino. TUMP! Un rumore secco.
Appena si riprese, guardò Armando, ma aveva ancora in testa l’eco della botta: “Tump, tump. Tump, tump”.
“Armando, mi sa che mi sono fatto parecchio male, sento un rumore ritmico dentro la mia testa”.
“No. Non è nella tua testa, è nella stanza accanto. Tua sorella Giada, sono venuti un paio di compagni di scuola a trovarla, mi sa che andranno avanti per un bel po’”.
“Oh no! Di nuovo. Se papà lo scopre…”.
“Tranquillo, tuo papà è ancora al bar, e tua madre russa in salotto”.
“Ok. Adesso mi spieghi perché mi hai svegliato nel cuore della notte? Ti stai approfittando un po’ troppo della tua condizione di amico immaginario…”. E dicendolo fece scrocchiare le nocche delle mani.
“Stai calmo, Rocky. Ho una meravigliosa notizia. L’imperatore del regno immaginario ha finalmente preso in considerazione la mia domanda di assunzione presso la divisione favole come genio della lampada”.
“È una notizia meravigliosa, ma per te! Per me non direi, mi stai dicendo che te ne andrai per sempre…”.
“Ma si può essere più pessimisti? Tu non vedi il bicchiere mezzo vuoto, lo vedi bucato, pieno di vermi ed in procinto di rovesciarsi! Ma non capisci? Il desiderio lo voglio spendere con te! Esaudirò qualunque cosa mi chiederai! Non capisci che grande occasione ci è capitata? Avanti, non sto più nella pelle, esprimi il tuo desiderio”.
Astutillo non ci pensò su un attimo: “Voglio un’altra famiglia! Una famiglia bella come quella nel parco, voglio un padre muscoloso e intelligente, una madre bellissima ed una sorella con una morale. Puoi farlo questo? È l’unica cosa che voglio”.
Cazzilla si concentrò, batté le mani tre volte e poi sparì.
Il mattino seguente Astutillo si alzò dal letto con il cuore che batteva forte, temeva che la discussione della sera prima con Armando fosse stata tutto un sogno, ma poi si toccò la testa, sentì il bernoccolo e sorrise. Aprì la porta della cucina con quel misto di curiosità, eccitazione e paura che precede ogni scoperta con delle aspettative.
La scena che vide in cucina quasi gli tolse il fiato. Sua madre stava preparando la colazione, ed era… meravigliosa! Era pulitissima, i capelli biondi sciolti sulle spalle, niente occhiaie, niente sigaretta all’angolo della bocca. Era truccata benissimo, le mani curate e le unghia laccate. La cucina profumava di caffè, era meravigliosamente pulita e al centro della tavola apparecchiata c’era un mazzo di fiori e spighe di grano. Sembrava di stare dentro una pubblicità di biscotti! Non riusciva a parlare, gli occhi si riempirono di lacrime, se era un sogno non voleva svegliarsi mai più.
“Buongiorno amore. Ben svegliato. Ti ho preparato la colazione”.
Persino la voce di sua madre era cambiata, era più squillante, vitale. Mentre si avvicinava notò che indossava una gonna e delle scarpe da tennis con i calzini corti. Lo baciò sulla fronte. Il suo alito non puzzava, anzi era fresco e profumato. Le gambe di Astutillo non volevano smettere di tremare, riuscì a fare qualche passo solo dopo che la madre gli porse la mano per accompagnarlo al tavolo della cucina. Si sedette, cominciò a bere il latte dalla tazza.
“Ehi, bel signorino” lo apostrofò la mamma. “Fai colazione da solo? Non li aspetti gli altri?”.
“Gli altri?”.
“Tuo padre e tua sorella”.
“Mio padreee!? Vuoi dire che stanotte è rientrato?”.
“Certo che è rientrato! Che domande! È vero, lavora molto, fino a tardi, ma lo fa per tutti noi, sei grande ormai, certe cose dovresti capirle”.
