Brescia attende il gesto giudiziario sulla Strage di piazza della Loggia del 28 maggio 1974, 36 anni fa, rivissuti con tanti, troppi, non ricordo in 150 udienze e due anni di lavoro dalla Corte d'Assise di Brescia, davanti alla quale i pubblici ministeri Roberto Di Martino e Francesco Piantoni hanno chiesto quattro ergastoli per i neofascisti veneti Delfo Zorzi, Carlo Maria Maggi, Francesco Delfino e Maurizio Tramonte, e una assoluzione per Pino Rauti, ex parlamentare, negli anni '70 ispiratore della destra più dura. Che succederà ora? Arriveranno le condanne dopo tre lunghe istruttorie, una pioggia di processi e una raffica di assoluzioni? Se lo chiede una città (almeno quella che è rimasta vigile, nonostante tutto) e dovrebbe chiederselo anche lo Stato che da questo processo esce, comunque vada, con le ossa rotte, massacrato da servizi deviati e funzionari infedeli, da servitori dello Stato che sono approdati in aula senza che li sfiorasse il dubbio che forse fosse arrivato il momento di un franco confronto con la storia, di dire tutto perchè era attraverso quel tutto passa una sorta di riconciliazione nazionale, perchè attraverso quel tutto si possono finalmente seppellire le vittime di quegli anni bui. Invece un servitore dello Stato come l'ex generale dei Carabinieri Francesco Delfino, l'investigatore brillante che fece carriera per meriti conquistati sul campo, non ha sentito nemmeno il dovere di difendersi da quelle accuse che lo hanno portato alla richiesta di ergastolo.
Ma sarà ergastolo? Sarà, finalmente, condanna? Saremo finalmente approdati a quella verità giudiziaria che, lo ricordiamo, deve punire gli esecutori materiali della Strage, non il contesto, che pare ormai acclarato, entro il quale si è sviluppata la strategia della tensione di quegli anni?
Sperare è umano, illudersi non è realistico. Soprattutto davanti ai tanti vuoti di memoria, veri o presunti, sbandierati in questi due anni di udienze, ai limiti oggettivi di una istruttoria realizzata con zelo e dedizione, ma arrivata a troppi anni di distanza dal fatto, con troppi morti fra i potenziali indagati, con troppi muri di omertà ancora da abbattere, soprattutto all'interno delle istituzioni e, infine, con troppi depistaggi. Un'istruttoria che, nonostante lo sforzo di costruire una serie di riscontri oggettivi, poggia su fondamenta che, in passato e davanti ad altri tribunali, hanno conosciuto alterne fortune: la testimonianza di Carlo Digilio, lo zio Otto, l'ex informatore che sapeva molte cose, ma che forse ha parlato troppo tardi, quando era troppo facile mettere in dubbio la sua credibilità, minare la sua attendibilità, picconata anche dai giudici che ha Milano si sono occupati della Strage di Piazza Fontana.
Valutazioni, inutile nasconderlo, destinate a pesare in camera di consiglio anche a Brescia. Come andrà a finire, allora? Comunque vada, penso, sarà un successo. Sì, avete letto bene, un successo. Il successo della Brescia che non dimentica, della Brescia che tiene viva la memoria, della magistratura che non si rassegna. La rivincita, anche se non piena, verso quanti (anche noi, talvolta) pensano che una tragedia accaduta 36 anni fa possa, alla fine, non interessare più a nessuno se non solo ai reduci di quegli anni, ai testimoni, sempre di meno, di quelle macerie. Ma quelle 150 udienze solo li ha dirci che non è così.
L'ultima udienza sulla Strage
La richiesta delle pene