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Strada ferrata

Da Ruuuz

Ore e ore a attendere quel pittore da quattro soldi.

“come si chiamava?”

“Renoir”

Ore e ore a attendere, nella medesima posizione, strano quell’Aprile 1912.

Strano, molto strano anche quel tipo.

Ore e ore a mostrare il profilo destro, mentre dipingeva il sinistro.

Lo sfondo, semplicemente sfumato.

Non lo pagammo a ore, per fortuna.

Dov’è che ha visto tutta quella luce riflessa da quel viso?

Profilo sinistro.

Naso leggermente in su.

Contorni sfumati

Eva Wasserman.

Strano quell’Aprile.

Grigio, ma ciò nonostante Aprile.

Strano anche il mio destino.

Perché scegliere proprio quella forma espressiva?

Una fotografia era forse troppo moderna?

Strisciante narcisismo alla Dorian Gray.

Cosa pretendeva mio padre?

Sarei invecchiata anch’io, le rughe avrebbero irrimediabilmente segnato il mio viso e il mio corpo.

I segni della vecchiaia mi avrebbero rimodellato, senza chiedermi il permesso.

Senza chiedermi il permesso questo strano tipo mi disegnò una pelle liscia e luminosa senza eguali, liscia e luminosa senza paragoni, liscia e luminosa senza futuro.

Era per questo che odiavo quel quadro.

“ti piace?”

“no”

Strano il destino.

Abbandonare la casa natale non è mai piacevole, quando te lo fanno fare con la forza lo è ancora meno. Quando fummo costretti a prendere solo lo stretto necessario, fui felice di lasciare quel quadro in soggiorno.

Prima di uscire di casa,

guardai il dipinto

guardai lo specchio

già dicevano cose differenti

Stazione di Milano binario 21.

Ci assicurarono che i bagagli sarebbero arrivati a destinazione.

Mio padre continuava a chiedere alle forze di polizia della casa, dei mobili, di quel quadro.

C’erano due scompartimenti

uno per i cavalli, uno per gli ebrei.

Prima di entrare nell’ufficio di “der kommandant”, vidi una donna che doveva essere una ragazza, vidi anche la sua pelle ruvida che doveva essere liscia e curata, vidi quei suoi capelli corti e mal tagliati che dovevano esser lunghi e luminosi.

Quanta strada avevo fatto.

“11.154, da oggi si occuperà della pulizia di questi ambienti”

Ebbi il coraggio di alzare lo sguardo, il quadro di mio padre troneggiava in quell’ufficio con il suo orrendo splendore.

Svogliato vagabondare per la steppa Russa.

Un lussuoso vestito di sacchi di patate rubato in fretta e furia dai magazzini tedeschi, abbandonati, saccheggiati da randagi, uomini, morti che si aggiravano per il campo, vestiti di nulla, con gli ultimi brandelli di carne attaccata alle ossa, pronti a nutrirsi degli altri se stessi.

Paura di un viaggio di sola andata

tutti quei km

terra straniera sconfinata e sconosciuta

tutta quella lingua di metallo

era rimasto solo lo scompartimento per cavalli

stazione di Milano

binario 21

oggi

quelle lingue di ferro sembrano meno maledette, una navetta speciale, gli scompartimenti scomparsi.

una giovane nipote che spinge una sedia a rotelle

l’anziana signora si ferma di nuovo di fronte a quel ritratto passato per le mani di mezza Europa, acquistato dal denaro del suo torturatore e infine appeso a un muro di un’importante museo.

Anche questo molto strano.

“ti piace?”

“no”


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