Questa poi! Suo padre non aveva mai lavorato in vita sua. O meglio, non aveva mai avuto un impiego, perché considerato il tempo che dedicava all’ippodromo e al consumo di alcol, non si poteva proprio dire che fosse disoccupato.
“Sì, certo, ma adesso dov’è?”  disse mentre sorseggiava di nascosto un po’ di latte.
“Sei proprio strano stamattina, dove vuoi che sia? A fare il solito jogging mattutino”.
Era troppo. Astutillo sputò il latte irrorando i fiori e le spighe del centro tavola.
“Oh benedetto Iddio, Asty, ti sei affogato? Vieni qui tesoro!”.
Astutillo era sconvolto, e non riusciva a capire se era per il fatto che lo aveva chiamato Asty, o per quel “Benedetto Iddio”.
Fino a quel momento gli aggettivi che aveva sentito associare alla parola Dio erano tutti irripetibili.
“È tutto a posto mamma, mi sono solo sporcato un po’ la maglietta”.
“Sì, lo vedo, poi dopo la colazione mi dai questa robaccia unta”.
Entrò il padre, o meglio, entrò un uomo che aveva gli occhi del padre, solo quelli.
Era una specie di mini culturista, capelli a spazzola, maglietta dei Springbocks e pantaloncini elasticizzati aderenti. Entrò sudato e sorridente, baciò la madre di Astutillo e arruffò i capelli del bambino.
“Buongiorno campione. Dormito bene?”.
Ad Astutillo piaceva la nuova situazione, e molto anche, ma doveva farci l’abitudine. Ad esempio quando il padre avvicinò la mano per arruffargli i capelli, lui tentò di schivarla e irrigidì i muscoli delle gambe, pronto a scappare.
Il nuovo padre si accorse che qualcosa non andava e fece uno sguardo preoccupato. La cosa non gli piacque affatto, aveva una nuova famiglia, non poteva essere lui il guastafeste, decise così di fare del suo meglio per adattarsi. Sorrise al padre e gli chiese come fosse andata la corsa mattutina. Il padre arruffò nuovamente i capelli di Astutillo e disse: “È andata bene Asty, perché non vieni con me domattina? Ti farebbe bene”.
Ebbe di nuovo un fremito quando il padre lo chiamò Asty. Giada fece il suo ingresso. Arrivò in cucina con un tailleur nero, un paio di occhiali da vista con montatura rettangolare, camicia bianca abbottonata fin sotto il mento, collanina con crocifisso e cartellina amaranto sotto braccio.
“Scusate se non mi fermo a fare colazione con voi, vado molto di fretta, prima di andare a scuola devo completare le canzoni che sto scrivendo sul progetto ‘Castità è Vita’ della parrocchia. Mamma a proposito, mi raccomando non mancare oggi pomeriggio, non va mica bene che in chiesa ci vieni solo per la messa domenicale”.
Su “Castità è Vita” Astutillo dovette mordere con tutta la forza delle mandibole il cucchiaio che aveva in bocca per non scoppiare a ridere, ci riuscì, ma stava quasi per spezzarsi un dente.
Giada si avvicinò, gli baciò i capelli e disse: “Ciao tesoro, anche a te farebbe bene venire in parrocchia ogni tanto, non bastano mica le preghiere che dico ogni sera per ognuno di voi”. Poi prese un biscotto al volo, abbracciò papà-culturista e tornò in camera sua a comporre devote canzoni con la chitarra.
Armando con Giada aveva forse esagerato, ma nel complesso aveva fatto un ottimo lavoro, Astutillo era veramente contento. Sperò proprio che il suo amico immaginario riuscisse a farsi assumere, gli sarebbe mancato ma quel giorno era cominciata la nuova vita di Astutillo, doveva farsi dei veri amici.
