di Pigi Arisco
Avrei voglia di fumare.
Non posso.
Dicono che fa male, che mi ucciderà…
Ma perché, scusate, lo stress non uccide?
Io sto male, malissimo. Il pensiero di affrontare tutta quella gente lì fuori, non ce la faccio! Non ce la faccio più!
Mi sono rotto le palle di fare sempre gli stessi pezzi, dire sempre le stesse cose… Due palle!
All’inizio mi piaceva, tutta quella gente lì sotto a sentirmi, ad acclamarmi, quanto mi piacevano gli applausi scroscianti!
Poi però mi sono reso conto che neanche mi ascoltavano, qualunque cosa dicessi loro applaudivano, qualunque cazzata facessi loro applaudivano e mi osannavano.
Anche adesso, vengono a vedere la LORO idea di me, non sono per niente interessati ai miei pezzi, alle mie parole, scattano foto e sorridono.
E poi, ogni volta sono sempre di più! Maledetti, stanno lì ad aspettare con le loro bandiere e le grida di ovazione.
Ma che volete? Ma andatevene tutti maledetti rompicoglioni, io sono stanco! Sono stufo!
Non ce la faccio più, ho anche una certa età, cosa volete? Vedermi morto? Stramazzare al suolo davanti a voi? Eh già, così potrete farvi la vostra bella foto ricordo. La foto con la celebrità morta ai vostri piedi proprio il giorno in cui eravate andati a sentirla.
Schifosi. Insensibili. Necrofili!
Ma cosa fanno? Li sento. Mi chiamano, mi vogliono, cantano pure!
Sbircio da dietro la grossa tenda, porca puttana! Ma sono una marea! Almeno 10.000…
Ma non hanno proprio niente da fare??!!
Maledetti organizzatori, con questa storia di organizzare gli eventi gratis! Per beneficenza dicono! Figuriamoci! Imbecilli. Ogni volta viene sempre più gente, sempre di più, sempre di più…
Mi manca l’aria, non riesco a deglutire, ho come una grossa mela proprio in fondo alla gola, la bocca completamente asciutta…
Mi sforzo di respirare, ma riesco a fare solo piccole boccate brevi, molto frequenti, ecco ora mi gira pure la testa!
Mi tremano le gambe! Cazzo, sto male! Bisogna rimandare!
Ma perché gli ho detto di sì? Perché ogni volta gli dico SEMPRE di sì?
Ho bisogno di sedermi, vado alla scrivania, poggio sul tavolo i palmi delle mani distese, cerco di calmarmi, mi concentro.
Su, su! Ce la posso fare.
È soltanto un attacco di panico, devo solo respirare, lentamente, inspirare con il naso, espirare con la bocca. Una, due, tre volte.
Ecco, ora va meglio, il senso di oppressione va via, le mani hanno smesso di tremare, vedo tutto più chiaro.
In fondo, devo fare una cosa che ho fatto un mare di volte, esco, faccio il mio pezzo, mi prendo gli applausi e via, torno a pensare ai fatti miei…
Sì ma, fino a quando?
Fino alla prossima volta!
Ma quando finirà? Quando sarò capace di dire: «NO! Basta, adesso basta! Mi rifiuto! Non lo faccio più»?
Ho deciso, faccio questa e poi basta, non ne faccio più, mi ritiro, lo giuro.
Seee a chi la vado a raccontare, con tutta l’organizzazione che si poggia sul mio successo…
E tutta quella gente che lavora e guadagna grazie a me?
Non me lo permetteranno mai, mi pregheranno, mi imploreranno, ed io, come un coglione, ci cascherò di nuovo.
Sono in trappola, condannato a questi continui, estenuanti, ripetitivi, insopportabili bagni di folla.
Ecco, ricominciano pure a cantare! State zitti, maledizione. Zitti! Z I T T I !
Mi sta tornando il panico, mi fa male lo stomaco, Oddio!
Mi scappa! Devo andare in bagno, adesso, subito! Se no me la faccio addosso.
Ci metto un’eternità a spogliarmi, maledizione questi vestiti sono complicatissimi da togliere, finisce che me la faccio addosso, mamma mia che vergogna…
No! Devo farcela, stringo le chiappe più che posso durante la svestizione, per fortuna ce la faccio, finalmente mi seggo.
È come una frana, tutto il mio stomaco sta crollando da dentro, mi sento la pancia trafitta da migliaia di spilli, e poi sento uscire tutto, velocemente, come una cascata.
Che schifo, mi sento male, troppo male, mi gira la testa, ho brividi lungo tutta la schiena.
Appoggio la nuca al muro freddo alle mie spalle. Comincio a piangere.
Dopo non so quanto sento bussare alla porta del bagno.
«OCCUPATO» rispondo. Sarà quel rompicoglioni che mi hanno affidato come spiccia faccende. «VATTENE» dico. «STO MALE, MALISSIMO, BISOGNA RIMANDARE…».
L’ultima parola mi esce insieme ad un singhiozzo.
Silenzio dall’altra parte, interminabile silenzio.
Poi finalmente il responso.
«D’accordo» risponde «se si sente male, rimandiamo, avviso tutti. Lo comunicheremo anche alla gente lì fuori».
Evviva, ce l’ho fatta! Sono riuscito a dire di no! Ci sono riuscito, sono libero!
Di colpo mi sento meglio, mi alzo barcollando con i capelli arruffati, non ho più mal di stomaco, esco dal bagno.
Il camerlengo mi accoglie con una tazzina di caffè.
«Ecco Santità, prenda questo» mi dice.
«No grazie, sono già abbastanza nervoso» rispondo.
«Santità, lo prenda, le assicuro che il caffè che facciamo qui in Vaticano serve a sistemare tutto, risolve OGNI problema».
Insiste, non ho voglia di litigare, prendo il caffè.
Risolve OGNI problema, bah! Che sciocchezza, il caffè è caffè e basta, non ha proprietà di nessun tipo.
Mentre lo bevo il tipo mi guarda fisso negli occhi, sorride.
Mamma mia quant’è brutto! Non so se è più disgustoso lui o il caffè che mi ha dato, era amarissimo, veramente schifoso.
Glielo dico, lui fa una pausa e mi risponde:
«Mi scuso Santità, effettivamente non lo facciamo molto spesso, anzi per dirla tutta abbastanza raramente, diciamo che lo facciamo… ogni morte di Papa, ecco».
Ritorna la fitta allo stomaco, la vista si annebbia, le gambe mi tremano, ma questa volta lo so, non è un attacco di panico, questo… è un licenziamento senza neanche il mese di preavviso!
Buio.