Andò in bagno a lavarsi, lasciò i suoi vestiti sporchi fuori dalla porta e si fece una doccia, si lavò con cura per essere pulito e profumato, all’altezza delle aspettative della sua nuova famiglia. Uscito dalla doccia mise borotalco e deodorante, si avvolse in un soffice accappatoio e uscì dal bagno. I vestiti sporchi non c’erano più, andò nella sua camera e trovò sul letto i suoi nuovi vestiti. Camicia, pullover con colletto a V, pantaloni con la piega e scarpe di marca.
Provava ribrezzo per quella divisa, l’aveva vista indosso solo a quegli sfigati a cui aveva rotto il naso, però adesso era un bambino diverso, e tutto sarebbe stato diverso. Uscì di casa con la cartellina in mano saltellando felice sul marciapiede, come in una pubblicità.
Dopo un chilometro circa, incontrò Armando Cazzilla, era solo, sconsolato e zappava svogliato con un legnetto la terra di un’aiuola, era veramente giù di tono.
Astutillo si sedette accanto a lui. “Armando che succede? Perché sei così triste?”.
“Ciao Astutillo, ho fatto un casino nel mio regno. Mi hanno sbattuto fuori”.
Astutillo istintivamente, per incoraggiare l’amico, mise una mano sulla sua spalla e, per la prima volta in vita sua, lo toccò.
“Ma, ma, Armando, tu sei reale!”.
“Quale parte di ‘mi hanno sbattuto fuori’ non ti è chiara? Mi hanno cacciato, via, sbattuto fuori, come lucifero dal paradiso. E da noi l’inferno è qui, nel mondo reale”.
“Ma che hai combinato, il mio desiderio è stato esaudito, perché ti hanno cacciato?”.
“Tutta colpa mia, per festeggiare la promozione ci siamo ubriacati con un paio di amici, poi inaspettatamente mi hanno chiamato a sostituire il genio vero che si era ammalato ed io sono andato. Ero talmente ubriaco che invece di accontentare Aladino, l’ho convinto che era meglio gestire una casa per appuntamenti e che Jasmine se la tirava troppo. Detto fatto, Jasmine è rimasta zitella e Aladin è diventato un pappone.  Non ti posso dire come si è incazzato l’imperatore, mi hanno fatto un processo, ed il giudice era proprio lui, puoi immaginare come sia andata a finire. Condannato senza possibilità di appello. Ho capito che fare il giudice è il massimo potere a cui si possa aspirare, ho capito cosa farò da grande visto che sarò condannato a vivere in questa valle di lacrime. Diventerò giudice! Suona bene, no? Il Giudice Cazzilla. Mi piace”.
Astutillo stava per dire qualcosa ma un fortissimo rombo di aereo lo rese quasi sordo.
L’aereo di linea 811 della Ocean Flight sfiorò gli alberi e si andò a schiantare proprio sulla casa di Astutillo.
Astutillo cercò di gridare, ma la voce non uscì, corse all’impazzata verso le macerie della casa, non c’era più nulla, solo fiamme, lamiere e cadaveri. Cercò di lanciarsi verso le fiamme per salvare la famiglia, fu preso al volo da un vicino, avvolto in una coperta e caricato sull’ambulanza.
Mordeva e scalciava tutto ciò che trovava a tiro.
Gli diedero un calmante. Poi l’assistente sociale, il tribunale ed infine un istituto pubblico per bambini disadattati.
Dopo un paio di anni riacquistò l’uso della parola.
Quello che non riuscirono a ridargli fu l’amore per l’igiene e la pulizia, non ne voleva proprio sapere di essere pulito e profumato.
Lo psicologo dell’ospedale sostenne che il ragazzo aveva collegato l’igiene, l’ordine e la pulizia al luttuoso evento che aveva colpito la sua famiglia.
Quando divenne adulto lo lasciarono al proprio destino, divenne uno scrittore di successo, ma non aveva molti amici, divenne famoso nell’ambiente degli editori come L’UOMO CHE NON SI LAVAVA MAI.


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